Holy City – Henry Wise
Holy City è ormai un luogo desolato, dove le splendide piantagioni di tabacco sono un lontano ricordo e la criminalità dilaga: lo sa bene Will Seems, vicesceriffo, tornato nella sua città natale dopo parecchi anni passati a Richmond per chiudere i conti con un passato che lo tormenta. Durante un giro di pattuglia si trova davanti al rogo della casa di Tom Janders, che lui conosceva bene: arrivato forse troppo presto sul luogo dell’incendio, si rende conto che Tom non è morto accidentalmente, ma è stato assassinato. L’uomo che viene arrestato sembra essere la vittima sacrificale perfetta, anche se nessuno crede alla sua colpevolezza, ma Will, al quale si affiancherà la detective privata Bennico Watts, farà di tutto per scagionarlo e fare i conti con la propria storia personale.
Fu sognare il fuoco a devastarlo.
Sedeva rigido come un gatto stecchito, cercando a tentoni l’impugnatura della pistola sotto al sedile, con calma. La triste notte lo raggiunse di nuovo, solo una delle tante, passata a gui#dare all’infinito, ad ascoltare la furiosa parola di Dio proveniente da una leggera interferenza in lontananza, una voce al tempo stesso austera e intima, che sembrava rivolgersi direttamente a lui con una sicurezza lacerante.
Partiamo da qui: “Holy City“, ambizioso e folgorante d’esordio di Henry Wise, è in primis un romanzo scritto benissimo, uno di quei libri che fin dalle prime righe arriva come un salutare pugno nello stomaco. Si potrà poi proseguire dicendo che è un thriller rappresentativo del genere gotico meridionale, con una trama investigativa che regge molto bene fino alla fine, riuscendo nello stesso tempo ad essere un romanzo che va ben oltre i limiti del genere per diventare un grande racconto corale che parla di sconfitte e desiderio di redenzione: ma indubbiamente fin dalle prime righe Wise trascina il lettore a Holy City, contea di Euphoria, Virginia, un luogo in cui vive ancora la memoria delle lussureggianti piantagioni di tabacco e che ora sopravvive come una sorta di no man land tra laboratori di meth, criminalità organizzata e razzismo endemico.
Una tale ambizione in un’opera prima poteva essere un azzardo, ma Henry Wise riesce nella non facile missione di esordire con un romanzo maturo dove tutti questi elementi si fondono con naturalezza ed equilibrio: c’è l’affresco sociale che omaggia Faulkner, ci sono anche le atmosfere dense di Raymond Chandler e i paesaggi desolati di “True detective“.
In una sua intervista Wise citava tra gli autori che stava apprezzando Cormack McCarthy, e sicuramente entrambe gli autori condividono il grande respiro dell’epica della frontiera: un’epica raccontata con sobrietà, talvolta aspra, ma che sempre tocca nel profondo senza sconfinare nella retorica.
I personaggi creati di Wise sono complessi, tormentati: che sia Will, vicesceriffo oppresso dal senso di colpa e spinto da un desiderio di redenzione, che sia Bennico Watts, determinata ex poliziotta alla quale le regole stavano strette, oppure uno dei comprimari, nessuno è banale o monodimensionale, e che siano bianchi o neri, ognuno si porta dentro profondi drammi interiori, radicati perché, come diceva Faulkner: “Il passato non è morto e sepolto. In realtà non è neppure passato”. A Holy City il passato si trascina nel presente, e chi ci vive è accomunato da questa sorta di ineluttabilità del destino che è anche una sorta di rimpianto per ciò che ciascuno avrebbe potuto essere lontano da lì.
Nonostante questa complessità possa mettere soggezione, “Holy city” è un romanzo molto scorrevole, intenso, che si legge con autentico piacere, nel quale Wise riesce a unire poesia e sobrietà, tensione narrativa e storia. Un esordio sorprendente, una piacevolissima sorpresa: un plauso a Olimpia Ellero per la traduzione fedele all’atmosfera.
Henry Wise (1982) si è laureato al Virginia Military Institute e ha conseguito un Master of Fine Arts all’Università del Mississippi. Scrittore eclettico e appassionato di poesia e fotografia. “Holy City” è il suo primo romanzo.
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