scrivere-mysterySiamo arrivati alla sesta puntata di Scrivere un mystery con Gillian Roberts. Come ormai ben saprete, le precedenti le trovate tra le lezioni di scrittura thriller di Thriller Cafè, assieme ad altri articoli simili. Oggi i consigli della Roberts, tratti dal libro You can write a mystery, ci insegnano a padroneggiare il punto di vista.

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E’ tutto nel vostro punto di vista.

Da che punto di vista il lettore vedrà svolgersi la storia? Sarà attraverso gli occhi del detective? (“Mentre camminavo per andare a lavorare quel giorno, pensando a …”)
O la sua storia invece sarà raccontata da una voce esterna? ( “Mentre camminava per andare a lavorare quel giorno, pensando a …”)
Oppure ci saranno diversi punti di vista, forse di persone in rotta di collisione?
Queste sono le vostre principali opzioni, molto razionalmente chiamate “punti di vista,” e quello in cui ci si pone determina ciò che può essere visto e conosciuto. Ognuno ha punti di forza e di debolezza da prendere in considerazione.

La prima persona (“Io”) ci viene naturale. E’ il modo in cui abbiamo raccontato le nostre storie per tutta la vita, e a causa di questo, suona realistica per il lettore. Siamo condizionati a credere che qualcuno (anche un qualcuno immaginario) che dica: “Questo è ciò che è accaduto a me”, dica la verità, o almeno la sua versione della verità.
Un altro vantaggio per la prima persona è la sua capacità di dare vita al narratore attraverso una voce distintiva. Filtriamo tutto attraverso la visione del mondo letterale e figurativa del protagonista, mentre ci parla, quindi potete – e dovreste – rendere il suo linguaggio, i suoi pareri, e il suo atteggiamento generale con le persone e gli eventi vivido, unico e memorabile.
Se si sta scrivendo in prima persona, si deve vivere nella pelle del narratore, vedendo solo ciò che lui può vedere. Non si può dire, “Mentre camminavo per andare a lavorare, arrossii …” perché il vostro narratore non può vedere le proprie guance. Si potrebbe dire “ho sentito il mio viso avvampare” (o qualunque sintomo dell’arrossire che il personaggio sente), ma in tutto il libro, non si può essere ovunque, solo dentro il personaggio, ovunque si trovi.
Anche se la prima persona riduce la suspense finale perché è evidente che il narratore è sopravvissuto per raccontare la sua storia, è una voce tradizionale nel mystery perché essere confinati all’interno di una mente significa che è possibile mantenere la tensione, mantenendo il significato della storia misterioso per il lettore in quanto è tale anche per il narratore. Il rovescio è che questo restringe le opzioni per la trama. Questo non è detto che debba scoraggiarvi, semplicemente è per dire che bisogna pianificare indizi che facciano luce su ciò che è accaduto mentre il narratore era altrove – ma non, per favore, tramite il cliché di usare una telefonata, una lettera, o farlo uscire da una finestra aperta mentre l’antagonista spiega tutto.
Molto spesso, il narratore in prima persona è il detective (in un mystery), o la persona in pericolo (in un thriller), ma a volte è un personaggio secondario a narrare. Il Dr. Watson ci dice delle scoperte di Sherlock Holmes, Archie Goodwin fa la stessa cosa con Nero Wolfe, e funziona perché ciascuno di essi lavora con/per detective straordinariamente geniali e inerti in maniera anomala. Watson e Goodwin lasciano la casa, forniscono la necessaria azione e interazione e agiscono da collegamento tra il genio e il lettore, facendo le domande che abbiamo anche noi, e quindi “traducono” le idee dei loro datori di lavoro per noi. Se state scrivendo di un duo simile, allora considerate di usare come narratore il vostro Archie o Dr Watson – la persona più attiva e impegnata.

