
L’editore Guanda, nella collana Guanda Noir, decide con non poco coraggio di pubblicare un autore inglese finora mai tradotto in italiano, Roy Fuller, con il romanzo “Dietro le quinte” (titolo originale “The second curtain”, traduzione di Alba Bariffi), un romanzo del 1953, aspetto che rende l’operazione ancora più intrigante.
Roy Fuller è noto per lo più come poeta, meno come romanziere, ma va detto fin da subito che “Dietro le quinte” è un noir pieno di fascino, al punto da chiedersi come mai finora nessuno lo avesse ancora scoperto. Di dimensioni non esagerate, il romanzo scorre grazie a una prosa gradevole e a un linguaggio ricercato, ma non pedante. Lo stile, che chiaramente fa riferimento all’epoca nella quale il libro è stato scritto, è quello tipico di un noir di quegli anni, intriso di humour britannico. Il protagonista, George Garner, è uno scrittore londinese di secondo piano, che viene incaricato, con suo grande stupore, di dirigere una nuova rivista letteraria. Ben presto, Garner si rende conto che qualcosa nel suo incarico non funziona e che l’editore che vuole ingaggiarlo è una persona ambigua alla quale sembrano essere collegate due morti misteriose. Lo scrittore viene così coinvolto in una spirale di avvenimenti inquietanti, fino alla imprevedibile conclusione.
C’è una Londra di altri tempi che fa da sfondo a questa storia. Una Londra che viene descritta in modo estremamente affascinante, mettendone in luce non tanto gli aspetti più famosi e scintillanti, ma i luoghi meno noti, dove si muovono personaggi di un’umanità piccola e meschina, che vive di espedienti e spesso di malaffare. Dove nulla è limpido e trasparente, ma tutto è opaco e rugginoso. E c’è la comunità letteraria di second’ordine, la vera protagonista del romanzo, che la popola. Fatta di pseudo-artisti e letterati spiantati e scassati, che con le loro gelosie e i loro meschini intrighi cercano di sbarcare il lunario, alla ricerca di un’imitazione del vero genio artistico che non sarà mai alla loro portata.
Fuller, che forse un po’ ironicamente e un po’ no si sente parte di questa comunità (anche se lui per sbarcare il lunario faceva pur sempre l’avvocato), ha per questa allegra combriccola un misto di indulgenza e di spietata derisione. Ne coglie gli aspetti più interessanti, laddove dipinge un Garner capace di citazioni dotte e di fini analisi letterarie, come quando lo descrive nella esaltazione del “Caleb Williams” di William Godwin, (padre di Mary Shelley autrice di Frankestein e padre del pensiero anarchico) ma anche delle meschinità più bieche, come quando si intrufola clandestinamente a feste eleganti, per poi fuggire completamente ubriaco importunando gli ospiti.
In ogni caso, in questo romanzo c’è una capacità non comune di descrivere con ironia ed eleganza il lato oscuro dell’umanità. Una modalità con la quale vengono messi in luce i delitti che si susseguono nella vicenda che permette di coglierne non tanto il lato spettacolare, quanto quello “umano”. Nel senso che non compare tanto l’efferatezza alla Jack the Ripper, per parlare di un altro noto londinese, ma la desolante normalità degli esseri umani qualunque, che, in condizioni particolari, sono capaci di crimini terribili. Per viltà, superbia o semplicemente per banalità, per dirla alla Harendt.
Vi resterà in bocca un sapore agrodolce che è tipico dei bei romanzi che recensiamo su queste pagine. Perché il delitto è sempre dietro l’angolo e, in fondo, ogni essere umano ha il suo lato oscuro. Dove si celano paure, incomprensioni, volontà di potenza. Ma forse è proprio esplicitando e riuscendo a comprendere il proprio lato oscuro che diventiamo capaci di amare e di comprendere fino in fondo gli altri. E capiamo che i peggiori mostri non sono quelli che la società addita come tali, ma quelli che sono dentro di noi e non abbiamo il coraggio di guardare. Proprio come ci invitava a fare Mary Shelley con il suo capolavoro senza tempo. Mi piace allora pensare che Fuller abbia voluto ricordare il Godwin rivoluzionario e libertario di Caleb Williams, per parlarci anche del Frankestein della figlia, così diverso, ma così uguale, al George Garner di “Dietro le quinte”.
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