Franco ForteCome anticipato qualche giorno fa, intervistiamo oggi Franco Forte e ci facciamo raccontare un po’ meglio da lui il suo nuovo romanzo, Il segno dell’untore, da poco edito da Mondadori. Ecco la chiacchierata che ci siamo fatti… buona lettura!

[D]: Ciao Franco, benvenuto nuovamente al Thriller Café, stavolta non in veste di direttore editoriale ma di scrittore. In questi giorni è uscito il tuo nuovo romanzo, “Il segno dell’untore”: ce ne racconti la genesi?
[R]: Da tempo studio la storia della mia città, Milano, tanto da averne parlato in diversi racconti e in un romanzo, “I bastioni del coraggio”, uscito nel 2011 per Mondadori. Durante le mie ricerche, però, mi sono imbattuto in una categoria di personaggi a mio avviso formidabili, originali (nessuno ne ha mai scritto, che io sappia) e potenzialmente in grado di dare vita a un protagonista di grande effetto, da riproporre in una serie di romanzi che ne raccontino le avventure. Mi riferisco ai notai criminali, ovvero agli equivalenti dei moderni commissari di polizia nel 1500 milanese. Dei magistrati che avevano il compito di indagare sui casi criminali e sulle ruberie, e che in tempo di emergenza sanitaria o politica, potevano assumere grandi poteri. Studiando a fondo le caratteristiche dei notai criminali, ho scoperto che utilizzavano delle tecniche di indagine davvero incredibili, per certi versi molto attuali, anche se alla fin fine la loro vera forza risiedeva nell’intuito, nell’esperienza e nella capacità deduttiva di cui potevano disporre. Questi Sherlock Holmes del 1500 hanno esercitato un grande fascino su di me, e quindi ho pensato di scrivere un romanzo dedicato a Niccolò Taverna, giovane notaio criminale che nel 1576, periodo particolarmente difficile per Milano, piagata da una peste terribile (ben più di quella di manzoniana memoria), deve indagare sull’omicidio di un inquisitore, e nel frattempo risolvere il mistero della scomparsa di un prezioso candelabro di Benvenuto Cellini dal Duomo, a quel tempo ancora in fase di costruzione grazie agli sforzi del Cardinale Carlo Borromeo. L’indagine sarà serrata e senza soste, e si concluderà nell’arco di una sola giornata, dopo mille peripezie e, soprattutto, dovendo tenere a bada i poteri forti della città, che esercitano pressioni formidabili su Niccolò: dalla Santa Inquisizione alla Corona di Spagna, dall’arcivescovo Borromeo al Tribunale di Sanità.

[D]: Negli anni hai spaziato molto nei generi, ma ultimamente le tue pubblicazioni sono quasi tutte di tipo romanzo storico: cosa ti affascina del passato?
[R]: La possibilità di raccontare mondi esotici che non potremo mai vedere con i nostri occhi, a meno che qualcuno non inventi la macchina del tempo…

[D]: Si tratta di un sottogenere in cui si cimentano – con alterne fortune – molti tuoi colleghi. Credi sia più facile o difficile scrivere un libro ambientato secoli fa che non nel presente (o nel futuro, visto che hai scritto anche fantascienza)? Quanto ampie sono le libertà dello scrittore e quanto stretti i paletti?
[R]: Scrivere romanzi storici è difficile. Molto difficile. Prima di tutto bisogna studiare, informarsi, raccogliere materiale, e non lo si può fare frettolosamente, affidandosi a Internet. Per i miei romanzi di solito impiego dai sei agli otto mesi solo per studiare la documentazione storica e raccogliere il materiale che mi serve. Poi per scrivere il libro in sé posso metterci anche solo tre mesi, ma comunque mai quanto il periodo che trascorro sommerso tra le carte per assimilare quanto più possibile di un periodo storico ben preciso. Dopodiché, quello che deve fare il romanziere è sfruttare un 10% al massimo di quanto si è appreso, per non rischiare di far diventare il romanzo un polpettone indigesto o, peggio, un saggio scolastico, e anche questa operazione richiede uno sforzo notevole, e una grande capacità di saper calibrare le diverse componenti della narrativa. Per questo scrivere romanzi storici è più difficile che parlare del mondo d’oggi o, come nel caso della fantascienza, di quello di domani.

[D]: Ti cito: “Il segno dell’untore è un romanzo che riunisce tutte le mie passate esperienze di autore di thriller e di romanzi storici in un unico libro”. Puoi approfondire il concetto?
[R]: Certo. I miei precedenti romanzi, come “I bastioni del coraggio”, “Roma in fiamme”, “Carthago” e “La compagnia della morte” erano propriamente romanzi storici, ovvero cercavano di rendere un frammento del nostro passato in termini narrativi, portando il lettore accanto a personaggi storici realmente esistiti, pur con un contorno di protagonisti d’invenzione capaci di rendere più solido il tessuto narrativo, per fargli vivere eventi del passato registrati in tutti i libri di storia. Dalla battaglia di Legnano fino alle scorribande di Annibale per l’Italia, passando per l’incendio di Roma. “Il segno dell’untore” recupera tutto quello che ho imparato nell’arte di ricostruire frammenti del nostro passato, per amalgamarlo con una storia di indagine criminale, un plot che ruota attorno a un omicidio e agli sforzi di un investigatore per trovare l’assassino. Ovvero, lo sfondo storico si intreccia con il thriller per dare vita a un romanzo che è sì di fantasia, ma non manca neppure per un secondo di trasmettere al lettore il fiato e l’atmosfera di un momento particolare della storia di Milano, con la sua drammatica epidemia di peste e personaggi di prima grandezza come Carlo Borromeo.

[D]: Cosa il lettore potrebbe apprezzare maggiormente di Niccolò Taverna, e perché?
[R]: Niccolò Taverna è un investigatore estremamente moderno che si muove in un mondo che conosce molto bene, e che a noi lettori del ventunesimo secolo appare del tutto estraneo. La sua capacità deduttiva, unita a uno spirito lavorativo tipico del milanese di ogni tempo e stagione, lo rendono un mastino dell’investigazione, che non molla mai e per nessun motivo, e che nonostante le pressioni a cui è sottoposto riesce a districarsi tra le mille difficoltà in cui si ritrova (e in cui lo fanno finire), per assicurare i colpevoli alla giustizia. E’ un eroe moderno, insomma, senza macchia e senza paura, ma con tutti i limiti dettati dagli strumenti messi a sua disposizione dal contesto storico particolarissimo in cui si muove.

[D]: Ovviamente, una trama – per quanto appealing – non fa un romanzo: se dovessi dire un motivo per cui davvero questo libro può piacere, cosa indicheresti?
[R]: La copertina! Scherzo… ma neppure troppo. Il motivo credo sia quello che ho riassunto sopra con la frase che tu hai utilizzato per farmi una domanda: in tanti anni di mestiere credo di avere affinato al meglio la capacità di scrivere romanzi thriller con trame che sappiano intrigare il lettore, e al contempo ho dimostrato di sapermi muovere con autorevolezza nel difficile campo del romanzo storico. “Il segno dell’untore” è la summa di queste mie esperienze, e quindi credo possa risultate interessante sia per gli appassionati del giallo e del thriller, sia per i tanti lettori che apprezzano il romanzo storico.

[D]: Progetti futuri: c’è già qualcosa su cui stai lavorando come autore? Puoi anticipare qualche dettaglio?
[R]: Mi piacerebbe scrivere tantissime cose, ma in realtà il tempo è poco e le esigenze del mercato (e del mio editore) mi impongono di continuare la strada intrapresa, e quindi mi sto concentrando sulla seconda indagine di Niccolò Taverna, il cui spunto iniziale si trova… al termine di “Il segno dell’untore”.

[D]: Ok, adesso ti lasciamo ri-varcare la soglia del locale. Grazie per la disponibilità, Franco, e in bocca al lupo da parte mia e dei lettori di Thriller Café.
[R]: Crepino tutti i lupi e grazie a Thriller Café per l’ospitalità.

Articolo protocollato da Giuseppe Pastore

Da sempre lettore accanito, Giuseppe Pastore si diletta anche a scrivere e ha pubblicato alcuni racconti su antologie e riviste e ottenuto vittorie e piazzamenti in numerosi concorsi letterari. E' autore (assieme a S. Valbonesi) del saggio "In due si uccide meglio", dedicato ai serial killer in coppia. Dal 2008 gestisce il ThrillerCafé, il locale virtuale dedicato al thriller più noto del web.

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