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Nuova presentazione al Thriller Café e oggi è la volta de “La stanza del tempo“, romanzo di Marcello Antelao edito da Arpeggio Libero. Protagonisti di questa storia sono il vicequestore Remo Zamboni e l’antropologo forense Ermete Di Stefano, già apparsi nel precedente “Il santificatore“, e ora alle prese con un nuovo caso. Una stanza segreta viene aperta in diretta durante un noto programma televisivo, e all’interno, assieme a tutti gli arredi originali risalenti agli anni della seconda guerra mondiale, viene rinvenuto uno scheletro semi-mummificato accompagnato da strani messaggi crittografati. Le indagini restano impantanate finché una nuova tecnica di Di Stefano apre la strada a Zamboni, che si ritroverà sulle tracce di un misterioso tesoro smarrito da gerarchi fascisti in fuga…
Questa in sintesi la vicenda narrata da “La stanza del tempo”; per aiutarvi a conoscere meglio il romanzo abbiamo posto tre domande all’autore e vi lasciamo a seguire un estratto.
Tre domande all’autore
Com’è nato il libro?
Il libro è nato come naturale prosecuzione di “Il Santificatore”. Dopo i buoni riscontri di pubblico del primo libro, di quella che a oggi è divenuta una serie arrivata al suo secondo capitolo, ho deciso di rituffarmi nelle vite del vicequestore Zamboni e della sua squadra. Riprendendo esattamente da dove li avevo lasciati.
Tornano quindi le avventure di Zamboni e dello strampalato gemello Angelino, tornano i battibecchi sentimentali di Di Stefano e Teresa ma soprattutto tornano gli ingredienti che avevano caratterizzato il primo episodio e vale a dire la storia, il mistero e l’arte.
Se nel primo volume il mistero sembrava ricondurre al “Legenda Aurea” un manoscritto del tredicesimo secolo, stavolta il mistero conduce i nostri protagonisti verso gli ultimi travagliati giorni della seconda guerra mondiale. Nella fattispecie l’indagine porterà la nostra squadra a indagare sulla scomparsa del cosiddetto “oro di Dongo” e a far luce sulla sparizione di una famosa opera perduta di Michelangelo Buonarroti: la testa di Fauno.
La storia e l’arte ancora una volta la fanno da padroni nel suo intreccio. Ne consegue che parliamo quindi di fatti reali e di una vera opera d’arte scomparsa? Può spiegarci meglio?
Sì, parliamo di due episodi distinti che però hanno avuto luogo negli ultimi convulsi mesi della seconda guerra mondiale. Per quanto riguarda il famoso “oro di Dongo” si riferisce al convoglio che nell’aprile del 1945 fu fermato dalla 52° brigata “Clerici”. L’episodio è noto soprattutto per la cattura di Benito Mussolini ma contestualmente all’arresto del duce e dei gerarchi fascisti venne rinvenuto e poi catalogato un cospicuo tesoro in valuta estera, e oro. Di tale tesoro non vi è rimasta traccia e fu anche oggetto di un’inchiesta nel dopoguerra che però non approdò a nulla. Nel romanzo mi sono divertito a riannodare i fili della storia e condurre i nostri protagonisti fin sulla soglia della verità.
L’altro mistero di guerra concerne invece la cosiddetta “Testa di Fauno”. Si tratta di un’opera giovanile di Michelangelo che fu realizzata nel Giardino di San Marco verosimilmente nel 1489. Ascanio Condivi, biografo dell’epoca, racconta che Lorenzo de’ Medici in visita agli scultori presenti apprezzò l’opera ma ne criticò la dentatura che a suo dire sarebbe stata troppo perfetta per il volto di un uomo di età avanzata. Ci racconta allora Condivi che mentre il “magnifico” proseguiva il suo giro, si mise all’opera e cavò rapidamente un dente al fauno facendo apparire la gengiva priva del dente e facendola come quella che si sarebbe detta propria di un vecchio. Ora venendo a noi e a questo secondo mistero della seconda guerra mondiale dobbiamo dire che scomparve negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale. Era stata messa al riparo nel castello dei Conti Guidi di Poppi ad Arezzo ma fu razziata da un convoglio tedesco e da allora se ne sono perse le tracce. Nel romanzo Zamboni e i suoi si troveranno invischiati in un traffico di opere d’arte che li condurrà dritti al mistero.
Qual è la cosa che i lettori potrebbero apprezzare di più nel romanzo?
Innanzitutto il ritorno dei protagonisti cui i lettori hanno iniziato ad affezionarsi. In questo nuovo capitolo li vedremo evolversi e scopriremo lo sviluppo delle loro vicende umane e nel mezzo non mancheranno anche momenti di distensione e ironia. Oltre a questo direi che la principale attrattiva del romanzo risiede nel mistero e nelle verità storiche che il romanzo esplora. Ovviamente nel mio romanzo queste verità sono mescolate alla finzione ma nondimeno spero che possano tramutarsi nel lettore in spunti per riscoprire pagine della nostra storia e luoghi meno noti.
