A mosca cieca di Faye KellermanCon A mosca cieca prosegue la pubblicazione dei romanzi della serie di Peter Decker e Rina Lazarus che Faye Kellerman ha iniziato a scrivere nell’ormai lontano 1986.
Proprio quell’anno usciva infatti The Ritual Bath, il romanzo che oltre a descrivere i due futuri protagonisti della serie, li faceva incontrare e nel legava indissolubilmente il destino.

The Ritual Bath ottenne, l’anno seguente, una vittoria al Macavity come miglior romanzo d’esordio e una nomination all’Anthony Award nella stessa categoria. Da quel 1986 sono passati trent’anni e si sono accumulati ben ventitré titoli in una delle serie poliziesche più longeve e conosciute in USA.

Qui in Italia Faye Kellerman è apparsa in libreria piuttosto recentemente: i primi cinque romanzi del ciclo Decker-Lazarus grazie a Cooper e ora il testimone è passato ad HarperCollins Italia, che con A mosca cieca ci offre il diciottesimo volume della serie, uscito in originale nel 2009 con il titolo di Blindman’s Bluff.
Grazie alla struttura della serie non è necessario aver letto i precedenti capitoli e ogni romanzo può essere gustato come volume a se stante anche se ovviamente per chi già conosce i personaggi avrà un valore di lettura in più.

Quando Peter Decker riceve una telefonata alle tre della notte, capisce subito che deve trattarsi di qualcosa di molto grave: in qualità di tenente della squadra omicidi di un’area relativamente tranquilla di Los Angeles, non è abituato a essere disturbato ogni notte. Il caso si presenta fin da subito sensazionale e molto importante: qualcuno ha fatto irruzione nel Coyote Ranch, un grande appezzamento di terra con vari edifici, di proprietà di un facoltoso imprenditore edile, Guy Kaffey.

Gli assassini, dopo ave ucciso le due guardie presenti al cancello, sono riusciti a penetrare nell’edificio e a sterminare Kaffey, la moglie e altri due dipendenti. Il morto, insieme al fratello più giovane, Mace, ha in sostanza costruito gran parte dei centri commerciali presenti nella zona e oltre che noto imprenditore era anche molto attivo in cause filantropiche, donando milioni e impegnandosi nel recupero di ex-criminali, assumendone addirittura alcuni come guardie del corpo.

Per Decker il caso si presenta molto complicato. Potrebbe trattarsi benissimo di un inside job compiuto da qualche dipendente o ex dipendente del morto, ma potrebbe trattarsi anche di qualche rivale: chiunque accumuli una tale fortuna in vita è destinato a farsi qualche nemico.

Le investigazioni sono laboriose e arrivano fino in Messico: l’unica consolazione per Peter Decker è che sua moglie, Rina Lazarus, è ben al sicuro. La donna è infatti impegnata come giurata in un processo molto semplice e lui può quindi impegnarsi al massimo nelle indagini. Ma per puro caso, durante un intervallo, un interprete non vedente che lavora al Tribunale chiede a Rina di descrivergli i volti di due persone che stanno parlando lì vicino. Persone coinvolte con quanto accaduto al Coyote Ranch, e ora la partita per Decker diventa molto più difficile, perché se vuole salvare sua moglie dovrà individuare il colpevole quanto prima possibile.

Giunta al diciottesimo titolo di questa serie, Faye Kellerman ormai conosce alla perfezione i due protagonisti e sa muoverli sulla scena di Los Angeles e dintorni con grande abilità, condividendo con il marito (Jonathan Kellerman, autore di thriller psicologici molto noto e apprezzato anche qui in Italia) alcuni importanti punti di forza.
Psicologia dei personaggi a parte, infatti, questa scrittrice sa sfruttare molto bene le descrizioni del paesaggio e della città, così da provocare un senso di familiarità in chi segue da tempo questa serie.

Nel caso di A mosca cieca, rispetto ad altri titoli, abbiamo da un lato una trama mediamente ancora più intrigante e coinvolgente rispetto a quelle cui siamo abituati con Peter Decker e Rina Lazarus, a scapito di una minore caratterizzazione dei due, che però non risulta d’ostacolo al godimento dell’intreccio e degli accadimenti.
Colpi di scena e momenti di azione si susseguono con buon ritmo: i lettori molto forti e smaliziati di thriller potrebbero individuare o perlomeno sviluppare forti sospetti riguardo l’identità del colpevole ben prima della conclusione del romanzo, ma questo è un loro merito e non una colpa dell’autrice, che sparge comunque vari detour e sospetti così da prolungare la suspense per quanto possibile.

Uno degli elementi di maggior forza di tutto il ciclo creato da questa scrittrice è la scelta di far invecchiare i protagonisti, che è anche una scelta destinata a far terminare, prima o poi, questa serie.
Abbiamo visto i personaggi ricorrenti maturare e cambiare di episodio in episodio e questo aggiunge un tocco di realismo cui non siamo sempre abituati.

Ci sono molti cicli nei quali decine di volumi sembrano ambientati più o meno nello stesso anno, così non accade per le gesta di Peter Decker e Rina Lazarus ed è un cambiamento ben gradito, assistiamo alle imprese di una copia che prima o poi, per motivi di età, non potrà più occuparsi dei casi.
Per il resto Faye Kellerman inserisce molti elementi ai quali i suoi lettori sono ormai abituati da tempo, dai particolari riguardanti la religione ebraica al continuo e intenso scambio di informazioni fra marito e moglie; mentre dal punto di vista della trama il buon numero di persone sospettabili garantisce al lettore la giusta incertezza e libertà di seguire con attenzione che crede che sia davvero colpevole.

A mosca cieca è anche, per coloro che hanno seguito tutti gli episodi del ciclo, un notevole miglioramento rispetto al precedente Cold Case (2008), anche se la struttura di base soffre un pochino per la presenza di coincidenze che, pur essendo essenziali per far proseguire la trama, sembrano a tratti forzose.

Buon thriller da ombrellone, ora non possiamo far altro che sperare che sia solo il primo volume e che HarperCollins Italia intenda tradurre e pubblicare altri romanzi di Faye Kellerman.

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