Indizi mortali - Robert Bryndza

Robert Bryndza ci riporta a South London, con il suo ultimo romanzo “Indizi mortali” (Newton Compton, traduzione di Carlotta Mele e Beatrice Messineo). “Indizi mortali” è infatti il sesto episodio della serie che ha per protagonista l’investigatrice Erika Foster, che lavora come ispettore capo alla polizia di Lewisham, quartiere popolare della prima periferia sud di Londra. Il titolo originale “Deadly Secrets”, segreti mortali, rende meglio l’idea del contenuto, perché questo, cari avventori del Thriller Cafè, è un romanzo sui mascheramenti, sul contrasto tra la parte che si recita e quella che si è veramente.

Siamo a Brockley, poco distante da Lewisham, la vigilia di Natale. Marissa Lewis è una giovane e bella ragazza che fa la ballerina di burlesque nei locali del West End la sera per arrotondare. Tornando a casa viene aggredita e uccisa nel giardino della propria abitazione con un profondo taglio alla gola. La mattina dopo la madre di Marissa scopre il cadavere e in breve tempo Erika si trova sulla scena del crimine con un nuovo caso di omicidio, che peraltro le rovinerà il Natale. L’indagine porterà a scoprire che esistono molti casi di aggressioni a donne e uomini nella zona e per risolvere l’enigma Erika sarà costretta a scavare nelle pieghe della vita sociale di South London.

Bryndza fa centro come al solito, con un romanzo che ha molto del giallo poliziesco classico e che è anche una storia “di quartiere” come lo sono tutte quelle che hanno per protagonista Erika Foster. Scavando nelle vite delle vittime, l’autore infatti ci consegna uno spaccato sociale della Londra popolare, in quella che era una roccaforte della working class non troppo emarginata e relativamente benestante, quando ancora era “working” e soprattutto quando era “class”, cosa che nel mondo di oggi non è più. Ne consegue un intreccio accattivante, che culmina in un finale molto ricco di suspense e per nulla scontato, senza tuttavia essere campato in aria.

La Londra che interessa Bryndza è quella che teme di finire ai margini. Cha fatica a tirare avanti, ma cerca comunque di compiere dignitosamente il proprio dovere, in una città dall’indiscutibile fascino, ma che può anche essere spietata e fredda. Tra le righe, forse anche a causa dell’ambientazione natalizia nella quale compare persino un po’ di neve, traspare una certa malinconia, un misto tra una nostalgia per qualcosa che non c’è più e una incapacità di immaginare un futuro positivo. La stessa Erika deve fare i conti con una serie di svolte nella propria vita personale, che la costringono a riconsiderare il proprio ruolo e la propria vita.

Questa sorta di tenue e diffusa tristezza si associa bene con il tema della maschera, la maschera che ciascuno di noi adotta nella propria vita quotidiana per non far trasparire le parti più oscure di sé stesso, che diventa anche una maschera reale che l’assassino porta sul luogo del delitto, ma che è anche la maschera della vittima che ogni sera recita in uno spettacolo di burlesque. Alla quale poi Bryndza nel finale dà un chiaro significato storico e politico: quello di chi, dietro la maschera del cittadino perbene, nasconde una vita di violenza, di razzismo e di discriminazione. Come se, proprio ai nostri giorni, alla massima apparente libertà di cui tutti noi godiamo, si associassero una serie di gabbie, di costrizioni, di infingimenti, che rendono la nostra società più subdolamente ingiusta e incattivita.

Uno sguardo sospeso quindi, che combina tinte fosche e piccoli squarci di speranza, in una South London sempre dignitosa, ma un po’ più triste, quasi decadente. In un mondo dove pullulano le piccole meschinità e dove spesso la ricchezza è frutto di sfruttamento e ingiustizia e dove la Londra multicolore di cui lo stesso Bryndza è stato protagonista, rischia di cedere a quella del grigio che incombe.

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Articolo protocollato da Giuliano Muzio

Sono un fisico nato nel 1968 che lavora in un centro di ricerca. Fin da piccolo lettore compulsivo di tante cose, con una passione particolare per il giallo, il noir e il poliziesco, che vedo anche al cinema e in tv in serie e film. Quando non lavoro e non leggo mi piace giocare a scacchi e fare attività sportiva. Quando l'età me lo permetteva giocavo a pallanuoto, ora nuoto e cammino in montagna. Vizio più difficile da estirpare: la buona cucina e il buon vino. Sogno nel cassetto un po' egoista: trasmettere ai figli le mie passioni.

Giuliano Muzio ha scritto 125 articoli:

Libri della serie "Erika Foster"

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