Cari lettori del Thriller Café, di solito scrivo le mie recensioni in terza persona, ma per il libro che recensirò oggi farò un’eccezione: le opinioni dei lettori sono così divise ed opposte che ci tengo a rimarcare che quella che segue è la mia opinione, che potrebbe essere radicalmente diversa da quella di molti altri. Il libro della discordia è I sette killer dello Shinkansen di Isaka Kotaro, pubblicato da Einaudi con traduzione di Bruno Forzan. Conta ben 552 pagine e sta facendo molto parlare di sé, nel bene e nel male: c’è chi lo considera geniale e chi suggerisce di evitarlo come la peste. I più generosi, enfaticamente, evocano a gran voce Agatha Christie e Quentin Tarantino. Io, lo dico subito, sto nel mezzo e non mi spingerei a tirare in ballo mostri sacri. Per il momento, comunque, occupiamoci della trama, che di per sé non è lavoro facile.

In primis è utile rinfrescare le idee su cosa siano gli Shinkansen: si tratta di linee ferroviarie giapponesi ad alta velocità su cui sfrecciano i “treni proiettile”, chiamati così sia per la forma appuntita – come quella di un proiettile – del primo treno, sia perché sono davvero veloci (300 Km/H). Ogni linea, a seconda della tratta, ha un nome specifico, come specifico è anche il nome dei treni che la percorrono. A noi, in questo caso, interessa lo Hayate, il treno che corre sul Tohoku Shinkansen, fra Tokyo e Morioka.

Ebbene, nel treno che, in due ore e mezza, conduce i passeggeri da Tokyo a Morioka, pare stia avendo luogo un raduno, inconsapevole e non voluto, di killer. La scena si apre con Kimura, un uomo di mezza età che in verità si era tirato fuori dal giro, troppo impegnato a diventare un alcolista ed a crescere un figlio da solo, che sale sul treno con una pistola silenziata a portata di mano. Non ha nessuna intenzione di rimanere a bordo: vuole solo raggiungere il posto che ha prenotato accanto ad una persona, verificare che sia seduta lì, spararle e tornare ad assistere suo figlio che si trova in coma in un letto d’ospedale. Un lavoretto semplice, se non fosse che l’altra persona si aspettava il suo arrivo, così non gli dà il tempo di agire, lo stordisce con un taser immobilizzandolo. Il treno parte e i piani di Kimura dovranno per forza cambiare. Chi l’ha stordito è Oji, “il principe”, un ragazzino delle medie, all’apparenza uno studentello imberbe col sorriso abbagliante e la faccetta d’angelo, un damerino che più innocuo non potrebbe sembrare, ma che in realtà nasconde un’intelligenza acuta nonché una  mente fortemente disturbata ed improntata alla violenza: gode nel procurare dolore agli altri, fisico o psicologico, prova piacere nel provocarne la morte ed ama stare a guardare le reazioni delle sue vittime. È lui che ha ridotto in fin di vita il figlio di Kimura, un bambino di solo sei anni.

Ma la schiera dei personaggi singolari seduti su questo treno è tutt’altro che finita: abbiamo Nanao, altrimenti detto Coccinella, l’essere umano più sfigato dell’universo. È un ottimo killer, ma sembra attirare a sé la sfortuna, tanto che gli capitano le cose più incomprensibili, così quando gli viene detto che dovrà solo rubare una valigia dallo Shinkansen e scendere dal treno alla prima stazione, lui sa già che qualcosa o qualcuno gli impedirà di scendere… così, un viaggio di cinque minuti si trasformerà in un incubo.

Poi ci sono Mikan e Lemon, due killer che lavorano in coppia, ingaggiati per liberare il rampollo di un pezzo grosso dell’ambiente che era stato rapito, recuperare la valigia con il riscatto e riportare a Morioka ragazzo e valigia… facile, no? No, perché più di qualcosa va storto.

E, facendo i conti, saremmo a cinque killer… ma il titolo parla di sette… chi sono gli altri? Beh, fidatevi, a fine libro vi ritroverete con killer decisamente in sovrannumero!

