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Al Thriller Café oggi vi presentiamo “Profanazione“, il secondo romanzo di Fulvio Rombo della serie “Le indagini sanremesi del Genio e Nina“. Ritroviamo quindi la squadra già protagonista di “Ayahuasca in una nuova avventura, che ora vi raccontiamo in breve, a cominciare dalla trama…

L’antropologo sanremese Pietro Genovese, viene contattato stavolta da don Girolamo, amico di vecchia data turbato dalla profanazione della chiesa di cui è parroco, Santa Maria degli Angeli. Le tele tagliate, le statue imbrattate e dal volto incappucciato, il tabernacolo segnato, sembrano rivelare un disegno criminale complesso e studiato, architettato da una mente che, attraverso gli atti sacrileghi, ha voluto recapitare un messaggio. Chi è l’autore della profanazione? Ha agito da solo? Quale intenzione comunica quella serie di atti sconsiderati? Chi è il destinatario?

Pietro, “Genio” per gli amici, caratterizzato da un formidabile intuito e da una altrettanta vulnerabilità psichica, coinvolge nella ricerca della verità il commissario Nina Magellano e la squadra mobile. Nina e Genio, catapultati in una nuova indagine, rimettono in gioco la loro rodata collaborazione e contestualmente riattivano le antiche schermaglie: quelle emozioni, mai sopite, del loro rapporto intenso e difficilmente decifrabile.

Nonostante don Girolamo sia certo dell’innocenza dei suoi parrocchiani, le indagini si concentrano sulla comunità dei fedeli. Poche ore prima della notte in cui la chiesa è stata profanata, si è svolta una riunione tra don Girolamo e tre educatori. I tre vengono convocati in commissariato ma uno di loro, Paolo Talamone, non si presenta. Viene ritrovato in spiaggia il giorno successivo, morto, in quello che sembra un omicidio simbolico e rituale.

Il cadavere viene scoperto attraverso un messaggio inviato al cellulare di Ismael, un ragazzo che conosceva molto bene la vittima.

Ismael è in contatto anche con Paride Schenardi, detto “Schiena”, amico di Genio e parte del cosiddetto A-Team, il loro gruppo sgangherato di amici storici. Oltre a Genio e a Schiena, il vichingo mediterraneo sensibile alle ingiustizie, ne fanno parte Massimo Morandi detto “Mora”, grossolano e trafficone, e Renato Pignatelli, “Pigna”, romantico vagabondo e musicista. L’A-Team darà manforte alle indagini.

La profanazione e l’omicidio, a poco più di un giorno di distanza l’uno dall’altro, offrono subito l’impressione di essere collegati. È questa l’ipotesi da cui Nina e Genio muovono i primi passi. I due dovranno affrontare le strette maglie di una comunità  impermeabile e baluardo di se stessa, gli scopi astrusi e velleitari di una singolare società segreta e, in generale, l’incertezza di situazioni e contesti molto meno lineari e molto più carichi di sfaccettature di quanto desiderino apparire.

La verità, alla fine, emergerà dal disordine e dalla confusione come un incredibile mosaico, una somma di insospettabili e significativi dettagli. La verità, soprattutto, giungerà amara e inattesa come sempre, dolorosa e sorprendente, a ristabilire l’equilibrio di accadimenti e significati e ad insegnare qualcosa. A tutti.

Senza svelare troppo, questa la storia narrata da “Profanazione“, e per aiutarvi meglio a capire se questo romanzo può incontrare i vostri gusti abbiamo posto anche in questo caso due domande all’autore; più avanti trovate anche un estratto…

Due domande all’autore, Fulvio Rombo

[D]: Com’è nato questo libro?

[R]: Credo che il noir, inteso come genere letterario, sia particolarmente adatto per descrivere un luogo o una città nei suoi aspetti meno conosciuti e più affascinanti, così come la realtà sociale e il tempo che abitiamo. Questa storia nasce dall’idea che, in un tempo in cui non esiste più nulla di ascrivibile alla categoria del sacro, non si possa assistere ad altro che ad una deriva esistenziale e collettiva. Mi piace anche rendere anche l’idea che non esistono ambiente immuni alla decadenza e al male e che realtà, persone, ambienti, spesso sono diverse da come appaiono.

