Prima che la storia inizi, Georgia Lepore premette due righe al suo romanzo. Ve le cito testualmente: “La chiesa rupestre di Santa Candida non è accessibile al pubblico. Al suo in – terno, gli affreschi che decoravano le pareti di roccia sono purtroppo completamente svaniti: ho immaginato che ci fossero ancora.” 

Quello delle chiese rupestri, riscoperte negli anni ’90 nei dintorni di Matera e nell’interno del barese, è un fenomeno che mi ha sempre affascinato. Sono le chiese degli eremiti venuti dall’Oriente nell’VIII e nel IX secolo, dimenticate per un millennio, usate come rifugi temporanei dai pastori e dai loro animali e poi riscoperte e diventate patrimonio dell’umanità, con tutto il loro carico di storia e di cultura.

Alcune di loro, come quelle ritrovate in Cappadocia, conservano ancora intatti affreschi di una bellezza infinita. Nell’entroterra barese, invece, la chiesa rupestre di Santa Candida delle splendide pitture alto medioevali ha conservato solo uno sbiadito ricordo. Forse è il pensiero di ciò che Santa Candida è stata nel lontano passato ad aver ispirato Giorgia Lepore nella stesura del quarto romanzo della serie che ruota intorno all’ispettore Gerri Esposito, un poliziotto diverso, un uomo reso sensibile dalle difficoltà che ha dovuto affrontare nella vita.

Ma torniamo a Santa Candida, così come è sognata dall’autrice. Un grande Cristo Pantocratore, maestoso e severo, domina l’abside della chiesa. Ha gli occhi neri, grandi, sgranati, la pelle scura, i capelli che gli circondano il viso come una raggera di serpenti. Veglia su Santa Candida come una figura viva ed è a lui che si rivolge per trovare conforto chi è senza amici o chi ha il cuore dilaniato da un inconfessabile peccato.

La chiesa rupestre, però, come tutti i luoghi segreti e abbandonati è anche un luogo equivoco, dove avvengono incontri proibiti o dove i ragazzi che marinano la scuola si rifugiano per scopare o farsi una canna in santa pace.

Le cose cambiano quando sul luogo viene rinvenuto il cadavere di un uomo, steso in posizione supina proprio davanti al grande Cristo. Ẻ di mezza età, ha i calzoni abbassati e un serpente morto sullo stomaco. Qualcuno gli ha rubato il portafogli, per cui nessuno sa chi sia. Tutti, però, sono convinti che si tratti di un omicidio legato a una pista satanica, almeno finché l’ispettore Gerri Esposito, reduce da un viaggio nella nativa Napoli per soccorrere un amico, non inizia a indagare. La pista satanica, così, si trasforma in un caso molto più umano e forse molto più doloroso, che vede coinvolti alcuni adolescenti.

Seguire il caso segna Esposito nel profondo, perché, come spesso gli accade, nei ragazzi abbandonati con cui viene in contatto ritrova una parte del se stesso bambino e adolescente che non ha mai smesso di tormentarlo: quella dell’orfano cresciuto in collegio da don Mimì, un prete bonario che gli ha fatto da padre.

Il caso che Gerri Esposito segue è un’indagine dura, un’indagine che si scontra contro i poteri forti della città di Bari, ma è anche un’indagine che lo spinge a non mollare e a non abbandonare la presa, perché spesso non sono solo i morti ammazzati quelli che hanno bisogno di giustizia. A volte anche i vivi ai quali quegli stessi morti hanno procurato dolore e sofferenza la reclamano.

“Forse è così che si diventa uomini” non è solo un bel noir, ma anche un romanzo di denuncia che fa sue alcune delle tematiche che hanno scosso negli ultimi anni l’immagine della chiesa cattolica. La lingua è scorrevole e l’uso del dialetto, ben dosato, non infastidisce chi non è pugliese.

Più di tutto, però, del romanzo ho amato l’ambientazione, la chiesa rupestre di Santa Candida con il suo severo Cristo bizantino che sta a ricordarci che l’Italia è stata abitata da decine di popoli diversi, che i nostri geni sono profondamente mescolati, e forse è proprio per questo che abbiamo prodotto, nei secoli, una grande cultura e opere artistiche indimenticabili.

Ti è piaciuto l'articolo? Iscriviti alla newsletter

Inserisci la tua email e riceverai comodamente tutti i nostri aggiornamenti con le novità, le anticipazioni e molto altro.

Compra su Amazon

Articolo protocollato da Maria Cristina Grella

Laureata in Lettere moderne, insegnante di professione e gattara per passione, vivo a Perugia insieme a mio marito e ai miei gatti. Ho scritto diversi racconti gialli per riviste e antologie e ho pubblicato una decina tra racconti lunghi e romanzi con Delos Digital editore. Sono appassionata di Storia medioevale e ho scritto diversi racconti lunghi e romanzi – noir e rosa – pubblicati sia solo in digitale, ma anche in cartaceo, e ambientati nell’Alto e nel Basso Medioevo. Insieme a Franco Forte (che ha curato la collana) e Davide De Boni sono coautrice di: “Servio Tullio – nato dal fuoco”, sesto volume della saga “I Sette re di Roma” (Mondadori gennaio 2022). Il mio romanzo noir “Nel Nome della Madre” (Libromania editore) ha vinto la sesta edizione di “Fai Viaggiare la tua Storia”, è stato tra i tre finalisti del premio Fulginum editi e finalista a Ceresio in giallo. Inoltre è apparso in tutte le librerie italiane nel luglio 2022, qualche mese prima che Mondadori e De Agostini decidessero di chiudere Libromania. Il mio ultimo racconto lungo, “Era suo padre” è uscito nel mese di marzo nella collana Crime di Delos Digital ed è disponibile in tutti gli store on line. Sono una lettrice appassionata e ho recensito romanzi per diversi blog letterari. Attualmente mi occupo di noir per Thriller Café. Inoltre, ho fatto e faccio parte di giurie tecniche per i premi letterari.

Maria Cristina Grella ha scritto 12 articoli: