
Cari frequentatori del Thriller Café, ormai avrete capito che noi barman e barlady siamo alla continua ricerca di ottimi ingredienti per i nostri cocktail letterari e, quando un nuovo mix è pronto, non vediamo l’ora di proporvelo per l’assaggio. “Sembrano uomini” dello scrittore francese Fabrice Tassel (Carbonio editore) è paragonabile ad un superlativo chouchen, l’idromele bretone aromatizzato alla mela, alla fragola di Plougastel, al caramello salato e alle spezie di Fisselier. In termini letterari, una vera bomba di polar dai toni potenti e il retrogusto dolce-amaro che vi catturerà nelle sue spire come un boa constrictor.
Ѐ ancora tutto troppo fragile. Il ricordo dell’incidente sottopelle, in ogni cellula del cervello, è impossibile scrollarselo di dosso. Le alternative erano imparare a conviverci, o farla finita. Loro hanno scelto di vivere. […] Hanno voluto affrontare il lutto in riva a quello stesso oceano che gli ha inghiottito il figlio, sottoporre la loro coppia a quella prova, anche se non ne parlano in questi termini.
Anna e Thomas Sénéchal sono in lutto. Il loro unico figlio decenne Gabriel è annegato in mare per un’assurda fatalità. Uscito di sera a fare una passeggiata con il papà, complice il buio e la pioggia battente, ha inciampato in uno degli anelli d’ormeggio delle barche a bordo pontile ed è stato risucchiato dalle onde, sotto gli occhi atterriti del padre.
Tutto è difficile per questa coppia così provata, la vita, l’affettività, il lavoro, ma hanno fatto quadrato e cercano di puntellarsi l’un l’altra. Anne vuole continuare il suo lavoro di infermiera e Thomas quello di immobiliarista, l’ultimo di tanti impieghi che, per un motivo o per l’altro, non l’avevano soddisfatto nel corso della vita.
Allontanarsi dalla casa nella minuscola cittadina bretone, per la quale si erano trasferiti da Parigi, non è pensabile: da quasi un anno la rada dove si è consumata la tragedia ha per loro un’attrazione catartica.
Alla giudice Dominique Bontet è stato affidato il caso del piccolo Gabriel fin dai primi istanti della tragedia, quando dovette recarsi sul molo maledetto. Oramai sono trascorsi dieci mesi dall’accaduto ma la Bontet non si è risoluta ancora a chiudere il fascicolo, come le avrebbe più volte richiesto il procuratore.
Nulla quaestio che si sia trattata di una tragica fatalità e che le indagini abbiano appurato che i Sénéchal non possano neanche fare causa all’autorità portuale per una qualche negligenza nella fissazione dell’anello; no, tutto è a posto e il fascicolo è chiudibile, ma Dominique Bontet ha provato sulla propria pelle il dolore e la conseguente umiliazione professionale di aver travisato un caso che riguardava una bambina, accusando il padre di omicidio invece che la madre.
Per Gabriel Sénéchal, la cui foto è appuntata sulla sottocartella gialla del caso a suo nome, la Bontet vuole solo prendersi tutto il tempo disponibile e rassicura il riluttante procuratore che chiuderà il caso a tempo debito.
Anche dopo venticinque anni la tensione è sempre la stessa. […] Testimone, imputato, fermato: poco importa lo status, la magistrata sa che ognuno di quegli incontri potrebbe sconvolgerle l’esistenza. Quei minuti iniziali potrebbero trasformarsi in una presenza ossessionante per mesi.
Comunica anche questa decisione a Thomas Sénéchal, il quale le fa però presente come la chiusura di quel fascicolo permetterebbe a lui e a sua moglie di iniziare davvero a elaborare il lutto.
La Bontet spiega a Sénéchal che vuole prendersi tutto il tempo a disposizione perché ci tiene a redigere una minuziosa relazione conclusiva.
Le piace trascrivere e dettagliare i fatti e i gesti dei gendarmi, rileggere le parole pronunciate nelle varie audizioni, infilarci dentro, discretamente, qualche formula ad hoc per dare un tocco di umanità a quelle carte così fredde. Così facendo le sembra di restituire un po’ di vita al defunto, anche se il suo lavoro finirà dentro uno scatolone relegato negli archivi sotterranei del tribunale.