[D]: Qual è la cosa che i lettori potrebbero apprezzare di più nel romanzo?

[R]: In questo romanzo si può apprezzare un intreccio ben congegnato e una soluzione del caso che prende forma soltanto nel finale, dopo aver tenuto i lettori appesi a diverse ipotesi per tutto il libro. Interessanti sono altri due aspetti: l’evoluzione dei destini dei personaggi protagonisti ai quali il lettore non può non affezionarsi (Genio, Nina, gli amici dell’A-Team); la Sanremo descritta, intrigante e capace di offrire (così come nel libro precedente) scorci, vedute, scenari urbani meno battuti ma molto più interessanti dell’immagine da cartolina che comprende Casino, fiori, festival della canzone.

Estratto

1.

Il Senza Nome. Polemista presuntuoso. Io non giudico.

I miei occhi non riescono a vederlo ma lo percepisco, il Senza Nome, ne sento l’immonda e aeriforme presenza. È spirito fetido, un’inafferrabile entità malvagia. Bussa alla mia pelle ruvida e vigile. Mi aggancia, mi ghermisce, cerca varchi per entrare nel mio corpo. Insinuarsi per spingersi fino alla cabina di regia. Governarmi è il suo scopo. Il mio è quello di resistere. Chiudere i pori, far valere il mio Io, riallineare verticalmente il ponte levatoio. Il suono del Senza Nome è un crepitio di intenzioni impure.

Eccolo, improvviso. Uno squillo inatteso. Il suono di un allarme che apre una breccia. Mi rivolgo al varco, mi sento risucchiato, una forza sconosciuta mi trae fuori. Il Male mi insegue, le mani viscide e il sozzo respiro mi afferrano da dietro. Terrorizzato, urlo, sputando tutta l’aria che ho in corpo.

Apro gli occhi, impregnato di sudore alcolico. Lo squillo continua, però. Imperterrito. Ma che ora è? Ci metto un po’ a realizzare. La radiosveglia, che non uso mai come tale, segna le 5.49. La pompa di adrenalina mi rimette al mondo, anche se mi sento ancora incollato ai brutti sogni che hanno infestato la mia camera. Il cervello è in stand-by. Vado alla porta. Il mondo è pieno di nemici, non ci sono soltanto le bestie che sguazzano nel fango della mia mente. Brandisco la mazza da baseball appoggiata nell’angolo. Quanto mi rimane di Cuba, ormai. Me l’aveva regalata il papà di Yenifer, mio suocero. Ex-suocero, per come si sono messe le cose. Nonno di Ricardo, mio figlio. Sono tutti a otto ore o poco più di aereo, da quando tra me e Yenifer è finita. Apro, lentamente. Soltanto uno spiraglio. Non riesco a decidere se sguinzagliare la rabbia o lo stupore.

«Fammi indovinare. Sei un angelo, giusto?». Non sono ancora sveglio, anche perché non ho mai avuto accesso alla fase di sonno profondo. Di fatto, non mi sono addormentato sul serio. Capita spesso che io non riesca a dormire. Per un paio d’ore -e nemmeno tranquille- tra le braccia di Morfeo, sovente esagero con l’alcol. Ben consapevole che “esagero” è comunque un eufemismo.

Un raggio di luce proveniente da chissà quale lampione mi ferisce le pupille.

La femmina davanti a me sembra davvero l’incarnazione di una creatura celeste, inviata a scacciare i demoni che, ormai regolarmente, banchettano nella mia anima guasta. Di bianco vestita, con una tuta da runner e un piumino di quelli smanicati. Una donna avvenente, non più giovanissima, ma una bella femmina davvero.

«Mi manda Giro. Vuole parlarti. Subito» si limita a dire.

