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Treviso d’inverno. La nebbia si infila tra le strade e i pensieri, avvolge i corpi e i segreti. In questo scenario opaco e sordo si muovono le protagoniste di Marionette, il primo romanzo crime di Michele De Martin, pubblicato da Gilgamesh Edizioni.
La storia vede protagoniste tre donne: due serial killer e una PM che le bracca, tutte profondamente segnate da vite tormentate e da un’umanità che urla sotto pelle.
Narrato in prima persona alternando la voce disturbata di una delle due assassine a quella della pubblica ministera, il romanzo scava nella loro psicologia mettendo in luce un rapporto amoroso tra le killer, animate da un delirio mistico che trasforma i loro delitti in atti di un “progetto divino”. Non uccidono per vendetta o denaro, ma per un bisogno spirituale deviato.
Sul fronte opposto, la PM è tutt’altro che una figura perfetta: è una donna ruvida, sola, disillusa, segnata dal passato. La sua fragile umanità si manifesta nel rapporto complesso e proibito con il capo della polizia.
In un crescendo di tensione, la storia arriverà all’epilogo con una resa dei conti tra Bene e Male. Chi prevarrà?
Questa in sintesi la vicenda che “Marionette” racconta; se volete saperne di più trovate a seguire un estratto e il booktrailer dedicato.
Tre domande all’autore
Com’è nato questo libro?
Questo libro è nato tanti anni fa e ha preso consistenza dentro di me con gradualità fino a trovare il giusto sfogo in “Marionette“. Ho sempre amato le storie crime e ho pensato di portare una storia crime nella mia Treviso che, nella sua eleganza, mi sembrava un teatro perfetto per una storia sporca e disturbante.
Qual è la cosa che i lettori potrebbero apprezzare di più nel romanzo?
Mi auguro che i lettori apprezzino il fatto che “Marionette” non è un thriller classico, focalizzato sul delitto e sulle indagini per individuare i colpevoli ma una storia che ha il suo fulcro nella mente dei personaggi, che cerca di sondare i dirupi più profondi dell’animo umano.
Cosa speri di lasciare ai lettori di “Marionette“?
Mi auguro di non lasciarli indifferenti. Mi auguro di disturbarli e di generare in loro domande, che non necessariamente devono giungere a una risposta.
Estratto
Prologo
Una goccia di sudore fa capolino dal mio sopracciglio destro e mi offusca la visuale. La faccio sparire con un colpo secco del palmo della mano, che torno ad appoggiare sul terriccio umido.
Fa caldo, ma non poi così caldo. Un’eccitazione mai provata mi invade i nervi, che si tendono. Non voglio perdermi neanche un secondo di quello che ho davanti agli occhi.
Sembra uno spettacolo di marionette. Solo che chi le muove non è nascosto. Trovo che abbia un che di divertente.
Mi sforzo di stare ferma, accucciata nel fossato che costeggia quella strada di campagna, ma vorrei alzarmi e correre lì. Guardare. Toccare. Non ho mai sentito una smania del genere, vorrei dare una mano, sento che se fossi lì sarei finalmente felice.
Ma qualcosa mi blocca.
Una zanzara mi punge la gamba e la uccido con un colpo che fa più rumore di quanto mi sarei immaginata.
Che mi abbiano sentito?
Lancio un’occhiata furtiva a destra e a sinistra. Sia mai che passi qualcuno.
Tutto libero, non fosse per la persona che ha appena completato il lavoro e che si sta allontanando, il passo tranquillo.
La conosco, io.
Abbiamo molte cose in comune, forse troppe. È una sensazione a pelle, un’anima affine.
La guardo e qualcosa dentro di me si smuove, il ventre si scalda, le gambe tremano. Vorrei essere in lei.
Lei che ha avuto le palle di non limitarsi a fantasticare.
Io non ce l’ho quel coraggio. Chissà se mai lo avrò.
Guardo l’ora. Devo scappare, a casa mia madre mi aspetta per preparare le valigie.
Un sospiro mi sfugge tra le labbra.
Domani alla stessa ora sarò già a Modena. Nuova casa, nuova scuola, nuova vita.
Ma, già lo so, la stessa solitudine.
Chissà se e quando tornerò a Treviso. Proprio ora che avevo trovato una persona che avrebbe potuto essermi amica, che avrebbe potuto capirmi senza giudicarmi.
Ho deciso. A Treviso ci tornerò. Ci devo tornare.
Qui e ora, tutto ha inizio.
Capitolo 1
Si muoveva sinuosa, con un’eleganza naturale che attirava gli sguardi. Aveva un portamento impeccabile, una camminata sicura e l’atteggiamento di chi sa esattamente cosa vuole. Era stata questa sua sicurezza a colpirmi fin dal momento in cui l’avevo notata sbucare dai binari della stazione.