Avrete intuito che quello che si prospetta non sarà un viaggio normale, eppure siete ancora ben lontani dall’immaginare quante disavventure, contrattempi, imprevisti, trappole riserverà quel treno ai nostri killer. Verrebbe da pensare che siano addirittura troppi gli espedienti trovati dall’autore per movimentare una trama altrimenti piatta, di sicuro molti sono comici, ma alla lunga i toni si fanno persino farseschi, il che non è necessariamente un merito. La violenza, non c’è neanche bisogno di dirlo, è un presupposto quasi scontato: in questo viaggio si uccide con naturalezza, senza rimpianti o patemi di sorta: una scrollata di spalle, un attimo per trovare un posto al cadavere e via, avanti verso la prossima stazione.

Ma ciò che colpisce di più sono proprio i killer: chi di thriller e gialli ne ha letti tanti è portato, inconsciamente, ad immaginare il killer come intelligentissimo, astuto, lucido, preciso… Quelli che troviamo qui sono killer sì efficienti, ma comunque estremamente “umani”, fallibili, distratti, fuori fuoco, persino sprovveduti. È come se l’autore abbia voluto prendere in giro i killer, sbeffeggiarli attraverso i loro difetti, estremizzando alcune loro caratteristiche caratteriali, quasi per smontare il cliché del killer chirurgico ed esorcizzarne il fascino annullando il complesso d’inferiorità nel lettore ed inducendolo a fronteggiarlo, a non impigrirsi, a provare a ragionare con l’astuzia contro un avversario smitizzato.

Detto ciò, nonostante gli episodi di violenza ad ogni pagina, la tensione non sale quasi mai e prevale, più che altro, il lato tragicomico della situazione. Il che, se da un lato contribuisce ad abbassare le aspettative del lettore – portato a non prendere il libro troppo sul serio e quindi a non aspettarsi niente di mirabolante, salvo poi, magari, rimanere piacevolmente sorpreso – dall’altro frena l’entusiasmo e alla lunga spegne un po’ la voglia di proseguire se non per inerzia. I colpi di scena ci sono, ma ad un certo punto il lettore non sa se prenderli come un atteso sblocco della situazione o come l’ennesima deviazione a questo viaggio che, francamente, alla fine risulta estenuante.

A lettura ultimata, quali sono le mie impressioni? Beh, sicuramente ho letto un giallo scritto bene, a suo modo originale (per il punto di vista che è sempre quello del killer), intelligente ed ironico. Sono questi ultimi due aggettivi che mi danno da pensare: in primo luogo, durante la lettura mi sono spesso ritrovata a pensare che questo susseguirsi di disavventure, tranelli, stravolgimenti non avesse un fine preciso se non quello di un mero esercizio di stile; in secondo luogo – e conseguentemente – ho avuto come la sensazione di essere stata bonariamente gabbata anch’io. Proprio come ha sbeffeggiato i killer per tutta la durata del libro, mi è parso che l’autore se ne stesse là, in un angolo, a guardarmi leggere ed impegnarmi a trovare un senso recondito dove non c’è, e ridesse di me, col ghigno di chi l’ha fatta grossa ma sa che non sarà punito… Se posso, dirò che la cosa in fondo mi dispiace meno del previsto.

I sette killer dello Shinkansen, al netto di opinioni estreme, è comunque un giallo ben scritto che può tenere buona compagnia in questa torrida estate… un po’ come quel rompicapo che non riuscite a risolvere e su cui finite per tornare sempre… ecco, leggetelo con questo spirito, magari vi deluderà, o forse vi sorprenderà?

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I sette killer dello Shinkansen
  • Isaka, Kotaro (Autore)

Articolo protocollato da Rossella Lazzari

Lettrice compulsiva e pressoché onnivora, una laurea in un cassetto, il sogno di lavorare nell'editoria e magari, un giorno, di pubblicare. Amo la musica, le serate tra amici, mangiare e bere bene, cantare, le lingue straniere, i film impegnati e cervellotici, il confronto, la condivisione e tutto ciò che è comunicazione.

Rossella Lazzari ha scritto 151 articoli: