Il libro che vi raccontiamo oggi al Thriller Café è “Non puoi tornare a casa” di Wiley Cash, edito da Mondadori.
Inizio con il presentarvi il Reverendo Carson Chambliss. Ha una cinquantina d’anni e metà del suo corpo è mangiata da gravi ustioni, ma nessuno sa come se le sia procurate. Le vetrate della sua chiesa sono coperte con fogli di giornale, per impedire di vedere quello che succede all’interno.
Già, perché le messe del reverendo Chambliss non sono le sonnolente cerimonie di un curato di campagna. Nella Chiesa di Cristo secondo i Segni di River Road avvengono strani rituali:
“Avevo visto gente che conoscevo praticamente da sempre catturare serpenti e bere il loro veleno, avvicinare il fuoco al viso solo per vedere se li avrebbe bruciati. Persino gente religiosissima. Timorati di Dio che prima di allora non avevano mai fatto niente di simile. Chambliss però li aveva convinti che non correvano pericoli a sfidare la volontà di Dio. Gli aveva fatto credere che era giusto osare, se avevano la fede. E praticamente tutti dicevano: “Eccomi Signore, vieni a prendermi, se vuoi. Io sono pronto, se lo sei tu”.
Il problema è che, tra estasi mistiche, glossolalia e “miracolose” guarigioni, qualche volta ci scappa anche il morto.
A raccontare questa storia sono tre voci intrecciate. La prima è quella di Adelaide Layle, una vecchia levatrice che conosce i segreti della montagna e del cuore degli uomini. Detesta il pastore Chambliss, ma al tempo stesso ne è terrorizzata.
La seconda voce narrante è Jess Hall, un ragazzino di nove anni con la testa piena di domande e un fratello autistico che tutti chiamano Stump. La mamma di Jess è una devota di quella strana confraternita, e un giorno Jess, sbirciando da un vetro di casa insieme al fratello, vede qualcosa che non avrebbe dovuto vedere.
E infine c’è Clem Barefield. Fa lo sceriffo nella Contea di Madison da venticinque anni, ma i suoi paesaggi lo incantano ancora:
“Accidenti, com’è bello qui: i campi verdi con le fattorie allineate sotto le creste delle montagne e gli spazi in mezzo che nascondono valli buie e gole profonde dove il sole non arriva mai”.
Lo sceriffo ha dentro di sé un vuoto, una perdita che lo ha segnato per sempre, ma non rinuncerà a inseguire la verità sui fatti inquietanti che avvengono nella chiesa di Chambliss.
Il romanzo di Wiley Cash mi ha colpito per varie ragioni. Innanzitutto, perché è veramente un “thriller letterario”, capace di coniugare due aspetti non così facili da tenere insieme: una trama molto avvincente e uno stile di scrittura raffinato e descrittivo. Forse i punti più alti si raggiungono quando lo scrittore fa parlare Jess, riuscendo a tradurre in parole tutta la meraviglia e lo sgomento nascosti nello sguardo di un ragazzino di quell’età. Un lavoro sicuramente non facile. La delicatezza di alcune descrizioni mi ha fatto pensare addirittura a Kent Haruf e alla Contea di Holt, ma con un piglio un po’ più dark e adrenalinico.
In effetti, “Non puoi tornare a casa” è tante cose allo stesso tempo: sicuramente un thriller, come abbiamo detto, che potremmo classificare come un bell’esempio di “southern gothic”, mettendolo in buona compagnia su uno scaffale con altri maestri del genere, da William Faulkner a Brian Panowich, da Cormac McCarthy a Joe Lansdale. Ma è anche una piccola saga familiare, che esplora dolori e paure antiche, radicate nel sangue, e un grande romanzo di formazione. Formazione sicuramente per il piccolo Jess, che dovrà confrontarsi con il dolore del mondo dei grandi, ma anche per tutti gli altri protagonisti che come dice il titolo originale (molto diverso e più appropriato della “libera” traduzione italiana), sono alla ricerca di “A land more kind than home”, una terra più gentile di casa. Molti dei personaggi raccontati nel libro sono coinvolti in un processo di dolorosa guarigione, perché “abbiamo tutti bisogno di guarire da qualcosa”. Disseminati tra le righe, troviamo simboli potenti: uno di questa è la mano di Jess, ferita da una scheggia di legno che solo il nonno, un alcolizzato violento ma in cerca di redenzione come tutti gli altri, saprà estirpare. E poi ci sono serpenti ovunque: crotali e teste di rame. Il loro veleno mortale è il simbolo della perversa redenzione offerta dal pastore, ma la loro pelle, che cade e si rinnova, ci rimanda ancora alla trasformazione e all’evoluzione.
Per godervi la storia al meglio, vi consigliamo di accompagnarla con il country vintage e un po’ melenso di Patsy Cline o con il malinconico country rock dei Drive-by Truckers.
Buona lettura!
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