Oggi al Thriller Café presentiamo un romanzo che sicuramente incuriosirà gli amanti del giallo classico e in particolare dei libri di Rex Stout. L’autore, Edoardo Guerrini, ci presenta infatti come protagonista il titolare di un B&B a New York, tal Antonio Sanvitale, il cui nome di certo non ci dice niente di particolare, finché non si scopre che è figlio del ben più noto Archie Goodwin e il B&B in questione si chiama Casa Wolfe, che è proprio la casa del detective al n° 918 della 35esima Ovest. E qui, quindi tutto cambia e la cosa si fa interessante.
Sanvitale gestisce il bed & breakfast con la sua chef Elizabeth Gandolfini, e i due dopo la prima avventura narrata nel precedente “Nero orchidea” si ritrovano coinvolti in un delitto anche in questo nuovo “Quattro gradi“. Il morto è un amico di Antonio, Michele Montesanto, fisico esperto sul cambiamento climatico impegnato col Governo USA nei negoziati ONU sul clima. Michele si trovava a Napoli per partecipare Conferenza delle Parti e qui muore, a Villa Sanvitale, illustre dimora baciata dal mare di Posillipo, in cui da sempre vive Lucrezia, la madre di Antonio. La morte sembra dovuta a un malore, ma il figlio dodicenne, Mark, non ne è convinto e chiede aiuto Antonio e Liz.
Attraverso un’indagine complessa vien fuori e che si tratta di omicidio, e mentre la polizia segue tante piste senza venire a capo di niente, sarà Elizabeth a scoprire la verità e il ruolo delle grandi potenze mondiali nella morte di Michele…
Questa in sintesi la trama di “Quattro gradi“; se siete incuriositi, vi lasciamo con due domande all’autore e a un estratto per approfondire.
Due domande all’autore
Com’è nato questo libro?
Dopo aver scritto la prima indagine di Antonio Sanvitale e Liz Gandolfini, dal titolo Nero Orchidea, pubblicato nel 2023, mi sono così affezionato a questa squadra di protagonisti che, per la prima volta nella mia esperienza di scrittura, ho deciso di proseguire con una serie di nuove trame gialle, ispirandomi alla mia vita professionale nel campo della tutela dell’ambiente e delle indagini biotossicologiche che svolgevo ai tempi dell’università: questi miei caratteri li ho “regalati” ad Elizabeth, la più in gamba del gruppo. Ma tenevo molto anche a continuare ad affrontare i temi delle potenze mondiali, e di certi comportamenti assai deleteri per il mondo intero.
Qual è la cosa che i lettori potrebbero apprezzare di più nel romanzo?
Spero che nel romanzo traspiri in particolar modo il mio amore per la città di Napoli, e la sua bellezza che crea un clima di leggerezza che compensa un po’ le tinte noir cui pure tengo molto.
Estratto
La neve aveva appena iniziato a cadere, piccoli fiocchi battevano contro i vetri della finestra della cucina, sbattuti da un vento gelido, vorticoso che sentivo insinuarsi pure sotto le imposte portando il freddo invernale dentro casa, al 918 della Trentacinquesima Ovest.
Guardavo il vialetto che dava sul retro della casa, e l’orticello che stava già iniziando a velarsi di bianco, e pensai che questa nevicata avrebbe potuto rovinarci le poche verdure rimaste su cui contava ancora Elizabeth. Mi voltai a osservarla: Elizabeth Gandolfini, la mia suprema governante – chef – tutto fare, che, mentre io andavo e venivo tra Napoli e New York, teneva con polso fermo l’attività di B&B con cui mantenevamo l’azienda: ovvero il suo stipendio e quello di Karl Bergmann, il balio delle orchidee che stavano ancora su in terrazza, molte delle quali ereditate da Nero, il proprietario originario della casa. Nero Wolfe, ovviamente. E poi ci facevamo entrare anche le scatolette e le crocchette per Oliver, e un po’ di emolumenti per me, s’intende.
(…)
«La gente deve arrivare a capire cosa rischia, ed eleggere le persone giuste per tentare di risolvere i problemi. Basta vedere una città come questa e i suoi grattacieli: anche se siamo in mezzo alla neve, si intuisce per scaldare questi enormi volumi quante tonnellate di carbonio si immettono in atmosfera, e questo incremento di eventi meteorici critici che si avvertono in questi ultimi anni, che aiuta i negazionisti a sostenere che il cambiamento climatico non esiste. E noi siamo quelli che i problemi li mettono sul tavolo, ma dobbiamo aiutare anche a trovare le soluzioni. Il che significa portare il proprio governo a proporre le migliori.»
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La Pasqua era bassa quell’anno, arrivava a inizio aprile e noi eravamo partiti qualche giorno prima. Ma le temperature erano decisamente anomale: sembrava di essere a maggio. Sbarcati a Capodichino, recuperammo la cinquecento che tenevo parcheggiata in un box che avevo affittato lì vicino, ci avviammo subito verso Posillipo. Faceva talmente caldo che aprii il tettuccio. Il sole ci picchiava in testa ma almeno prendevamo un bel ventariello.