La vostra altra opzione è la terza persona, dove invece di avere un personaggio che narra la propria storia, voi lo osservate e raccontate la sua storia per lui. È come se ci dotassimo di dispositivi che ascoltano e vedono tutto, ovunque sia il vostro personaggio, anche dentro la sua testa, e quindi accendiamo tutti o solo alcuni di questi dispositivi.
Se si usano solo quelli che sono al di fuori del suo soggetto osservato, starete nella cosiddetta “terza persona oggettiva”, e registrerete solo ciò che una videocamera potrebbe vedere. E, in effetti, questo tipo di prosa, spesso appare una sceneggiatura. (Per esempio, “Camminava per andare al lavoro. Un uomo col cappello gli si avvicinò e gli chiese il motivo per cui fosse accigliato …”) Non potete dire che cosa pensa il personaggio, quindi tale punto di vista vi impone di mostrarlo attraverso azioni e dialoghi. Questo sarebbe un interessante e prezioso esercizio di scrittura, ma non vi permette di utilizzare la visione a raggi X dello scrittore per leggere la mente o il cuore. Tuttavia, tale svantaggio fu accettato anche da Dashiell Hammett – controllate “Il falco maltese” per un esempio di scrittura oggettiva.

Più comunemente, usiamo tutti gli apparecchi d’ascolto possibili, origliamo i pensieri del personaggio e sentiamo le sue emozioni. (Per esempio, “Camminava per andare al lavoro, la testa pesante mentre pensava alla confusione che dominava la sua vita. E’ tutta colpa sua, si diceva …”) A volte, si piantano questi dispositivi di ascolto tanto dentro il personaggio che si sente il suo pensiero senza che ci sia bisogno di dire “pensò”. Utilizzando lo stesso personaggio sfortunato che venga investito da un autocarro, si potrebbe scrivere: “Camminava per la strada, la testa pesante mentre pensava alla confusione che dominava la sua vita. Tutta colpa sua. Ogni minimo pezzo. Un gigantesco camion svoltò l’angolo e … ”

È possibile utilizzare più voci in terza persona, concentrandosi su più di un pesonaggio. Per esempio, per far crescere la suspense in un thriller, si potrebbe volere essere in grado di penetrare il punto di vista della vittima, del colpevole e del detective. Il lettore diventa intensamente coinvolto perché sa più di qualsiasi altro personaggio, e anche se uno di questi lo ignora, lui vede il grande quadro del pericolo che si aggrava. Ma – questo è importante – tenete un solo punto di vista per ogni scena. Non rovinate la suspense che si sta costruendo con un tuffo nella mente di un altro durante una determinata scena.

Se si utilizzano più punti di vista, abbiate la sensibilità di segnalarlo al vostro lettore agli inizi in ogni scena o al cambio di capitolo. Questo si fa facilmente nelle prime due righe: “La camera era calda. Jane sentiva il suo sudore sulla fronte …” Siamo nei suoi pensieri, proviamo le sue sensazioni – ci avete detto che siamo nel punto di vista di Jane fino ad ulteriore avviso. Il prossimo capitolo potrebbe iniziare con “Harold si disse che non avevo mai pensato a uno scherzo come a qualcosa di divertente”. E sappiamo che abbiamo ricevuto un ulteriore avviso – ora siamo nel punto di vista di Harold. Inoltre, nel decidere quale punto di vista utilizzare in una determinata scena, scegliete quello del personaggio che rischia di più. Questo creerà suspense e tensione e manterrà il vostro lettore interessato.

Divertitevi vedendo attraverso gli occhi dei vostri protagonisti.

Nella prossima lezione: Tenere attenti i vostri lettori.

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Articolo protocollato da Giuseppe Pastore

Da sempre lettore accanito, Giuseppe Pastore si diletta anche a scrivere e ha pubblicato alcuni racconti su antologie e riviste e ottenuto vittorie e piazzamenti in numerosi concorsi letterari. E' autore (assieme a S. Valbonesi) del saggio "In due si uccide meglio", dedicato ai serial killer in coppia. Dal 2008 gestisce il ThrillerCafé, il locale virtuale dedicato al thriller più noto del web.

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