La cura del fuoco – Johanna Mo
“Un’avventura nera che si chiude con un cliffhanger poderoso” avrebbe commentato tal OleJacob Hoe dopo aver letto questo romanzo di Johanna Mo, terzo della serie che ha la detective Hanna Duncker come protagonista, tutti pubblicati da Neri Pozza. Al di là di chi sia il signor Hoe (probabilmente un giornalista svedese, come l’autrice), a me questa frase è bastata per affrontare di slancio le quasi 400 pagine che compongono il volume: cliffhanger infatti – voi lo sapete ma io me lo sono andata a cercare- significa finale mozzafiato, esito inaudito, momento di suspense.
La storia è obiettivamente molto accattivante, nonostante io non sia un’appassionata di gialli nordici: un gruppo di ragazzi organizza la serata successiva al diploma e, dopo essere andati tutti insieme ad una festa, si accampa in una casa disabitata dove aleggia una storia fosca di morte e fantasmi. Il gruppetto, in realtà, non è poi così coeso: c’è la bella del reame, che in più è pure simpatica, di cui sono tutti innamorati, e c’è l’amica-nemica della prima, che invece è sì fidanzata, ma aspira molto all’amico del suo boy e, per arrivarci, deve scavalcare parecchi “cadaveri”. Bevono, flirtano, litigano e si fanno gli scherzi. La serata trascorre più o meno bene ma all’alba uno di loro manca all’appello. Dove sarà finito? Gli amici non si disperano: aveva sempre sostenuto che proprio il giorno successivo alla maturità sarebbe partito per Berlino, la città dove aspirava a vivere per sempre. Le forze dell’ordine non lo cercano più di tanto perché il biglietto del traghetto per la Germania, intestato a suo nome, risulta effettivamente utilizzato. Solo la mamma e la sorella resteranno per decenni ad aspettarlo, non comprendendo perché lui – prima di partire- non sia andato a salutarle.
Il cold case della scomparsa di Mikael si intreccia con il presente di Hanna Duncker, tornata a vivere sull’isola di Oland dopo un periodo vissuto altrove. È una valente poliziotta, ma sul suo passato grava il macigno di un padre condannato per omicidio. Lei non ha mai creduto alla sua colpevolezza, preferendo ipotizzare che il padre si sia autoincolpato di una bravata del figlio maschio, finita in tragedia.
Mentre vengono ritrovati i resti del povero ragazzo, che dalle vicinanze della casa abbandonata non si era mai spostato, Hanna è costretta a scappare dalla finestra di casa sua, avvolta in un incendio subito scoperto doloso.
Ci sono connessioni tra gli attentati che lei subisce e le indagini che segue, oppure con la vicenda di cui si è macchiato il padre?
La trama procede con un metodo narrativo che mi è piaciuto molto: una via di mezzo tra il deduttivo alla Sherlock Holmes e l’horror alla Blair Witch Project, con frequenti cambi di stima verso i personaggi e false piste investigative. Ed il finale è proprio del genere che citava il signor OleJacob Hoe.
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