Da poco edito da Edizioni e/o con traduzione di Raul Schenardi, oggetto della recensione di oggi al Thriller Café è Ritorno alla buia valle, romanzo del colombiano Santiago Gamboa.

Richiamato da una una donna del suo passato lo scrittore protagonista del libro, ex console, lascia un’Italia inghiottita dalla crisi come la Concordia dalle acque del Giglio per raggiungere Madrid, dove lei gli ha dato appuntamento. È l’inizio di una lunghissima attesa: mentre un irruzione jihadista in un’ambasciata tiene sotto scacco per lungo tempo la capitale spagnola e il mondo intero, il protagonista si perde nei suoi pensieri, evocati dalle vie che lo avevano accolto da ragazzo.

È bello scrivere in mezzo alla bufera, anche se non suona molto simpatico nei confronti del paese in cui vivo. Può darsi che sia addirittura immorale o spregevole, ma è vero. Si scrive letteratura anche mentre il sangue scorre per le strade, quando l’ultimo eroe sta per essere falciato da una raffica o un bambino si sfracella la testa sull’asfalto. Ciò che va bene per la scrittura non sempre fa bene alla popolazione inerme che vive lì.

L’amore e lo studio che il letterato protagonista dedica a Rimbaud permette a Gamboa di fare digressioni espositive sulla vita del celebre poeta, un’anima in pena come gli altri personaggi principali. Interi capitoli potrebbero essere tratti da una sua biografia divulgativa, che ripercorre il periodo di formazione fatto di vagabondaggi e stenti auto-inflitti di questo giovane diavolo la cui passionalità visionaria lo fa romperle prima con la famiglia e poi con i circoli letterari parigini, distruggendo gli schemi tradizionali della vita e della poesia. Le dure esperienze cui va incontro lo scaraventano “in alto mare, là dove nuotano i mostri più pericolosi, dove non basta guardare in faccia il male: bisogna anche sostenere il suo sguardo”. L’autore narra del tormentato rapporto con l’amico/amante Verlaine, e poi il grande mistero della vita del poeta, inspiegabile: lui, il più promettente autore dell’epoca e quello più devoto alla Musa, improvvisamente rifiuta la poesia, abbandona la scrittura e comincia una serie di viaggi inesausti ai confini del mondo. Cosa stava cercando Rimbaud?

Intanto leggiamo le pagine che un’altra protagonista, Manuela, sta scrivendo al suo dottore, una sorta di diario a scopo terapeutico. La donna ha avuto un’adolescenza burrascosa, tra abusi e ricerca spasmodica di sesso anche e soprattutto quando ha deciso di farsi suora. D’altronde, “Non c’è una certa spiritualità anche nell’eccesso?”. Ora, non senza una dose di esibizionismo, racconta al medico quel periodo turbolento al quale è sopravvissuta pagando un caro prezzo, perdendo il cuore e costruendosi una corazza contro il mondo esterno. Unica via di fuga, al riformatorio come fuori, sono i libri e, successivamente, la scrittura di poesie, un mezzo potentissimo per espellere con violenza tutto ciò che Manuela ha dentro. La ragazza ha talento e presto si troverà a vivere da artista, in una Bogotà che racchiude il bello e il brutto della Colombia, i quartieri poveri e quelli benestanti, la miseria e le opportunità negate in provincia.

Tutti i protagonisti sono legati tra loro dalla letteratura, che è un mezzo di salvezza. La poesia è il balsamo per le ferite che infligge la vita. Manuela e Rimbaud condividono il dolore di uno stupro (e quanto è crudo il racconto della violenza subita dal giovane Arthur) che li ha messi di fronte alla crudeltà senza senso dell’esistenza, ad “un dio contorto e cinico, freddo e rancoroso”. L’intero romanzo è anche una dichiarazione d’amore per i libri. Quest’attenzione ai racconti è testimoniata dalla struttura dell’opera, composta da resoconti, diari, più voci che però non frammentano il testo, occupando ciascuna uno spazio esteso.

Senza che ce lo aspettassimo prende la parola, rivolgendosi al console, un altro personaggio. Sembra il leader di una misteriosa setta e, oltretutto, afferma di essere figlio di Papa Francesco. Dai suoi proclami emerge un’ideologia che echeggia quella dell’estrema destra contro il relativismo e nemica del meticciato, ma è ancora più inquietante perché risulta affascinante: non ci troviamo di fronte ad un becero nazista, ma ad un’intelligenza che profetizza l’imminente collasso della società occidentale, al qual contrappone la forza rigenerativa della distruzione, la difesa dell’igiene e dell’ordine naturale delle cose sotto forma di attacco a chi minaccia questi valori.

Se la risposta di Manuela, del console e di Rimbaud alla durezza del mondo è l’arte, la sua, che rivive un secolo dopo uno stupro molto simile a quello subìto dal poeta francese (un altro legame tra storie apparentemente indipendenti), è la vendetta più spietata, coronamento sia del suo senso di rivalsa personale che dell’ideologia della purezza che lo anima.

Tra i vari racconti che fanno vivere questo romanzo c’è poi anche quello di un prete che combatte la sua guerra contro le Farc, certo che il Signore approvi i suoi metodi. “Se Gesù fosse vivo sarebbe al nostro fianco. Indosserebbe una tuta mimetica e di notte uscirebbe per strada a liquidare comunisti”. Dalle sue parole emerge l’affresco di una Colombia intrisa di un conflitto spietato fin dentro i suoi più piccoli paesini, costretti a schierarsi e a vivere immersi nella violenza.

Ritorno alla buia valle ha un ampio respiro, si concede lunghe parti descrittive sulla situazione politico-sociale di un Occidente malato nel quale il capitalismo sfrenato ha distrutto ogni cosa. Non ha fretta di annodare i fili del racconto in un’unica tessitura. Fino alla seconda parte si fatica a vedere un unico disegno, poi gli incroci che metteranno in contatto i protagonisti si chiarificano. Gamboa gioca col senso del tempo di noi lettori, senza sfociare in una trama labirintica, con qualche lieve incursione nel metaletterario. Viene spiegato anche il titolo del romanzo: i protagonisti rientreranno in Colombia per una vendetta che è, secondo una calzante definizione, “è la grande scopata dell’odio.

Nell’ultima parte del libro la violenza, serpeggiante in tutto il romanzo, raggiunge un livello disturbante, aumentato dalla sua fredda esposizione, fino al tentativo da parte dei protagonisti ed in particolare del console di trovare, nell’epilogo, una pace seguendo i passi che tanto tempo prima aveva fatto Rimbaud.

Pensai all’idea del ritorno e mi domandai se fosse davvero possibile. È possibile tornare? Tornare dove? Dove torniamo realmente?

Ti è piaciuto l'articolo? Iscriviti alla newsletter

Inserisci la tua email e riceverai comodamente tutti i nostri aggiornamenti con le novità, le anticipazioni e molto altro.

Compra su Amazon

Ritorno alla buia valle
  • Gamboa, Santiago (Autore)

Articolo protocollato da Nicola Campostori

Laureato in Scienze dello Spettacolo, vive nella Brianza tossica. Attualmente lo puoi trovare in biblioteca, da entrambe le parti del bancone. Collabora con "Circo e dintorni". Ama il teatro, e Batman. Ha recitato, a volte canta, spesso scrive, quasi sempre legge. Nutre i suoi dubbi, ed infatti crescono bene.

Nicola Campostori ha scritto 76 articoli: