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Al Thriller Café oggi un romanzo che ci catapulta in un incubo finanziario: “Default“, di Francesco Galardo.

L’economia – parafrasando Archimede – è la leva che solleva il mondo”. Giovanni Santoro, un informatico italiano, vive ogni giorno questa verità. Da sempre oscurato dal successo e dal prestigio del suocero, Giovanni è afflitto da un profondo senso di inadeguatezza, aggravato dalla perdita prematura della moglie. In cerca di riscatto, accetta l’offerta per un lavoro prestigioso negli Stati Uniti e lascia la figlia con i nonni materni in Italia.

Trasferitosi a New York, tempio dell’alta finanza, Santoro viene incaricato di dirigere il dipartimento di sicurezza informatica, cruciale per la protezione di Wall Street. È un ruolo delicato, molto ambito, con uno stipendio generoso. Tuttavia, l’ambizione lo rende vulnerabile alle manipolazioni della Empusa Limited, un influente gruppo di pressione che ghermisce nei propri tentacoli perfino la Casa Bianca.

Sedotto da promesse di potere e ricchezza, Giovanni sabota i server di Wall Street con un malware sofisticato, scatenando il caos finanziario. La CIA cercherà di stanarlo, ma l’italiano darà filo da torcere all’intelligence numero uno nel mondo.

In questo romanzo, la linea tra il possibile e l’immaginario si rivela tanto sottile quanto pericolosa, e il suo protagonista si troverà al centro di un gioco globale che potrebbe riscrivere la realtà stessa.

Questa in breve la trama di Default; per aiutarvi a farvi un’idea più approfondita del romanzo abbiamo posto alcune domande all’autore, e a seguire vi lasciamo estratto e booktrailer.

Domande all’autore

Cosa ti ha ispirato a scrivere Default?

L’idea di Default è nata nell’estate del 2018. Non da un sogno, né da un’immagine suggestiva, ma da un numero: un dato finanziario reale, preciso, verificabile. Ciò nonostante, ignorato. Per la prima volta nella storia, il debito globale – pubblico e privato insieme – ha superato la liquidità disponibile dell’intero pianeta: il mondo non è più in grado di pagare i suoi debiti.

Un sorpasso silenzioso. Nessuna apertura di giornale, nessuna breaking news, solo qualche articolo su riviste specialistiche. Eppure, si trattava di un evento epocale, il segnale che qualcosa, nel cuore del sistema economico mondiale, si era incrinato per sempre. Allora mi sono chiesto: perché tale silenzio? Perché nessuno ne parla? È davvero solo disattenzione, o dietro quel silenzio si nasconde una scelta? Magari dettata dall’alto. Magari perché certe verità è meglio non raccontarle.

Per me, quel dato, oltre a essere stato un campanello d’allarme, è stato una rivelazione, una crepa nel muro che abbiamo costruito con tanta calce e poco cemento. Lì ho visto molto più di una crisi economica, ho visto una metafora della nostra epoca: il debito che supera la liquidità, come il male che supera il bene, l’inganno che sorpassa la verità, la finzione che vince sulla realtà. Non era più soltanto economia. Era la struttura stessa della nostra società che cominciava a cedere. Un punto di non ritorno.

Come economista, ogni giorno mi confronto con questa deriva: imprese che annaspano, famiglie che vivono sull’orlo della bancarotta, individui che si barcamenano tra mutui, prestiti e scadenze. Ho incontrato imprenditori onesti massacrati da regole scritte da chi le regole le elude. Ho visto il sistema premiare i furbi, proteggere i corrotti, inchiodare i deboli. E lì ho capito: il vero default non è solo finanziario. È morale. È sistemico.
E allora ho deciso di scrivere, di raccontare quella verità che non passa nei telegiornali, che non si legge nei report delle agenzie di rating. Di raccontare il lato oscuro dell’economia globale. Default nasce così: come un thriller, certo, ma anche come un atto d’accusa. Un viaggio negli ingranaggi nascosti di un sistema che ha scelto di non salvarsi.