Già dalla tangenziale gli scorci del Golfo erano meravigliosi, anche se il traffico bestiale non mi consentiva di guardare molto. Scendendo verso Mergellina andava un po’ meglio: il mare ci accolse come abbracciandoci; in quei momenti in cui lo rivedevo, capivo il perché i francesi lo chiamassero al femminile, quasi come una madre: in effetti lo è, almeno per me. Arrivato davanti al cancello della villa, tenevo già un impulso irrefrenabile che mi spingeva ad andare a fare il bagno. E difatti mia madre ci venne incontro in bikini e prendisole, già tutta abbronzata e in splendida forma. Ci abbracciammo, e subito dopo anche con Maria e con zia Elisa, che nel frattempo erano accorse mentre Attila abbaiava e scodinzolava gioioso. Ma io attaccai a corto con i saluti e corsi in camera a mettermi il costume, per poi scendere subito a tuffarmi: desiderio tenuto represso per sei mesi e finalmente esaudito. L’acqua cristallina era ancora un poco fresca ma la luce e i colori erano splendidi, limpidi e polarizzati, e l’acqua ricca di pesci mi danzava intorno a collo, capelli, braccia attirandomi a sé, tanto da farmi immergere più volte a sfiorare il fondo roccioso per poi risalire a respirare, colmo di gratitudine.
E pure di sensi di colpa, giacché sapevo benissimo che fare il bagno a marzo, come fosse quasi giugno, era il preavviso di un disastro totale, e che prima o poi il mare sarebbe salito e ci avrebbe mangiato tutta la nostra insenatura, se non anche la casa.
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Stavolta niente cinquecento: essendo da solo potevo prendere la nuova bici elettrica a pedalata assistita, che tenevo in carica grazie alla tettoia fotovoltaica che avevamo montato in giardino da pochi mesi. Dovevo solo stare attento a non impigliare il fondo dei pantaloni nella catena, se no mi sarei rovinato l’abito grigio chiaro che avevo messo; con la trazione assistita non correvo il rischio di sudare, le ruotone giganti potevano arrampicarsi ovunque, anche sulle frequenti salite e discese assai sconnesse di Napoli: infatti quel mezzo si stava diffondendo parecchio in città. La discesa verso Via Posillipo, poi la strada che alternava tratti a curve in mezzo a ville contornate da pini marittimi, a improvvisi squarci di visuale del golfo, dove sparsi cirri contornavano le cime morbide e sinusoidi del vulcano e del suo amichetto vicino, il Monte Somma: tutte queste immagini mi riempivano gli occhi, anche se dovevo più che altro tenere d’occhio l’asfalto e le auto che mi sfioravano a pochi centimetri per superarmi, mentre percepivo le ondate di irritazione di chi guidava; ma poi arrivato su Via Caracciolo la strada, anche se più trafficata, era più larga e le ondine scintillavano lambendo con dolcezza gli scogli.
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I bagagli li avevo messi nella Jaguar di mia madre, ma Mark lo portammo io ed Elizabeth con la cinquecento: gli piaceva, e si mise a fare qualche considerazione: «Certo, il motore immagino sia vecchiotto ed emetta parecchie cose, però in effetti piuttosto che cambiare una macchina ogni cinque – dieci anni è meglio tenerne una così piccola e anziana.»
Annuii: «Già, a parte che ci sono affezionato. Comunque la uso il meno possibile, poi spero che chi sta già lavorando sulla conversione in retrofit, tra un po’ lo faccia anche per queste piccoline qui: sarebbe davvero strano, e bello, avere un motore elettrico e non dover più fare la doppietta quando scalo le marce.» Mark non sapeva cosa fosse la doppietta, e io glielo spiegai, contento di poterlo distrarre un po’.
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«Altro che costola di Adamo! Siete voi che siete molto più complete di noi, voi che avete il doppio cromosoma X mentre a noi ne manca un pezzo! Noi siamo come dei fuchi, serviamo solo ad aggiungere variabilità genetica e a farvi procreare, e poi possiamo pure morire molto prima di voi, che siete più forti e adatte a capire tutte le situazioni per proteggere voi stesse e la prole. Noi abbiamo solo ‘sti cazzo di ormoni maschili, che ci danno quel po’ di aggressività e forza a breve termine per cacciare e procurarci il cibo, mentre per voi la forza è resistenza, ragionamenti completi, quelli che noi non arriviamo mai a fare perché ci fermiamo subito e siamo molto più pigri.»
Liz si alzò leggermente inclinando il capo verso di me: «Non esagerare, pure noi siamo piene di debolezze, di dubbi, e in voi sentiamo il nostro pilastro, la voglia di attaccarci a qualcuno forte per aiutarci a sopravvivere. È insieme che siamo davvero completi, separati non siamo niente. Dai, abbracciami, forza.» Per la prima volta, sentii il gusto della sua bocca, e lei quello della mia.
Edoardo Guerrini
Edoardo Guerrini è nato a Torino nel 1965, ma la sua città del cuore è sempre stata Napoli, dove coi suoi genitori si andava “giù” ogni estate, per poi tornare al Nord, a faticare con scuola e lavoro. Biologo, specializzato in igiene ambientale, da più di trent’anni lavora per l’equilibrio tra le attività umane e la salute del pianeta. Lettore accanito, ama i classici della letteratura (Shakespeare, Cervantes) e delle detective stories (Rex Stout in particolare). Dopo Senza fili (2017), Il quaderno del Fato (2019), Il lago verde (2019), anche con Nero Orchidea (2023), la prima indagine di Antonio Sanvitale, ha raccolto diversi premi e menzioni speciali in concorsi letterari nazionali. Anche Quattro gradi (2025) inizia a raccogliere risultati, tra cui il Premio Letterario Mino De Blasio Nero su Bianco, primo classificato sezione giallo.