Estratto
«Eccoci di nuovo» esordì l’architetto Masetti, puntando lo sguardo dritto nella macchina da presa. «Non vedevamo l’ora di ritrovarvi per il nostro consueto appuntamento settimanale, e posso garantirvi che anche questa volta ne vedremo delle belle. Non è vero, Sofia?»
«Sì, quest’oggi vi abbiamo portati a Monticelli Brusati in provincia di Brescia. Nella puntata precedente abbiamo visto come Paola e Marco abbiano orientato budget e attenzioni su di un’antica e alquanto malmessa villa in stile liberty» proseguì Sofia, indicando l’edificio che le stava alle spalle. «In questa puntata esamineremo l’immobile e gli daremo nuova vita. Ma ora seguitemi, vi condurrò dritti dritti all’interno del cantiere.»
La conduttrice risalì un piccolo declivio punteggiato da vecchi ulivi, attese che il cameramen e il fonico la raggiungessero e quindi s’inoltrò attraverso un androne.
Oltrepassarono due rampe di scale fino a trovarsi in un grande salone, al centro del quale troneggiava un camino. Lassù i suoni della vicina statale arrivavano attutiti: filtravano attraverso i serramenti sghembi a ondate, sospinti dal vento come segreti appena mormorati. Qua e là sulle pareti, s’intravedevano ancora le ombre polverose dei quadri e della vecchia mobilia che un tempo doveva aver fatto bella mostra di sé.
«Eccoci qua. Ebbene, quest’oggi a Case non per caso abbiamo grandi sorprese. Perché dietro a questa parete, abbiamo scoperto una stanza nascosta» spiegò Sofia.
«Vedete? In questo punto c’era una porta d’accesso che, per qualche ragione, nel corso degli anni è stata murata. Tra qualche minuto i nostri operai sveleranno il mistero. Ci vediamo dopo la pubblicità, rimanete con noi.»
Due operai si posero ai lati del presunto accesso alla stanza, e iniziarono a picconare. Per un attimo il tempo parve rallentare, scandito com’era dal rumore ritmico e cadenzato dei colpi. Poi la picozza affondò nella parete producendo un suono sordo, e fu allora che la muratura collassò su se stessa in un’onda polverosa che si riversò sui presenti. «Bene, sembra che sia giunto il momento» disse Sofia sfoderando un sorriso a favore di telecamera prima d’incunearsi attraverso quello stretto varco.
L’oscurità l’avviluppò. Per qualche frazione di secondo, il buio fu così denso che parve avvolgerla in un vortice capace di risucchiarla… o almeno questo le sembrò finché le sciabolate delle torce non aprirono squarci di luce a delineare, finalmente, gli spazi intorno a sé. La stanza era di modeste dimensioni, ma a colpire la fantasia di Sofia e del suo manipolo di operatori furono i dettagli e la cura con cui era arredata. Sulla parete di destra, vecchie pubblicità della grappa si alternavano a stampe ingiallite, mentre sulla sinistra una lunga libreria la faceva da padrona. Al centro di tutto, una scrivania sul cui ripiano s’intravedeva la silhouette di un libro: l’umidità doveva aver lavorato a lungo, conferendo al testo un aspetto rigonfio. A Sofia sfuggì un sorriso; pensò che quella puntata sarebbe stata un vero successo. Aggirò la scrivania fino a trovarsi tra la sedia poco discosta e il piano di lavoro, e fu allora che registrò un’anomalia. I suoi piedi urtarono qualcosa sul pavimento, abbassò lo sguardo e solo a quel punto vide ciò che la intralciava: un manichino gettato a terra, o forse no. Due orbite vuote parevano osservarla con fare accusatorio entro l’ovale di un teschio ancora parzialmente ricoperto di pelle bruna e incartapecorita. L’urlo di Sofia riecheggiò tra le pareti, per poi perdersi nello spazio. Ondate di terrore artigliarono i suoi pensieri, il cuore prese a batterle all’impazzata e fu allora che si proiettò fuori dalla stanza.
Marcello Antelao
Marcello Antelao, classe 1981 è nato a Brescia e vive a Ronco di Gussago. Lavora come impiegato di una nota azienda di servizi. Da sempre amante di arte e letteratura, esordisce nel 2009 con il giallo storico Whitechapel 1888. I suoi racconti compaiono in svariate antologie, tra cui Giallobirra e la collana Noirshot di Milanonera web press. Nel luglio 2019 pubblica il romanzo “Sagome Visionarie” con Argento Vivo edizioni, cimentandosi per la prima volta con il genere fantastico. Nel marzo 2020 si aggiudica (ex aequo) il Trofeo Cassiopea 2020 con il romanzo “Sagome Visionarie”.
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