Qual è la cosa che i lettori potrebbero apprezzare di più nel romanzo?

Credo che ciò che i lettori apprezzeranno di più in Default sia la tensione costante. Non solo la tensione narrativa, ma quella mentale, sottile, che si insinua sotto la pelle e ti costringe a dubitare di tutto. Di ciò che leggi. Di ciò che pensi. Di ciò che il protagonista crede di sapere.

Ho costruito Default come un thriller multilivello. Da un lato c’è la crisi economica globale, raccontata con precisione ma senza appesantire. Non ho voluto scrivere un saggio camuffato da romanzo. Ho voluto invece un impianto realistico, tecnicamente credibile, ma sempre al servizio della storia.

Dall’altro lato, c’è la discesa interiore di Giovanni Santoro. Un uomo brillante, iper-razionale, che si muove sul crinale tra genialità e paranoia. È lì che la tensione cresce davvero: quando ti rendi conto che potresti fidarti di lui, ma forse non dovresti. O forse sì. Ma allora chi mente? Chi manipola cosa?

Default non è soltanto una storia d’azione, anche se le scene di tensione e movimento non mancano. È un romanzo che alterna adrenalina e riflessione, sparatorie e silenzi. E proprio nei silenzi, nei dettagli lasciati a metà, nei pensieri distorti del protagonista, si apre uno spazio in cui il lettore comincia a farsi domande, senza limitarsi a ciò che succede, ma sul perché succede. E su chi, davvero, sta tirando le fila.

Uno degli aspetti che ho curato di più è l’ambiguità della percezione. A un certo punto, persino il lettore più attento inizia a chiedersi se ciò che vede è reale o se sta entrando in un disegno più ampio. Qualcosa di molto più profondo di un semplice complotto: una manipolazione della realtà. O forse della coscienza stessa.

E poi ci sono i personaggi. Oltre a Giovanni, Sarah Foster, l’agente CIA dal passato complicato, che rappresenta il contrappunto perfetto alla sua inquietudine. E attorno a loro, le alte sfere del potere, funzionari ambigui, uomini e donne che portano addosso la maschera dell’efficienza, ma sotto nascondono ferite, ossessioni, doppiezze.

Ogni personaggio ha una funzione narrativa, certo, ma soprattutto ha una verità psicologica, un lato umano. Ho cercato di renderli tutti tridimensionali, credibili, fallibili.

Il lessico economico, quello legato alla cybersecurity, alla finanza nera, ai meccanismi opachi del potere, è presente, ma non ingombra. È stato calibrato per offrire autenticità senza diventare un ostacolo. Il lettore non deve essere un esperto di mercati per seguire la trama. Basta lasciarsi trascinare.

Ho scelto una prosa asciutta ma densa. Dialoghi serrati, descrizioni mirate. Ogni capitolo aggiunge un frammento, un indizio, un dubbio. È come un puzzle in cui ogni pezzo sembra incastrarsi, ma a volte – a fine capitolo – ti rendi conto che forse lo hai messo nel verso sbagliato. E allora torni indietro. Rileggi. Cerchi. Quello è il momento in cui capisci che sei dentro. E che non puoi più uscire.

Alla fine, quello che cerco nei miei romanzi – e che credo i lettori apprezzeranno – è proprio questo: una tensione che non ti lascia tregua, una narrazione che ti tiene agganciato, e una verità che non è mai una sola. Perché il vero default, quello che cerco di raccontare, non è solo economico. È morale. È personale. È dentro di noi.

Il libro ha un tono molto cinematografico. È stato scritto pensando a un possibile adattamento?

Assolutamente sì. Fin dall’inizio, ho scritto Default con gli occhi puntati anche sull’immagine. Ogni scena, ogni dialogo, ogni svolta della trama nasceva nella mente già con una precisa collocazione visiva. E non è un caso. Il romanzo è nato con una struttura ampia, ricca di azione e tensione, ma anche di passaggi psicologici e scelte morali che si prestano perfettamente alla trasposizione sullo schermo.