«Chi? Giro? Ma sei sicura?». Stento a crederci. Per almeno due motivi. Il primo è che sono anni -nemmeno ricordo quanti- che non ho contatti con Giro. Nonostante -e questa è la seconda ragione- io stia a non più di cento metri da casa sua. Mi irrigidisco, come succede sempre quando qualcosa non mi torna. Espongo alla bella signora i miei dubbi, sento puzza di fregatura. Di più, di pericolo. La mia voce ancora impastata rimbalza nella notte. La sua è flautata. È proprio nei toni e nelle sfumature che solitamente avverto la minaccia. Io e l’angelo siamo ritti sulla soglia. Non ho ancora posato la mia mazza da baseball. So che lei se n’è accorta, anche se finge indifferenza.

«Mi ha detto che se venivo io a chiamarti c’era maggiore probabilità di convincerti».

L’angelo, con la sua dichiarazione studiata, mi fa alzare gli angoli della bocca. Mi tranquillizzo. È davvero quel figlio di puttana di Giro, allora. Metto via la mazza.

«Entra. Vuoi un caffè?».

«Lo metto su io. Intanto sciacquati la faccia, con acqua gelata, è meglio. Giro ti vuole operativo, in grado di connettere».

«Pure? Giro con le sue pretese e tu che mi dici che cosa devo fare? Irrompete nella mia dimora alle cinque della mattina -anzi, della notte- e avete pure il coraggio di rompermi i coglioni».

«A parte che sono quasi le sei. E poi ti dico soltanto quello che…».

«Sì, sì, ho capito. Quello che ti ha detto Giro. Adesso che ci penso: se sono anni che non lo sento, ci sarà pure una ragione. Magari aveva cominciato a starmi sulle palle».

L’angelo non ribatte. La rabbia, come spesso mi capita, apre le finestre della mente e spazza via le nebbie, anche quelle alcoliche. Comincio a sentirmi sveglio e lucido. Una sciacquata alla faccia me la do volentieri. Mi cambio, visto che ho dormito vestito. L’angelo mi aspetta per il caffè.

«Come ti chiami?».

«Angelica».

«Ma vaffanculo, va’. Mi prendi in giro?».

«No, perché dovrei?». Già, perché dovrebbe? Mica è a conoscenza dei miei incubi, delle mie fantasie, dei percorsi malati della mia mente.

«Sono pronto. Dai, andiamo».

Scendiamo in un silenzio ovattato verso piazza Colombo. Un uomo è seduto sui gradini della chiesa con aria meditabonda e tirata, preda di una tensione che sembra gli stia divorando le budella. Si è parecchio incanutito, ma in testa li ha ancora tutti, i suoi capelli. A parte le occhiaie e le rughe intorno agli occhi, è il tipo di persona che invecchia bene, acquistando magari qualche punto alla voce “fascino”. Ha una bibbia in mano. Sono anni che non parliamo seriamente. Magari mi avrebbe fatto anche bene confrontarmi un po’ con lui, chissà. Mi guarda e mi riconosce, mi stava aspettando. Lo anticipo, prima che possa dire qualcosa.

«Non vorrai mica vendermi un “Vecchio e Nuovo Testamento”? Di primo mattino, poi? Vedo che preferisci il contatto in strada piuttosto che il “porta a porta”, come i venditori di enciclopedie di quando ero bambino».

Fulvio Rombo

Fulvio Rombo, nato a Sanremo nel 1972, è uno psicoterapeuta dell’età evolutiva e scrittore italiano. Laureato in Psicologia all’Università di Torino e specializzato in Psicoterapia Psicoanalitica a Milano, ha completato gli studi filosofici all’Università di Genova. Appassionato di musica e scrittura, suona la chitarra e compone canzoni, poesie e racconti. Nei suoi lavori letterari predilige i generi giallo e noir, esplorando temi come la morte, il male e la ricerca della verità. Ama rappresentare Sanremo in modo autentico, lontano dagli stereotipi festivalieri. Tra le sue opere pubblicate figurano i romanzi Era meglio orfani, Ayahuasca e Profanazione, editi da GOLEM Edizioni. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti in concorsi letterari nazionali, tra cui il Premio Garfagnana in Giallo, Giallobirra, Premio Giallo in Provincia, Giallo Trasimeno.

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