“<Feriae Augusti> sillaba il Prof <Traduco per gli ignoranti, il riposo di Augusto>.
<Festività istituita dall’imperatore Augusto nel 18 dopo Cristo> gli fa eco la Carla <Si aggiungeva alle festività dello stesso mese, come i Vinalia rustica, i Nemoralia e i Consualia …” e gli altri stanno tutti lì attorno, ad ascoltarli. Sono a Fiorenzuola di Focara, frazione del Comune di Pesaro, dove il dott. Danilo Baroncini, alias il Barone ha installato la propria casa, servito e riverito dai 133 abitanti orgogliosi di ospitare un primario. Ci sono tutti: Sergio Baldazzi detto l’Ingegnere con la Mari, la Raffa che sta col Barone, Pietro Gabrielli (il Professore, professione bibliotecario) con la fidanzata letterata ma soprattutto c’è Andrea Muratori, detto Mura, giornalista in pensione. Forse c’è anche la Cate, corrispondente di guerra e scopamica del Mura, ma non è detto perché è sempre in giro senza obblighi di comunicare con lui.
Il quartetto maschile è inossidabilmente amico dall’epoca dell’infanzia, e vive di reciproci sfottò, come gli Amici miei di Monicelli, che cita volutamente intonando Rigoletto e la nota Bella figlia dell’amore. Mangiano e bevono, da bravi bolognesi, e si godono la vita e l’amicizia, tutti per uno come i moschettieri. Ma tra loro si annida un epigono di Philip Marlowe, quel Mura che- nonostante viva in un posto tranquillo come Borgomarina dove, a parte nei mesi estivi, gira pochissima gente – trova sempre il modo di cacciarsi nei guai facendo l’investigatore privato dilettante.
Questa avventura si svolge così in pieno agosto, sotto il sole (sotto il sole) di Riccione (di Riccione, perché se devi citare TheGiornalisti, devi ripeterlo) ed ha come protagonista, morto sin dalla prima apparizione nel romanzo, un fotografo noto per una specializzazione pruriginosa (dalle foto osè è passato ben presto ai porno e alle chat erotiche) trovato – novello Papillon – inforcato da un gigantesco dildo nero.
Ma ad incaricare Mura non sono i parenti, tanto meno il figlio: è una donna (bellissima, perché i quattro amici, il cui motto è che i sessanta sono i nuovi quaranta, sono molto sensibili al fascino femminile) che teme il marito la tradisca, e poi una seconda donna (bellissima, vedi sopra) che potrebbe venir accusata dell’omicidio del fotografo.
Tra ombrelloni stipati di gente, gustosissime mangiate con gli amici, sporadiche corsette sulla spiaggia ed una voglia- mai sopita – di stanare uno scoop, Mura si lancia all’inseguimento di dettagli ed indizi, e ben presto questi convergono sul viale Verrazzano, l’arteria di Lido di Classe dove si annidano tutti i trans che battono sul litorale romagnolo. O comunque un buon numero.
Lui è sempre disincantato, vive in un capanno di pescatori sul molo di sinistra rispetto al porto canale, si fa prescrivere le pilloline blu dal Barone (come gli altri due, non se lo nascondono neppure) perché non si sa mai, intanto non si fa pagare dalle due bellone, e si fa prestare la Porsche dal Professore per tallonare i sospetti e teorizza sulla piadina, come va fatta, come va farcita. E approda nel centro della storia, che non è a Borgomarina né a Riccione, non (nel)la Romagna delle cartoline turistiche. Una Riviera più povera e semplice, edificata sul nulla: Lido di Classe, Lido di Dante e l’invasione dei trans, mal tollerati dai residenti che arrivano a organizzare un pestaggio di massa con tanto di incendio delle loro case.
Il romanzo è godibilissimo, intanto perché è pieno di citazioni, di ricordi, di abitudini che chi di noi ha almeno 40-50 anni può condividere con Enrico Franceschini: la colonna sonora, i nomi delle discoteche, gli usi italiani di andare in vacanza lì, dove il mare è così caldo non per quanto ci picchia il sole ma “per quanti ci pisciano dentro”, dove si affittano i pedalò per andare al largo, e le pensioncine da poco servono pranzi e cene alla buona.
Poi ci sono i quattro, certo, speculari a tanti quartetti maschili, dal Conte Mascetti & co., passando per il BarLume e la Squadra speciale Minestrina in brodo (ma in Malvaldi e Centazzo indagano tutti, qui sono troppo pigri e lasciano che sia Mura a dilettarcisi) ma con una loro fisionomia definita, fatta soprattutto delle migliaia di aneddoti che condividono e che li fanno sentire, oltre cinquant’anni dopo, ancora paghi e divertiti di ri-citarli ancora.
E ci sono i grandi misteri italiani: dov’è finito l’oro di Dongo del Duce, forse a Riccione, dove passava ferragosto anche lui? Dove mangiamo stavolta per il pranzo del 15? Quante ore devono passare prima di poter fare il bagno?
E per me, che da piccola ho passato tante estati a Pinarella di Cervia (pur essendo milanese non mi portavano in Liguria), è ancora vivo un interrogativo: sono più buoni i bomboloni, i croccantini o i canditi dell’omino vestito di bianco che passa in spiaggia dopo le cinque? Perché se “piangìte bambini (non è un errore di stampa, diceva proprio così), la mamma ve li compra”…
Un libro da leggere d’un fiato, prima che inizino i temporali, prima che torni l’autunno…
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