Quando al giudice Bontet viene assegnato il caso della signora Iris Derrien che ha denunciato per violenza domestica il marito Patrice Le Bihan, il destino vuole che nelle indagini venga coinvolta anche Anne Sénéchal, risultando essere l’infermiera a domicilio chiamata dai Le Bihan per medicare una ferita alla testa della figlia minore.
Negli ultimi mesi, l’esplosione dei feminicidi e delle denunce per violenza sessuale e molestie ha scatenato un gran via-vai di uomini nel suo ufficio. Dominique sente spesso una certa forma di resistenza a riconoscerle il diritto di giudicare la loro onnipotenza. Quasi una volontà di negarlo. Lei pensa che la loro arroganza e i loro pregiudizi abbiano un impatto drastico su quella che rappresenta la più grande ricchezza dei giudici: l’intima convinzione.
Il rapporto di complicità che si stringerà in questa congiuntura dolorosa tra Anne e Iris costituirà il prodromo di un cambiamento totale anche del caso di Gabriel, e la giudice istruttrice dovrà, a quel punto, dare corpo alle ombre che danzavano sul limitare della sua intima convinzione e che le avevano impedito di redigere la relazione finale.
La frusta pesa nella mano del carnefice stanco.
Che questo romanzo sia stato candidato al Gran Prix de Littérature Policière appena uscito non mi stupisce affatto. Anzi, mi stupisce che non abbia vinto per la qualità della prosa, i temi sociali trattati e la trama originale. Ѐ grazie a Carbonio Editore e all’ottima traduzione di Francesca Bononi che Fabrice Tassel è giunto in Italia dopo ben quattro romanzi. E mi ha colpita al cuore per la grande somiglianza con la profondità psicologica di Simenon.
Penserete che sono impazzita e che magari supervaluto un autore che ho appena conosciuto per un entusiasmo momentaneo, ma vi assicuro che questo noir di Tassel è una ventata di aria fresca ma classica al medesimo tempo.
Pensiamo solo al titolo, “Sembrano uomini“.
C’entra forse l’intelligenza artificiale? Sono creature venute da Marte che si camuffano da umani?
Ovviamente nulla di così banale. L’Autore mette a nudo il concetto stesso di patriarcato e del suo (mal)funzionamento, presentandoci uomini che pur incarnando agli occhi della società il massimo della riuscita maschile (padri di famiglia, mariti, impiegati operosi) implodono a causa della propria incapacità, vigliaccheria, ambiguità che non sono capaci di gestire.
E non si tratta di avere un gemello cattivo come in “Pietr il Lettone” di Simenon, ma avere in nuce tutte le contraddizioni e non saperle gestire perché la società continua ad avvantaggiarli.
Il futuro non li preoccupava minimante, un uomo trova sempre la sua strada e un lavoro, e non sarebbe certo stato l’imminente arrivo degli anni 2000 a scalfire quella verità.
Di classico invece c’è la prosa fluente e precisa, la narrazione a doppia spirale e la capacità di una lenta introspezione che, se in alcuni punti sembra rallentare oltremodo il fluire della narrazione, racchiude in sé tutti gli elementi per l’epifania finale che travolge i protagonisti.
Aggiungiamo poi la costa bretone sferzata dalla mareggiata fatale che ha travolto Gabriel, i piccoli villaggi di pescatori, i capelli rossi della Bontet, il fatto che la Bretagna l’ho girata in lungo e in largo e mi è rimasta nel cuore, sono stata travolta da una vertigine e con questo polar è stato un po’ salire a bordo dell’Ostrogoth con il mio scrittore preferito.
Fabrice Tassel, giornalista e scrittore, vive a Parigi. Originario della Bretagna, è un instancabile viaggiatore, il cui sogno è visitare almeno cento Paesi del mondo. “Sembrano uomini” è il suo quarto romanzo, candidato a prestigiosi riconoscimenti, tra cui il Grand Prix de Littérature Policière 2023.
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