Seduta su una delle panchine della sala d’attesa, fingendo di essere assorta nella lettura di Furore di Steinbeck, la osservavo. Avevo scelto quel libro appositamente, un classico che mi dava un’aria di viaggiatrice erudita. Ma la mia attenzione era completamente rivolta a lei. A ogni suo movimento felpato, mi invadeva una sensazione di calore e brivido, una combinazione familiare ma ogni volta sorprendente. Era come essere colpita da un fulmine a ciel sereno, una scossa improvvisa che mi faceva sentire incredibilmente viva.
Questo era ciò che provavo a livello epidermico ma, più nel profondo, il sentimento che mi attanagliava era lo stesso che mi aveva pervasa la prima volta che avevo deciso di superare la linea d’ombra: la rabbia incontrollabile verso il mio stesso sesso.
C’era qualcosa di magnetico in quella donna che aveva stimolato ogni mia sinapsi e messo in moto la macchina infernale dentro di me. In quei momenti mi sentivo immersa in un benessere profondo, cullata dalle onde di un mare calmo e accogliente. Eppure, dietro quell’apparente serenità, c’era un’oscurità che non potevo ignorare. E quell’oscurità era il mio vero obiettivo.
***
L’avevo seguita per un po’, studiando ogni suo passo, ogni gesto. Avevo affinato l’arte dell’osservazione fino a farla diventare una seconda natura. E ora, sentivo l’adrenalina crescere dentro di me. Mi preparavo per l’azione, per quel momento cruciale che avrebbe spezzato la monotonia della mia giornata.
Era una sera d’inverno, buia e fredda. La donna uscì dal tunnel della stazione, salendo le scale del sottopasso, e partì spedita su via Roma, verso il centro città.
Mi guardai intorno. Per strada c’era poco movimento, fatta eccezione per qualche pusher alla ricerca di potenziali acquirenti. Niente di preoccupante.
Era il mio momento, non potevo attendere oltre. Treviso è una città piccola e in poche centinaia di metri la donna avrebbe raggiunto piazza Borsa, dove sicuramente ci sarebbe stato movimento e probabilmente anche qualche telecamera attiva, due elementi che non giocavano a mio favore.
Aumentai il passo e mi avvicinai con la calma di chi sa di avere il controllo della situazione. Non c’era esitazione nei miei movimenti. Ogni passo era ponderato, ogni respiro misurato. Sentivo il battito del cuore accelerare, ma non era paura. Era pura eccitazione. Il mio obiettivo era chiaro.
Avevamo appena superato un parcheggio per city bike a noleggio, quando la donna percepì qualcosa e si girò. I nostri sguardi si incrociarono per un istante eterno, complice la luce di un lampione. Nei suoi occhi lessi in un primo momento una scintilla di curiosità subito seguita da un qualcosa che conoscevo molto bene: un misto tra pietà e derisione, tristezza e disgusto, tipico di chi ti guarda da un piedistallo.
A quel punto seppi che ci avevo visto giusto un’altra volta. Quella puttana doveva morire.
Mi avvicinai ancora di più e la mia mano scivolò nella tasca, dove il freddo metallo mi diede un senso di potere. Era il momento di agire.
“Scusi, ha un accendino?” La mia voce era calma, quasi gentile.
Lei sorrise con sufficienza, distogliendo lo sguardo per frugare nella borsa. Con un movimento rapido e preciso, tirai fuori il coltello e colpii secca nella parte destra del collo.
Come sempre, come tutte le volte precedenti, la donna perse in un istante tutta la sua sicurezza. Le posizioni si erano capovolte: ero io ad avere il potere e lei a implorare con lo sguardo la mia pietà. Peccato che fosse troppo tardi. La vita può cambiare in un istante. Per lei, l’istante era giunto.
Continuai a colpire due, tre, quattro volte e poi ancora ancora e ancora. Mi sentivo invincibile e, allo stesso tempo, sentivo la rabbia svanire, lasciando spazio a una forza impetuosa ma diversa che dovevo lasciar uscire, senza frenarla.
Una forza giusta, positiva. La forza della redenzione.
Un segno della croce fu l’unico atto pietoso che le concessi prima di dileguarmi nella notte.
Booktrailer
Michele De Martin
Michele De Martin, nato a Conegliano (TV) nel 1984, vive e lavora a Treviso da più di dieci anni ed è Responsabile Legale di un’azienda. Sin da piccolo si è sempre sempre diviso tra lo sport, la lettura e la scrittura, le sue più grandi passioni.
Sin dalla tenera età ha iniziato a scrivere racconti di vario genere fino a focalizzarsi su storie crime e thriller per dare dimora alla sua passione per l’indagine delle pieghe oscure dell’animo umano. “Marionette” è il suo primo romanzo crime, pubblicato da Gilgamesh Edizioni, in cui racconta le pieghe nascoste di una Treviso oscura e disturbante.
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- De Martin, Michele(Autore)