Il manoscritto originale contava quasi seicento pagine: un universo complesso, attraversato da eventi internazionali, manipolazioni finanziarie e personaggi ambigui che si muovono tra New York, Russia e Napoli. A quel punto è entrato in scena un complice fondamentale: il mio amico e collega Alberto Gallo, scrittore e sceneggiatore.
Insieme abbiamo deciso di fare un passo ulteriore, perché limitarci a pensare al “se fosse” adattabile era riduttivo, dovevamo lavorare affinché diventasse “davvero” adattabile. E così è nato un progetto ambizioso: prendere l’ossatura narrativa di Default e trasformarla in due storie parallele, connesse ma indipendenti, pensate per funzionare sia come film che come serie. Il lavoro di adattamento è stato intenso, affascinante, a tratti vertiginoso. Abbiamo riscritto scene, compresso sequenze, moltiplicato i punti di vista senza tradire lo spirito originale. La sfida era mantenere l’equilibrio: da un lato la tensione narrativa –ritmo serrato, colpi di scena, fughe e depistaggi – dall’altro la dimensione più profonda, quella che scava nell’anima dei personaggi, nelle loro paure, nelle zone grigie tra verità e allucinazione.

Credo che Default abbia tutte le caratteristiche per diventare una storia da grande e piccolo schermo. È un thriller, certo, ma è anche una riflessione tagliente sulla fragilità del nostro sistema. Parla di potere globale, corruzione istituzionale, guerre finanziarie invisibili. Parla anche di esseri umani che resistono, che cercano la verità in un mondo costruito sulla menzogna. E queste sono tematiche che oggi il pubblico non solo comprende, ma cerca. In un’epoca in cui la finzione sembra superare la realtà, il linguaggio del cinema può amplificare l’impatto di una storia come questa, rendendola ancora più viva, più urgente… essenziale.

Sì, ci credo molto. Penso che Default sia un potenziale universo narrativo, e spero che possa arrivare presto anche in forma visiva, per raggiungere ancora più persone con la sua forza disturbante e la sua verità scomoda.

4Hai adottato un approccio realistico nella descrizione dell’ambientazione oltre a quella del crollo economico. Quanto ti sei documentato per scrivere queste parti?

La verità è che non riesco a scrivere una storia se prima non ne ho toccato con mano la realtà. Per me, ogni romanzo deve poggiare su fondamenta solide. In Default, soprattutto nella prima parte – quella che corrisponde al cosiddetto “mondo ordinario” – tutti i dati economici, finanziari e geopolitici sono reali. Impressionanti, sì, ma autentici. Non ho inventato nulla: ho solo ricomposto la verità e l’ho portata dentro la finzione narrativa.

La documentazione è stata, come sempre, un lavoro mastodontico. Prima ancora di scrivere la prima scena, ho passato sei mesi a studiare rapporti ufficiali, analisi di scenario, report delle agenzie di rating, pubblicazioni accademiche e fonti non convenzionali. Il mio obiettivo era uno solo: restituire al lettore una tensione che nascesse dalla consapevolezza che tutto ciò che legge potrebbe succedere davvero – o peggio – sta già accadendo.

Non è solo una questione di cifre. Anche le ambientazioni seguono lo stesso principio di aderenza alla realtà. Ho voluto che Default fosse anche un viaggio fisico, oltre che mentale.
Ogni luogo citato nel romanzo esiste, ed è stato scelto con cura. Penso alla stazione di polizia a Manhattan, alla palazzina con le mattonelle rosse, al ranch nei dintorni di Staatsburg. Ho percorso quelle strade, osservato quegli angoli di città. La fermata M2 della Metro North, a Elm Street, vicino alla casa di Sarah Foster? Esiste davvero. L’ho vista, fotografata, respirata.

Perché lo faccio? Perché credo che l’esperienza diretta, l’osservazione sul campo, sia insostituibile. Ti restituisce lo spazio fisico, l’atmosfera, gli odori, i rumori, la luce di un vicolo alle sei del pomeriggio; il tono di voce di un poliziotto fuori servizio al diner accanto alla centrale. Tutti questi dettagli, apparentemente minimi, sono quelli che fanno la differenza tra una scena credibile e una semplicemente costruita. Non si tratta solo di ambientazioni: è un modo per creare un mondo narrativo che sia concreto, tangibile, vivo. Un mondo dove il lettore può entrare senza sospensione dell’incredulità, perché gli sembra – anche solo per un attimo – di esserci già stato.

E quando il mondo comincia a crollare, insieme al sistema economico che la sostiene, quel senso di realtà diventa una cassa di risonanza ancora più potente. Perché il lettore non pensa “che bella invenzione”, ma “potrebbe succedere domani”. E lì, il thriller smette di essere intrattenimento e diventa qualcosa di più: un allarme silenzioso, ma necessario.

Estratto

Non è stata un’esplosione nucleare a spazzare via le nostre certezze, né un’epidemia mortale a interrompere il ritmo della quotidianità. Nessun cataclisma naturale ha riconfigurato il mondo, nessun meteorite ha squarciato i cieli, né invasioni aliene hanno oscurato il sole.
Nulla di tutto questo.
Eppure, le città sono cimiteri di cemento. Nessun clacson, nessuna voce, solo il sibilo costante dell’aria che scivola tra le strade vuote come vene prosciugate. Spenti da tempo, i semafori restano lì, immobili su quelle strade, ma sono sentinelle arrugginite d’incroci abbandonati. Anche i parchi giochi, un tempo animati dalle risate dei bambini, sono immersi in una quiete che gela il cuore. E le piazze, quelle stesse piazze che vivevano di voci, di passi, di bar stracolmi di persone, sono ridotte a spazi vuoti, deserti sospesi tra l’angoscia e un tenue filo di speranza.
Da quando l’economia globale è collassata, ho assistito al meglio e al peggio dell’umanità, alla sua disfatta e alla rinascita. Ho visto persone care trasformarsi in estranei, case piene di vita ridursi a gusci vuoti. Ma, in mezzo a questo caos, ho trovato anche il coraggio più autentico, quello che sboccia dalla disperazione e ridisegna il sorriso sui volti dei bambini. Il mondo che tutti conoscevamo è finito. Forse, doveva finire.
Adesso, con gli occhi chiusi, oltre il vento che sibila tra le rovine della coscienza, percepisco la vita pulsare di nuovo, tenace e indomita. Siamo ancora qui, nonostante tutto. Ci è stata data una seconda possibilità, un foglio bianco su cui scrivere il futuro e riscattare ciò che abbiamo perduto. Io sono qui a raccontare questa storia, la storia di come siamo caduti e di come ci siamo rialzati. Perché è nelle storie più folli che troviamo la verità, la forza.
La nostra unica speranza.

Napoli, 3 aprile 2001
Napoli indossava la vestaglia migliore, sobria e delicata con i colori sfumati della sera. I vicoli, accarezzati dalla magia della notte, vibravano di vita e si erano già trasformati nel rifugio per i cuori romantici. Ogni angolo raccontava una storia d’amore e profumava di speranza. Complice di quella splendida sera, la luna giocava a nascondino con le nuvole basse che abbracciavano il Vesuvio. La maestosa presenza ra’ muntagna vegliava sulle passioni e i desideri nascosti dei napoletani. «È stata una bella festa» biascicò la donna per rompere il silenzio pesantissimo.
Un’occhiata fugace fu tutto ciò che ebbe in risposta.
Si stiracchiò sul sedile della Maserati, liberò i piedi dalle scarpe e iniziò a massaggiarsi le dita, rosse e indolenzite dal troppo ballare. «Mamma mia, non ce la facevo più. Belle so’ belle, per amor di Dio, ma ’sti tacchi sono impossibili da portare per tutta la sera».
Ancora nulla. Non una parola, un cenno del capo, un’occhiata. Niente. Il marito era una statua di ghiaccio. Con la cravatta allentata e il primo bottone della camicia spalancato, sembrava volesse raccogliere un po’ di fiato dopo la calca.
Guidava con gli occhi incollati alla strada, avvolto in una bolla impenetrabile che lei tentava di rompere.
«È stata una gran bella festa» ripeté più forte.
L’uomo la degnò di uno sguardo, ma solo di sfuggita. Poi, finalmente sbottò: «Angela merita di meglio, e lo sai anche tu. Lui… quel tipo lì… no, non è all’altezza. È stato un errore. Un grosso errore fin dall’inizio».
Lei si irrigidì in un grugno. Sbuffò e si mise a guardare il Vesuvio che si allontanava alla velocità della vettura.
Il solito copione delle loro discussioni si era appena riaperto.
«Gli ho chiesto di venire a lavorare con me» sottolineò lui, alzando la voce. «Santo Dio, ho uno studio affermato, un nome. Sarebbe stato…»
«Sarebbe stato terribile» lo interruppe lei, voltandosi di scatto. «Lavorare per te, non con te. Gli avresti reso la vita impossibile, Vince’. Lo avresti umiliato di proposito, lo avresti fatto sentire…»
«È un poveraccio» tagliò corto l’uomo, il volante stretto con una forza tale da arrossirgli il volto. «Non arriverà mai da nessuna parte. Angela e la bambina soffriranno. Vedrai. Eccome, se vedrai».
«Siente, siente! Mio padre diceva le stesse cose di te quando ti ha visto per la prima volta».
Questa osservazione sembrò colpire l’uomo. Stava per replicare, ma si morse un labbro.
«Giovanni farà molta strada invece, proprio come hai fatto tu» pronosticò lei, senza scomporsi, sicura del fatto suo. «Vedrai… renderà felice le nostre bambine».
Sul volto del marito brillò un lampo ironico. Aveva le sue idee, le proprie incrollabili certezze avvalorate da anni d’esperienza. Agganci, basi solide, altro che sogni a occhi aperti.
«Staremo a vedere» rispose con un sorriso falso e accomodante.
«Sì. Staremo a vedere!» Le braccia incrociate sul petto con decisione. «Giovanni ce la farà. Vedrai… sarà un buon marito e un ottimo padre per la creatura che sta per nascere».
«Ma che capisci tu?» esplose lui, con un violento pugno sul volante. «Quello non è il genio che si crede di essere, lo vuoi capire o no? Chillo è nu pazzo!»

Booktrailer

Francesco Galardo

Francesco (Napoli, 1967) è un economista e dottore commercialista che, accanto alla carriera accademica e alla collaborazione con Il Sole 24 Ore, ha coltivato una passione costante per la narrativa. Dopo anni di divulgazione tecnica su riviste specializzate, ha esordito nella finzione con “Il viaggio dell’anima – L’arduo compito“, bestseller Amazon nel segmento drammatico‑religioso. Da allora alterna thriller contemporanei e romanzi storici medievali, fondendo tematiche economiche, geopolitiche e spirituali. Tra i suoi racconti più noti: “Maledetto Halloween”, selezionato per l’antologia 365 racconti gialli, thriller e noir (Delos Digital), “Il colloquio” (TriplaE) e “È finita”, terzo classificato al premio Writers Magazine Italia n. 57. Nel 2024 il racconto storico “Anno Domini 1177” ha conquistato il Premio di Giuria al Visioni Libri Festival e il Premio Costanza d’Altavilla al concorso Parole del Medioevo. Formatosi con il corso di scrittura creativa di Diego Di Dio, Francesco esplora il conflitto fra bene e male attraverso personaggi moralmente sfumati, confermando una voce originale nel panorama italiano del thriller e della narrativa storica.

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  • Galardo, Francesco(Autore)

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