L'uomo di Calcutta - Abik MukherjeeNulla, a parte forse la guerra, può prepararti a Calcutta. Non gli orrori raccontati dagli inglesi di ritorno dall’India, i cosiddetti India-man, nelle sale piene di fumo di Pall Mall. Non gli scritti di giornalisti e romanzieri, e neppure un viaggio per mare di cinquemila miglia con tappe ad Alessandria e Aden. Calcutta è più aliena di qualsiasi cosa la mente di un inglese possa immaginare. Lord Robert Clive, detto Clive d’India, l’aveva definita il posto più perfido dell’universo, e la sua era una delle definizioni più benevole.

È il 1919 e in India il caldo, l’umidità feroce, i vicoli delle città, l’intero Bengala, gli odori, gli sguardi dei nativi sembrano cospirare contro il dominio coloniale inglese.
Convinto della propria supremazia e invincibilità l’uomo bianco non si accorge che sta diventando una preda facile e che i tempi stanno cambiando. Il white man burden di Kipling è un’ideologia che non è più adeguata neanche nella perla della Corona inglese.
Nel sogno imperiale che sta tramontando un cittadino britannico, un importante burocrate del governo coloniale, viene trovato barbaramente ucciso a Calcutta, in una stradina della Città Nera.
Da poco arrivato dall’Inghilterra il giovane capitano Sam Wyndham, ancora non colpito dal cinismo e dalla cecità del tipico inglese in India, viene inviato a investigare sull’omicidio. Lo affiancherà nell’indagine il sergente indiano – Surrender not – Banerjee.
I due personaggi sono già un romanzo nel romanzo. Il passato devastante di Wyndham e la doppia fedeltà combattuta di Banerjee definiscono la bravura dello scrittore: in entrambi Abir Mukherjee non tratteggia soltanto due personaggi ma uno “spirito dei tempi”, qualcosa che dovrebbe essere potente in ogni romanzo storico.

«Il problema, capitano, è che negli ultimi 200 anni abbiamo cominciato anche noi a credere alla nostra propaganda. E ogni minaccia contro quell’idea illusoria è una minaccia contro l’intero edificio. Per questo l’omicidio di MacAuley ha causato tanta agitazione. È un’aggressione su due livelli. Primo, ci mette davanti agli occhi il fatto che alcuni indiani non si considerano più inferiori, tanto da far fuori un membro di altro profilo del governo coloniale. Secondo, distrugge ai nostri stessi occhi l’idea illusoria di essere superiori.»

Il pregio maggiore di questo romanzo è riuscire a coniugare il forte messaggio anticolonialista all’intrattenimento crime. L’indagine infatti diventa sempre più complicata e pericolosa per i protagonisti, in lotta per la verità proprio mentre quelle assodate e accettate da tutti sono in crisi. Un groviglio da cui i protagonisti escono lottando, sparando ma soprattutto con intelligenza.
Sembra che il destino del caso sia legato con quello dell’India intera in un svolgimento vivo e immersivo, tutto merito di un capace show don’t tell. Nell’indagine, nelle dinamiche tra inglesi e indiani, tra polizia ed esercito, la propaganda e la politica, nei rapporti tra i personaggi tutto è perfettamente mostrato per quello che è: il mondo sta cambiando, coscienze si risvegliano e finzioni crollano. Questo non poteva essere realizzato senza una scrittura letteraria e allo stesso tempo scorrevole.
Primo romanzo di una trilogia poliziesca in ambientazione inusuale questo L’uomo di Calcutta è qualcosa che i lettori farebbero bene a seguire.

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Articolo protocollato da Antonio Vena

Già contractor civile Nato e Nazioni Unite, contract consultant e aspirante Signore del thriller pre-apocalittico italiano.

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