Su Thriller Café oggi si parla di Dario Argento e del suo ultimo film, Giallo. Purtroppo, una brutta pellicola: ecco il parere di Luca Marchetti.

Al peggio non c’è mai fine. E’ questo il pensiero che può venire in mente pensando agli ultimi film del maestro (ha senso continuarlo a chiamare cosi?) Dario Argento. Dopo aver cercato di ritornare ai fasti di capolavori come L’uccello dalle piume di cristallo con pellicole orride (Il cartaio, Non ho sonno) questa volta ci riprova in grande (ci sono soldi americani) con Giallo. Affermare che la nascita di questo film è stata travagliata è un eufemismo. Messo in produzione con un altro cast (Ray Liotta, Vincent Gallo) questo progetto si arenò velocemente finendo nell’oblio. Grazie solo alla sua tenacia encomiabile, Argento è riuscito a trovare finanziatori e a dirigerlo. Ebbene, spiace sinceramente dirlo, ma Giallo è l’ennesima conferma che la carriera del regista romano ha ormai preso una pessima piega.

Dal punto di vista registico stiamo sul televisivo spinto, con una fotografia piatta e patinata e senza nessuna trovata originale. Anzi, fa tenerezza vedere gli effettacci messi in scena (come si può pensare che nell’epoca del torture porn questa roba possa creare malessere?). L’unica cosa che si salva è la splendida ambientazione di Torino, ma, forse, il merito di questo è più della città che del regista. Fino a questo punto, però, non c’è ancora niente che possa far gridare allo scandalo. La caratteristica che veramente affossa la pellicola è infatti una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti. Stiamo parlando di scene inverosimili, dialoghi ridicoli e svolte narrative talmente poco plausibili da lasciare a bocca aperta. Pensare che la penna che ha scritto e riscritto questa roba è la stessa di C’era una volta il west getta nello sconforto. Peggiore ancora è la costruzione dei personaggi. Se sulla protagonista femminile si può, a fatica, chiudere un occhio, non si può certo accettare un eroe e un mostro tanto patetici (se poi si aggiunge la scelta di casting suicida che si è fatta…) pensando di renderli profondi e interessanti solo abusando di flashback indigesti. Alla luce di ciò non si può che considerare inutile lo stuolo di “star” (chiamiamole cosi) messe in campo. Elsa Pataky deve solo piangere e urlare e per quanto lo fa bene si capisce che è più bella che brava. Emmanuelle Seigner invece recita in modo svogliato come se stesse su questo set per motivi alimentari più che per convinzioni personali. Il peggiore del lotto però è l’illustre Adrien Brody. Come Nicolas Cage il suo nome ultimamente sta diventando sinonimo di “prodotto da evitare” e dimostra che in alcuni casi la maledizione dell’Oscar (lo vinci e vedrai la tua carriera precipitare verso abissi oscuri) è tristemente vera. Il suo ispettore Enzo Avolfi, con la sua sigaretta perennemente accesa, riesce ad essere poco convincente in ogni singola inquadratura, non suscitando mai empatia, nemmeno per sbaglio. Visto i risultati, non era meglio invece che scomodare gente da Hollywood, affidarsi a qualche onesto mestierante italiano, ad esempio un Raoul Bova, che nonostante la quantità di prodotti discutibile che fa, ci mette sempre cuore ed impegno? Giallo, per oscuri motivi, non è uscito in sala e forse avrà una vita solo nell’home video. Di solito io odio questo genere di cose, ma in questo caso mi sembra una scelta più che ragionevole.

Luca Marchetti

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