Fin dai tempi di Gorky Park, libro in cui fa la sua comparsa l’investigatore moscovita Arkady Renko (pubblicato in Italia nel 1981 da Mondadori e trasposto in un celebre film del 1983 con William Hurt) Martin Cruz Smith si caratterizza per la cura dell’ambientazione.

Da un punto di vista descrittivo, in ogni suo testo, compresa la sua ultima fatica L’enigma siberiano par di vedere il brulicare di vita di una Mosca sempre irrequieta, e di sentire sulla pelle, nelle ossa, il gelo della Siberia con cui Renko è stavolta chiamato a confrontarsi.

Inseguirà un’indagine, ma soprattutto la sua Tatiana: bella, sfuggente e indomita più che mai. La attendeva alla stazione, di ritorno dai ghiacci della Siberia, dove si era recata per portare avanti un’inchiesta, tenendo fede al suo ruolo, potremmo dire alla sua missione, di giornalista scomoda.

Non soltanto però ci par di distinguere ogni piccolo dettaglio delle strade della sterminata capitale russa così come, più avanti, di rimanere abbagliati dalla bianca distesa di Čita, capoluogo della Transbajkalia. Ciò che più conta, ciò che più avvince alla lettura, è che ci sembra di osservare tali sfumature non coi nostri occhi, ma con quelli del protagonista.

Raramente il processo di identificazione col detective è così ben riuscito come, anche stavolta, nel caso di Arkady Renko. Forse perché Renko ha poco del personaggio, e molto dell’individuo. Pare, attraverso ogni sua imperfezione, emergere dalla pagina a mostrarsi come un anti-eroe malinconico, disincantato, suo malgrado romantico.

Acuto, ma non infallibile come un Poirot. Uomo d’azione, ma senza l’aura di invincibilità che avvolge un James Bond, e senza la spregiudicatezza di un Marlowe. Difficile non parteggiare per lui, mentre pagina dopo pagina, lo vediamo sempre più circondato da corrotti e da corruttori, che vorrebbero trascinarlo nel loro cinismo. Già in una prima fase del racconto, Renko rischia grosso: un proiettile subsonico, sparato da un fucile di precisione, lo manca di poco. Un cecchino impreciso, o forse un avvertimento?

Ad aumentare il senso di spaesamento dell’investigatore anche il fatto che il suo capo, il procuratore Zurin, non è certo uno stinco di santo. Anzi, quando proprio Zurin gli affida un’indagine in Siberia, per interrogare un ragazzo che si è reso colpevole di un attentato proprio al procuratore, Arkady sente subito puzza di bruciato. Ma recarsi in Siberia significa avere la possibilità di rintracciare Tatiana, che non risponde alle sue telefonate: per questo Zurin sa di averlo in pugno, sa che non si tirerà indietro.

E finirà così per essere coinvolto in un pesante gioco di potere, che scuote dalle fondamenta il sistema degli oligarchi, lasciando intravvedere verità pericolose, verità che forse devono restare celate. E così, una volta di più, Renko si troverà costretto a rischiare non soltanto il posto, ma la sua stessa incolumità.

La consistenza del protagonista e il fascino dell’amata Tatiana sono certo l’architrave del romanzo, che non si esaurisce però in tale rapporto. A colorare di una nuova umanità, perfino di una certa dolcezza, il racconto, intervengono anche i personaggi minori: su tutti Rinchin Bolot, incontrato da Arkady quasi per caso, che si propone come suo collaboratore, suo “factotum”, per citare le sue parole.

Il senso pratico di Bolot, completato da uno spirito forte e leale, che talvolta sembra strizzare l’occhio a una sorta di misticismo, saranno essenziali per cavare Renko e Tatiana da una situazione che rischia di diventare insolubile. Fino all’emergere di un nuovo problema, tutto politico, e all’immancabile colpo di scena finale.

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L'enigma siberiano
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L'enigma siberiano
  • Cruz Smith, Martin (Autore)

Articolo protocollato da Damiano Verda

Genovese, classe 1985, ingegnere informatico, appassionato di scrittura. There’s four and twenty million doors on life’s endless corridor (ci sono milioni di porte lungo l’infinito corridoio della vita), cantavano gli Oasis. Convinto che anche giocare, leggere, scrivere possano essere un modo per tentare la scommessa di socchiudere qualcuna di quelle porte, su quel corridoio senza fine.

Damiano Verda ha scritto 56 articoli: