Il sigillo di Parsifal – Ettore Pacetti

Il sigillo di Parsifal – Ettore Pacetti

Redazione
Protocollato il 11 Luglio 2025 da Redazione
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Dello scrittore romano Ettore Pacetti, qui al Thriller Café, abbiamo già parlato qualche tempo fa, quando introducemmo il suo romanzo “I cerchi delle tenebre“. Oggi lo ritroviamo nuovamente protagonista con il suo nuovo libro: “Il sigillo di Parsifal“, anche in questo caso edito da Bertoni, e anch’esso caratterizzato da implicazioni storico-musicali spazianti in circa un secolo di tempo, dall’epoca fascista a oggi.

Ma andiamo con ordine e partiamo dal 1938, anno in cui a Roma giunge in visita il cancelliere Hitler e per accoglierlo si tiene una ricca cena a Palazzo Venezia. I più alti gradi della gerarchia fascista e nazista siedono fianco a fianco a membri dell’aristocrazia romana, tra cui la contessa Irene Camilli Magliani. La giovane vedova è nota per essere dissoluta: ha adottato due gemelli orfani di guerra, ribattezzati con i nomi virgiliani di Evandro e Pallante, solo per farne i suoi amanti. Durante la cena, proprio Pallante riesce a registrare una conversazione segreta fra i due capi di Stato. Il tempo porterà lui e il gemello su percorsi diversi e su posizioni di scontro, finché alla morte della madre si rivedranno per gestire l’eredità. Evandro emigrerà in Argentina, ma partendo porterà con sé il nastro rubato a Pallante per sfregio.  

Ci spostiamo a Milano, 1951. Al Teatro alla Scala il sipario si apre su una memorabile esecuzione del Parsifal di Wagner diretto da uno dei numi dell’interpretazione musicale del Novecento, Wilhelm Furtwängler. L’appassionato collezionista Osvaldo Bersenghi registra su nastro anche questo grande evento musicale. A distanza di anni dalla relazione sentimentale con Evandro, riceve la notizia che il suo antico amore vuole tornare in Italia per rivederlo. La gioia dura però poco: Evandro è malato ed è a Milano solo per morire fra le braccia del compagno di un tempo. Ha portato con sé la registrazione del dialogo fra Hitler e Mussolini; prega il suo amico di restituirla a Pallante. Ha inoltre una dose di veleno con cui Osvaldo dovrà mettere fine ai suoi giorni, qualora la sofferenza e il decadimento fisico arrivassero a essere insopportabili. Osvaldo tuttavia non soddisfa la prima richiesta e invece di consegnare il nastro ne riversa il documento alla fine della sua registrazione del Parsifal diretto da Furtwängler. Proprio questo nastro farà da colonna sonora alla morte sua e di Evandro, la sera che Osvaldo deciderà finalmente di usare il veleno e porre fine alla vita e alle sofferenze di entrambi.

La collezione di Bersenghi finisce anni dopo a Roma, nei magazzini di un importante archivio nazionale, e qui resta dimenticata, finché un archivista non la scopre e mette in moto inconsapevolmente una macchina micidiale che porta alla propria morte. Sarà il primo di una serie di omicidi a opera di chi vuole impossessarsene. Corrado Della Nera, giovane giornalista e dongiovanni impenitente, si imbatte quasi per caso nella vicenda e ne viene coinvolto. Con l’aiuto di una misteriosa ragazza dai capelli rossi e di una sua antica fiamma divenuta dirigente della polizia, farà venire alla luce la trama oscura che accompagna dal loro nascere i documenti…

Questa in breve la trama di “Il sigillo di Parsifal“; per approfondire il libro vi lasciamo con tre domande all’autore e un estratto.

Tre domande all’autore

Com’è nato questo libro?

Il mio ultimo romanzo, Il sigillo di Parsifal, trae origine dal mio passato professionale di archivista di documenti sonori. La trama infatti ruota attorno a due registrazioni immaginarie: una musicale, la ripresa dal vivo del Parsifal di Wagner al Teatro alla Scala nell’interpretazione del grande direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler e l’altra del 1938 contenente un colloquio riservato fra Hitler e Mussolini. Attorno a esse si sviluppa una torbida trama che, attraverso un percorso non progressivo che compie continui salti di epoche, attraversa quasi un secolo, dal ventennio fascista ai giorni nostri.  

Qual è la cosa che i lettori potrebbero apprezzare di più nel romanzo?

Se come genere Il sigillo di Parsifal va considerato senz’altro come un thriller storico, ha diversi piani di lettura. Vi si mescolano infatti varie componenti: la ricostruzione dei momenti storici in cui vennero realizzate le due registrazioni, le questioni attinenti al carattere, all’efficacia e alla conservazione di un documento audio, la diversa percezione del ruolo della musica nella società odierna, oltre all’intreccio più propriamente da “thriller” riguardante le vicende che hanno accompagnati i documenti in questione, inclusa la scia di delitti determinati da essi. Può quindi interessare non solo i tradizionali lettori di gialli ma anche amanti di storia, di cultura e di musica.    

Cosa accomuna e cosa distingue questo romanzo dal precedente?

Sia Il sigillo di Parsifal, sia il precedente romanzo I cerchi delle tenebre sono thriller storici, con vicende generate da eventi lontani nel tempo che prolungano misteriosamente i loro effetti fin nella nostra epoca. Tuttavia mentre nei Cerchi delle tenebre l’evento distava da quello contemporaneo mezzo millennio, nel caso del Sigillo di Parsifal l’arco temporale è più ridotto e investe quindi aspetti ancora drammaticamente presenti. L’intreccio tipico del thriller, basata sulla scia di delitti conseguente alla lotta per il possesso dei due documenti sonori, diventa quindi un pretesto per un carrellata storica su  aspetti ideali, sociali e culturali del Novecento che permangono in maniera conflittuale nel mondo d’oggi.

Estratto

CAPITOLO VII

Roma, 1938

Il momento tanto atteso era arrivato. Per ricevere il capo di Stato straniero più acclamato e celebrato, l’uomo che aveva risollevato le sorti della Germania, la città si era preparata con fastose scenografie, utilizzando pannelli e vere e proprie quinte in cartone per simulare alabastri e marmi.

A quasi quattro anni dal suo precedente viaggio, Hitler tornava in Italia, ma questa volta con uno spirito e in un contesto del tutto diversi. Nel giugno del 1934, il cancelliere era partito per conoscere il suo mentore Mussolini al fine di poterne ripercorrere i passi. Le sue fortune politiche non stavano attraversando un buon momento. La Germania ribolliva di fermenti, la minaccia di Ernst Röhm, con le sue truppe di assalto paramilitari, le SA, era innescata e pronta a scoppiare e le SS e la Gestapo non erano ancora riuscite a consolidare il potere.

L’incontro fra i due avvenne a Venezia. In quella occasione il Duce si adoperò in ogni modo per aumentare il disagio dell’ospite, che oltre tutto si era presentato in modo dimesso, con un abito che lo rendeva simile a un impiegato di infima classe, cercando di umiliarlo con il fasto dei ricevimenti e col tripudio delle manifestazioni di piazza.

Tutt’altra fu l’atmosfera della nuova visita, organizzata come quella di un sovrano medievale. La Città Eterna era inondata da un mare di bandiere con le svastiche e di fiaccole risplendenti. Sembrava che i fantasmi di Ottone di Sassonia e Federico II di Svevia si fossero incarnati nel nuovo imperatore germanico. Dalle luminarie si tenne volontariamente escluso il solo Vaticano. Pio XI si era rifiutato energicamente di ricevere il capo di uno Stato ateo e razzista, nel nome del quale la sede del cattolicesimo non aveva esitato a cambiare la propria nobile fisionomia, consacrata da una storia millenaria, e a trasformarsi in una distesa di labari e di vessilli contrassegnati da una croce dal significato ben diverso da quella cristiana. Aveva pertanto ostentato lo sdegno che lo animava col rinserrarsi nel suo ritiro a Castel Gandolfo e col lasciare le chiese buie e tetre. Era d’altronde stato ricambiato col totale disinteresse da parte dell’illustre visitatore, che si era ben guardato dall’adempiere nei suoi confronti anche i minimi doveri di cortesia diplomatica e istituzionale.  

Il treno del Führer aveva fatto sosta alla Stazione Ostiense, ancora non del tutto terminata. Si era preferita quella soluzione anziché far terminare la corsa alla Stazione Termini, perché i lavori di ristrutturazione e di riassetto urbanistico di piazza dei Cinquecento la rendevano un cantiere aperto.

Un folto numero di operatori cinematografici aveva seguito il viaggio di Hitler per riprenderne i momenti salienti mentre la radio si avvaleva del commento appassionato, esposto con dizione perentoria da Guido Notari. Il celebre annunciatore scandiva da par suo il testo approntato per l’occasione, che era tutto un dispiegarsi di funambolismi verbali tesi a moltiplicare gli effetti sull’immaginazione degli ascoltatori. Lo stile roboante ed enfatico che lo contraddistingueva, zeppo di compiacenze marinettiane, come quando accennava agli effetti “arcobalenanti” degli aeroplani che solcavano il limpido cielo, non mancava di fare il suo effetto.

Appena giunto, il Führer ringraziò Vittorio Emanuele III della cortese ospitalità offertagli al Quirinale negli appartamenti del principe ereditario. In realtà, si prodigò poi nell’umiliare il re non appena gliene si presentò l’occasione. Lo disprezzava profondamente, lo chiamava Nusscracker, “schiaccianoci” e non si asteneva dal dimostrare il suo disappunto perché il collega italiano continuava a sopportare la mascherata storica della monarchia.

Irene Camilli Magliani non era in sé dalla gioia. Vedova da sei anni, aveva ereditato dal marito, il conte Celidonio Camilli Magliani, discendente da un’antica dinastia nobiliare, un patrimonio in grado di assicurarle l’agiatezza e, con essa, la possibilità di dare corso a ogni suo capriccio.

Di origine medioborghese, nata col nuovo secolo nella famiglia di un avvocato romano, aveva perseguito con costante determinazione la sua scalata sociale ed era riuscita a raggiungere le mete principali che contrassegnavano la geografia delle sue ambizioni, prime fra tutte sposare un aristocratico e entrare nel bel mondo romano. Per ottenere questo scopo, aveva messo a frutto il suo principale capitale: la bellezza.

Irene era una delle più suggestive apparizioni femminili che si potessero ammirare nella capitale. Univa a una fisicità prosperosa e opulenta un carattere di ferro, capace di nascondere i suoi reali propositi con la vacua superficialità della femmina di lusso, tanto cara agli uomini ambiziosi. Il marito, folgorato dalla sua avvenenza, l’aveva voluta a ogni costo per poterla esibire al suo fianco e non aveva avuto timore di scontrarsi con i propri parenti, che deprecavano la modesta estrazione della candidata, indegna a loro avviso di entrare nella loro cerchia familiare. Lei d’altronde non provava trasporto per il promesso sposo, ben più anziano di lei, del quale era interessata solo al patrimonio e al lignaggio, ma il giorno in cui venne condotta all’altare appena diciottenne, era comunque riuscita a fingere una appropriata contentezza e ad apparire raggiante di una felicità a stento trattenuta. La aiutava lo splendore naturale della giovinezza, reso ancor più fulgido dall’abito bianco, lucido e lungo, che era parso decisamente troppo appariscente agli austeri esponenti della casata nella quale faceva il suo ingresso.

Da quel momento, i vestiti sontuosi, i preziosi gioielli, le feste e le occasioni mondane rappresentarono i mezzi per conservare lo stato sociale raggiunto. Provava un piacere felino nel sentirsi costantemente ammirata. Era orgogliosa del suo seno generoso, dei fianchi che nella loro armonica rotondità sorreggevano il busto come il calice di un fiore raro. La lunga chioma, di un castano scuro scintillante di riflessi, annodata dietro, accresceva il suo fascino, facendo risaltare le delicate simmetrie del volto, impreziosito dallo smeraldo dei grandi occhi e dalle labbra deliziosamente carnose come rosse fragole mature. Dopo le nozze, avvenute quasi in concomitanza con la fine del conflitto che aveva segnato il crollo degli imperi centrali, Irene si trovò a scontare la pena di avere accanto un uomo che le precludeva sia la soddisfazione sessuale, sia la possibilità di essere madre. Tuttavia mantenne sempre un rigido controllo delle sue emozioni. Sebbene fosse ancora molto giovane, attraesse gli uomini e ne fosse consapevole, non si concesse mai avventure con estranei. Seppe tenere costantemente a freno gli impulsi, le passioni, le bramosie che spesso scuotevano la sua prorompente natura sensuale. Inoltre, non aveva mai nutrito un particolare senso materno. Cercò quindi di costruire il suo personaggio pubblico, si dedicò a opere di beneficenza, purché fossero adeguatamente propagandate e la mettessero in buona luce, e a svolgere il suo ruolo di rappresentanza accanto al marito, che si avviava ad essere uno dei principali sostenitori del nascente movimento fascista.

Ettore Pacetti

Ettore Pacetti è nato a Roma dove ha compiuto gli studi classici e musicali.  

Nel 1984 è assunto in Rai, dove si è specializzato nell’archiviazione dei documenti musicali e poi di tutti i documenti radiofonici, divenendo nel 2006 funzionario di RAI Teche per la catalogazione e gestione degli archivi sonori, carica che esercita fino al congedo per pensionamento.  

Nel 2002 pubblica per RAI ERI insieme a Paolo Donati il saggio C’erano una volta nove oscillatori, dedicato alla storia dello Studio di Fonologia di Milano della RAI. Nel 2009 esordisce nella narrativa col romanzo Segreti concerti, al quale fanno seguito i romanzi Gli stratagemmi della notte (Calibano Editore, 2023), I cerchi delle tenebre (Bertoni Editore, 2024) e Il sigillo di Parsifal (Bertoni Editore, 2025).