Un luogo soleggiato per gente ombrosa – Mariana Enriquez
“Non c’è pace né conclusione.
Non c’è riconciliazione.
Non c’è trasformazione.
Quelle sono tutte invenzioni”.
“Un luogo soleggiato per gente ombrosa” di Mariana Enriquez, tradotto da Fabio Cremonesi ed edito da Marsilio, è una raccolta di racconti di genere horror, carica di mistero e visionaria.
Questi racconti sono l’occasione per l’autrice di parlare dell’Argentina contemporanea e passata perché Mariana Enriquez è nata e cresciuta durante la dittatura militare.
Tra le pagine si respira ciò che è rimasto nella società odierna dopo la dittatura degli anni ‘70 e ‘80: la crudele repressione e le violenze allora subite sono ombre nell’anima dei suoi protagonisti – uomini e donne che hanno vissuto l’esperienza dei centri di detenzione o i cui famigliari sono stati torturati, uccisi e fatti scomparire (desaparecidos).
Il fascino per l’horror ed i fantasmi sembra nascere nell’autrice proprio dalle vicende della storia argentina, perché allora erano diventati “fantasmi” migliaia di persone, rapite e mai tornate.
Alla violazione dei diritti umani faceva seguito un modo di uccidere crudele – senza restituzione dei corpi alle famiglie, quindi creando veri e propri fantasmi ed anche un’atmosfera generale di persistente allarme e terrore.
Se questa è la base storica su cui Mariana Enriquez costruisce i propri racconti horror, poi su di essa l’autrice dipinge l’Argentina contemporanea e le sue contraddizioni, la grave crisi economica in cui versa e la paura generale della popolazione.
I fantasmi invadono il mondo di Mariana Enriquez nascendo dalla memoria ed ora permeano i quotidiani luoghi di vita, ci stanno letteralmente intorno in casa: vivono nel frigorifero, nello specchio del bagno, nei vestiti usati di chi non c’è più, nell’armamentario di un tatuatore.
Mentre l’autrice indaga le paure degli uomini, i fantasmi (che non sono nemici) pervadono la realtà quotidiana ed in particolare ciò che non si può nominare; essi sopravvivono – oltre che negli oggetti – anche nelle fasce della società ritenute “non nominabili” o “non produttive”.
Ecco quindi transessuali, transgender, omosessuali, e poi vecchi e bambini – cosicchè i racconti di Mariana Enriquez diventano sia specchio della società che strumento di protesta contro di essa; parlando di zombie, di donne che perdono i pezzi, di fantasmi e di tatuatori Enriquez parla di classi sociali.
Nei suoi racconti incontriamo storie di bambini mendicanti, perché questa è la realtà dell’Argentina nello specifico, e dell’America Latina in generale.
Le disuguaglianze che nella realtà vengono represse, qui nelle pagine non sono più silenziate ma esposte al pubblico.
Qui alcuni dei racconti a mio avviso più belli:
- “I miei tristi morti” in cui la protagonista vive con il fantasma della propria madre morta: “E’ lì, e anche se non parla, mi guarda e di tanto in tanto annuisce. Se non è furibonda, ride. E’ un peccato che non parli perché ci divertiremmo di più”.
E poi ci sono anche tre ragazzine assassinate: “E non posso nemmeno lasciare sole le ragazze putride che ridono tenendosi per mano in strada. Dove andranno?” - “Julie” è la storia di una ragazza obesa (non a caso, anche lei è una reietta) che ama e fa sesso con i fantasmi, e solo con gli spiriti riesce a sentirsi bella ed a riprovare desiderio; i suoi genitori vogliono ricoverarla e dagli USA tornano in Argentina (loro Paese di origine) perché qui possono “sistemarla in un istituto pubblico, a gratis”.
La cugina riesce a farla scappare mentre la famiglia inferocita ne parla come di un “mostro” e di una “disgrazia”. - “Metamorfosi” è il racconto di una donna che viene operata per l’asportazione di un enorme mioma all’utero, e che si riprende materialmente quel pezzo di corpo – che dovrebbe rappresentare il male – e decide di reimpiantarselo sulla schiena.
“La mia nuova colonna vertebrale sporgente è davvero bella. La mia schiena assomiglia un po’ a quella di un drago. C’è in me qualcosa di un camaleonte, di una lucertola, di un serpente mitologico, di sangue freddo”. - “Un luogo soleggiato per gente ombrosa”, il racconto che dà il titolo all’intera raccolta, è la storia di una ragazza trovata morta in una cisterna di acqua. Le persone si riuniscono intorno alla cisterna “vogliono ascoltarla, pensano che il suo spirito sia ancora intrappolato nell’acqua e possa rivelare che cosa le è realmente successo”.
In tutti i racconti di questa raccolta si trova un particolare rapporto tra caratteristiche horror e un senso di tenerezza per i corpi, quali che essi siano, belli o brutti – ed anche un dualismo tra ciò che è sano e ciò che non lo è.
Enriquez dice al lettore che bisogna accettare tutto, così ad esempio il sovrappeso viene proclamato come una scelta; parimenti nella vicenda di una donna viva il cui viso si sta decomponendo “la pelle marcisce, di tanto in tanto cade e lascio in giro per casa brandelli di me, come una pazza morta e putrefatta”.
La carne putrida o attaccata dal tumore non viene buttata via, c’è un’accettazione completa del corpo.
La lettura di questa raccolta genera inquietudine per l’oscurità di cui è pervasa, e meraviglia per la vicinanza che si può sperimentare a storie così fuori dall’ordinario; lo stile è ipnotico, e conduce il lettore in un abisso che si rivela essere il mondo reale dell’emarginazione e del dolore, della “gente ombrosa” che cerca un “luogo soleggiato” in cui stare bene.
“Un luogo soleggiato per gente ombrosa” è una lettura che sorprende e spalanca gli occhi di fronte a disuguaglianze, violenza, consumismo e crimine.
Mariana Enriquez (Buenos Aires 1973), giornalista della “nuova narrativa argentina”, è considerata fra le più importanti scrittrici latinoamericane contemporanee.
I suoi bestseller (tra i quali “Le cose che abbiamo perso nel fuoco” Marsilio 2017 e “I pericoli di fumare a letto” Marsilio 2023) sono stati tradotti in trenta lingue.
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