Bentrovati al Thriller Café! Mettetevi comodi al bancone, perché oggi stappiamo una bottiglia d’annata e celebriamo un libro di quelli che non capita di leggere tutti i giorni, una perla nascosta del noir. Stiamo parlando di Il mio angelo ha le ali nere di Elliott Chaze. Se non avete mai sentito nominare né l’autore né il libro, non sentitevi in difetto. Il romanzo, infatti, non ebbe un grande successo editoriale né ai tempi della pubblicazione, nel lontano 1953, né finché Chaze fu in vita. Solo di recente questo autore è stato riscoperto. Qualche anno fa si è parlato di trarre un film dal romanzo, progetto che però, ad oggi, non è ancora stato realizzato.
L’inizio del libro è banale, anche piuttosto squallido se volete. C’è un uomo stanco, che ha passato ben quattro mesi a trivellare fango lungo il fiume Atchafalaya, nello stato della Louisiana. Quest’uomo, dopo essersi concesso un bagno caldo in una camera d’hotel, chiama il fattorino e gli chiede di portargli una prostituta.
La donna che entra nella stanza si chiama Virginia, e non è quello che l’uomo si aspetta. Ha un aspetto sofisticato, “capelli biondi come molle d’oro che scendono lungo le spalle”, scarpe costose e strani occhi viola. Il primo scambio di battute tra i due è indimenticabile:

“Avrei indossato un asciugamano più carino,” le dissi, “se avessi saputo che avremmo fatto tante cerimonie.” “Sono stanca,” rispose. Teneva le mani incrociate sulle ginocchia, ancora avvolte nella gabardina bianco lucida dell’impermeabile. “Non mi va di perdere tempo in battute. Non bisogna mai scherzare con una puttana stanca. Non esiste persona al mondo tanto stanca quanto una puttana stanca.”

I due passano tre giorni nella camera d’albergo. “Se hai soldi, tesoro, ho tutto il tempo che vuoi” è il caustico commento di Virginia, ma l’uomo pensa che, quando saranno finiti i soldi, si sarà già stancato di quella donna bella ma fredda e sfuggente.
In realtà, siamo soltanto all’inizio di una complessa storia d’amore.
Per i due inizia un’avventura tra stati diversi, dalle montagne innevate del Colorado fino alla luce del sole che si spande come burro sul Golfo del Messico, passando per la decadente New Orleans. I due rimangono allacciati in una danza che porta fino a dove finisce l’amore, per citare Leonard Cohen, attraversando passione, odio, crimine e ricchezza, attratti dall’abisso come falene che girano intorno a una lanterna.
Il romanzo è difficile da inquadrare in un genere. È senz’altro un noir, perché ci troverete tutti i crismi dell’hard boiled ormai al tramonto in quegli anni: “pupe” mozzafiato, omicidi, sparatorie e inseguimenti al cardiopalma. Ma c’è anche molto altro. È un road novel, con lunghi viaggi in auto che fanno pensare a Sulla strada di Jack Kerouac. Ci sono brani dedicati al carcere che riportano alla mente Il vagabondo delle stelle, capolavoro di Jack London. C’è una buona dose di ironia alla Mark Twain e di nichilismo romantico che non sfigurerebbe tra le pagine di Raymond Chandler o di James Crumley. E c’è anche una bellissima storia d’amore, raccontata con una profondità che fa tornare in mente alcuni passi del Chiedi alla polvere di John Fante. Una girandola di bar, alberghi e bettole che sembrano copiati dai quadri di Hopper. Spazi aperti e paesaggi maestosi degni di un film western.

E poi c’è l’abisso. Un centro di gravità oscuro che sembra inghiottire le pagine: anche nel pieno fuoco della passione, si percepisce una nota in minore, secondo il vecchio adagio che accoppia sempre amore e morte. Il tutto, però, descritto con un’ironia e un’amarezza affilatissime, e costruito intorno a dialoghi perfetti.

Se abbiamo scomodato così tanti “pesi massimi” nel giro di poche righe, credetemi, c’è un buon motivo: nello scrivere Il mio angelo ha le ali nere, Elliott Chaze ha giocato con vari generi, riuscendo a dare vita a un vero e proprio capolavoro. Capolavoro di cui, purtroppo, non riuscì mai a cogliere appieno i frutti, in quanto rimase sempre un giornalista di provincia e un padre di famiglia con un modesto conto in banca. Oltre a questo, scrisse alcuni altri romanzi, tra i quali è stato tradotto in Italia, sempre da Bompiani, La fine di Wettermark del 1963. È rimasta celebre la sua dichiarazione, spietatamente sincera e anche molto attuale, in merito alle motivazioni che lo spinsero a scrivere: “Soprattutto ho un semplice desiderio di tirarmela – di fare un po’ il fenomeno con la pubblicazione”.

Buona lettura!

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Il mio angelo ha le ali nere
  • Chaze, Elliott (Autore)

Articolo protocollato da Gian Mario Mollar

Classe 1982, laureato in filosofia, Gian Mario Mollar è da sempre un lettore onnivoro e appassionato. Collabora con siti e riviste di ambito western e di recente ha pubblicato I misteri del Far West per le Edizioni il Punto d’Incontro. Lavora nell’ambito dei veicoli storici e, quando non legge, pesca o arranca su sentieri di montagna.

Gian Mario Mollar ha scritto 96 articoli: