Delitti in città – AA.VV
Dopo il successo della precedente raccolta “E Cosy sia” de “Il giallo Mondatori Big” il curatore Franco Forte ci propone un nuovo capitolo, questa volta intitolato “Delitti in città“.
Dieci selezionati autori, tra nomi conosciuti e qualche nuova proposta di qualità, che attraverso gli scorci delle città di appartenenza ci trascinano tra le atmosfere del noir e del giallo più classico.
Devo dire che la qualità generale di quest’opera è molto elevata, come da recensione puntuale di tutti i racconti, che vi propongo qui di seguito senza tenervi troppo sulle spine.
“Delitto a Catania – Odi et amo” di Maria Elisa Aloisi
È sempre un piacere ritrovare Maria Elisa Aloisi. Nella precedente antologia “E Cosy sia” il suo racconto (non me ne vogliano gli altri, erano tutte storie di altissimo livello) era quello che mi era piaciuto di più.
Ne è testimone il curatore Franco Forte, al quale avevo segnalato la mia preferenza a Lignano mentre si discorreva del più e del meno.
Questa volta è lei a inaugurare le danze, come un bel disco rock dove la traccia d’apertura ci tiene a farci sapere che la band è tornata e più in forma di prima.
Ritroviamo il suo personaggio di maggior successo, l’avvocato Ilia Moncada, per l’occasione protagonista di un prequel delle sue scorribande tra le aule dei tribunali. Anzi, la sua prima uscita pubblica.
Fragile e insicura, come è giusto che sia di fronte a quella pletora di pubblici ministeri e avvocati dell’accusa che non vedono l’ora di sbranarsi il suo cliente, troverà la forza e il coraggio di ribaltare la situazione, con l’aiuto dell’amica Irene.
Maria Elisa è un vero avvocato penalista, e conosce l’iter di polizia giudiziaria alla perfezione. Difficilmente nei suoi racconti avrete a che fare con un curato di campagna che conduce il maresciallo di paese ad arrestare un serial killer. Lei sa che non funziona così. Purtuttavia le sue storie non sono una noiosa sequela di procedure e terminologia tecnica; di fatto l’autrice rende piacevole e di facile comprensione il dibattito processuale a chiunque non ne sia avvezzo.
Quando Agatha Christie (citata a più riprese nel racconto) incontra “Un giorno in pretura”.
Da segnalare anche la nota finale, una chicca che ci racconta dove la storia è stata scritta.
Il racconto è ambientato a Catania, che Maria Elisa ci descrive così:
“Le luci notturne si andavano accendendo e si snodavano sul lungomare come cristali colorati di una collana“
“Delitto a Torino – Pecunia non olet” di Giorgio Ballario
Ma che bella prosa! Si narra di una rapina a un Compro Oro, e di primo acchito verrebbe da pensare a un qualcosa di già visto, se non fosse che questo racconto vi terrà incollati alle pagine, col fiato sospeso, dall’inizio alla fine.
Non viene da stupirsi che Giorgio Ballario abbia un curriculum di tutto rispetto, e che da giornalista d’esperienza sappia sequestrare (mai termine fu più indicato) l’attenzione del lettore per trascinarlo tra le maglie del racconto.
Non un rallentamento, un calo di tensione; il ritmo alto e costante vi inchioderà alla poltrona facendovi voltare le pagine con inconsueta avidità. Sembra di leggere un film.
Andrò a reperire le altre opere di questo autore, che conoscevo poco (ahimè) e la cui abilità narrativa mi ha stregato.
Il racconto è ambientato a Torino, che Giorgio ci descrive così:
“La vita di Bruno è lo specchio di una città che si sta disgregando, così come lui. Mettono le bandierine italiane alle automobili prodotte all’estero e pensano che sia tutto come prima.”
“Delitto a Valencia – Opera di morte” di Paolo Bernetti
Quasi un pezzo horror alla “Saw l’enigmista” questo racconto di Paolo Benetti. Quella che doveva essere un’eccentrica opera d’arte (anzi, un'”opera di morte“), si rivela agli sguardi attoniti del pubblico di un museo come un macabro ritrovamento.
L’Homo Technicus, in origine un manichino appeso a un cavo, è stato sostituito da un vero cadavere. Che sarà sventrato, per di più.
Due punti di vista differenti accompagnano il lettore lungo questa avventura: quello del professor Gonzalo, amico dell’artista Pau Soler, e quello del tassista con l’hobby dell’investigazione Joaquin.
Al di là degli aspetti da thriller ben architettato c’è molta carne al fuoco, in quest’opera, e se non fosse per la foliazione ridotta ci sarebbe stato materiale sufficiente per elaborare un intero romanzo. Si parla infatti degli eccessi della tecnologia, di anarchia e complotti politici, di relazioni non corrisposte e di “invisibili” (non solo i senzatetto, ma non posso dirvi di più). C’era il rischio, in un racconto di media lunghezza, di disorientare il lettore, ma Bernetti riesce bene nell’intento, riassumendo ove necessario senza debordare né stancare. Una scrittura scorrevole ed equilibrata, coi capitoli che vedono l’alternarsi tra i due protagonisti col risultato di mantenere alta la tensione.
Il racconto è ambientato a Valencia, che Paolo ci descrive così:
“Valencia era come un’amante, per lui: luminosa, colorata e percorsa da un fiume di vegetazione rigogliosa. La città del mare, dei turisti, del solo eterno. […] Lo stesso sole che la abbandonava di notte, trasformandola in una città oscura, avvolta in un’umidità perfida e penetrante.”
“Delitto a Ravenna – Dellarte e dellamorte” di Elisa Bertini.
Elisa Bertini è l’autrice che, più di chiunque altro, ha centrato il tema di questa antologia. Ravenna è fuori da ogni ombra di dubbio co-protagonista della vicenda; la percorriamo in ogni suo anfratto, a partire dalla centrale via Cavour, dentro la basilica di San Vitale, attraverso i giardinetti Speyer e la Darsena, per finire in qualche oscura bettola di periferia.
La protagonista, Madam Destino (al secolo Minerva Mai) è uno dei migliori personaggi che mi sia capitato di leggere ultimamente. Finta chiromante che invece di leggere le carte legge le persone, esperta di tecniche di neuromarketing che lei stessa definisce “la Fottutissima Gran Risorsa”, utilizza la tecnica dell’induzione al posto di quella della deduzione.
E poi c’è un altro aspetto, del tutto personale, che mi ha invogliato a leggere questo racconto per ben due volte. Io che sono cresciuto con Enrico Brizzi (che col thriller non c’entra nulla, ma poco importa) ho sempre subito il fascino di quegli scrittori che sanno giocare con le parole, capaci di trasformare l’ironia in esilaranti figure retoriche.
Elisa Bertini ci regala uscite di questo tenore: “il commissario era una scintillante visione anche in quel posto dimenticato da Dio e Allah e – ne era certa – schifato pure da quel gran tranquillone di Buddha.”
Spassoso, oltre che ben architettato.
Il racconto è ambientato a Ravenna, che Elisa ci racconta così:
“Quella città era un vero mistero, non finiva di stupirla: c’era bellezza millenaria in ogni angolo, intervallata, alle volte e come in quel caso, da chiazze di degrado.”
“Delitto a Firenze – Rena, sudore e sangue” di Wladimiro Borchi.
Wladimiro Borchi, di recente apparso in libreria con l’ottimo “Omicidio al lampredotto” (non indicato in biografia, essendo fresco di stampa), ci racconta un delitto commesso sul campo di gioco di una partita di calcio storico fiorentino, antichissimo sport praticato già ai tempi dei Medici e che ha visto tra i vari protagonisti la bellezza – udite udite – di ben tre papi.
Anche questo autore ci accompagna attraverso i monumenti della sua città, Firenze, dove si parla anche di Dante e di opere d’arte. I comprimari dei protagonisti – l’ispettore Rocchi e la collega Crespina – si esprimono spesso facendo uso dell’allegro dialetto toscano, rendendo il racconto pittoresco e, allo stesso tempo, credibile, oltre che piacevole.
“Io sgobbo e vo’ altri vu’ state a fa’ salotto!“; “Icché vogliono ‘sti sbirri?“; “E icché sarebbe questa ricina?”
Sembra quasi di sentirli parlare vicino a noi, questi personaggi, un po’ come se ci trovassimo al centro della scena.
Una storia ben raccontata, e con un finale spiazzante, da bravo giallista, che vede l’ombra di vecchi rancori tornare ad affacciarsi sul presente fino a influenzarlo in maniera nefasta. Il tipo di gialli che prediligo.
I riferimenti al capoluogo toscano sono talmente tanti che ho faticato, per questa storia, a trovarne uno in particolare che rappresentasse meglio degli altri la città.
C’è però un gran bel passaggio che descrive l’opera di Michelino, quella che molti di noi hanno sicuramento trovato sulla copertina dell’Inferno di Dante già ai tempi delle scuole, e che è strettamente legata alla storia raccontata:
“Il quadro… è conservato proprio lì, dentro Santa Maria del Fiore, a un passo dall’accesso alla cupola. Quasi a rappresentare che quei gradini che le si arrampicano tutt’intorno siano una sorta di purgatorio da scalare per poter accedere al paradiso. Una espiazione, insomma.”
“Delitto a Tokio – Sayonara” di Matteo Guerrini
Si vola in estremo oriente con questo racconto di Matteo Guerrini, vincitore del “Premio Tedeschi” nel 2022 e abile narratore.
Entriamo in contatto con una Tokio sconosciuta, quella più povera, che difficilmente ci viene presentata tra le pagine delle riviste patinate di viaggi. Mendicanti perdigiorno e disastrati barcaioli, aziende di demolizioni che tirano a campare sul filo dell’illegalità, luridi ristoranti che cadono a pezzi nel mezzo di quartieri invisibili alle luci del centro. Una metropoli molto più noir di quanto non si creda, e ringraziamo l’autore per la descrizione di questi scorci, che solo chi vive da quelle parti può conoscere e farci scoprire.
Anche in questo caso abbiamo a che fare con un caso che affonda le sue radici in un lontano passato, dove i torti di un tempo assecondano le trame di un beffardo destino, tornando a emergere con prepotenza a distanza di decenni, per sfociare in quello che sarà un barbaro omicidio.
Uno stile di scrittura coinvolgente, supportato da una trama ben architettata e dal finale insospettabile, come per ogni buon giallo che si rispetti.
Il racconto è ambientato a Tokio, che Matteo ci racconta così:
“Sotto il palazzo della TV era stato installato un palco, su cui un gruppo di adolescenti vestite da studentesse del liceo si dimenava al ritmo di quella musichetta ammiccante. Di fronte al palco, qualche centinaio di uomini di mezza età assisteva al concerto con lo smartphone in mano. Ognuno disperatamente solo e disgustoso.”
“Delitto a Roma – Notti magiche” di Enrico Luceri.
Quando la mia candidatura a entrare a far parte del team di recensori del TC era stata accettata, il boss mi aveva domandato se avessi delle preferenze.
A quella domanda risposi col desiderio di occuparmi, in prevalenza, di autori italiani, dato che ritengo che nel nostro paese vi siano degli abili e gran bravi giallisti. In quel momento, sulla tela dei miei pensieri, stavano scorrendo in sovraimpressione due nomi in particolare. Uno era quello di Francois Morlupi, che aveva aperto le danze col precedente “E Cosy sia“, e l’altro era quello di Enrico Luceri. Due autori che seguo fin dagli esordi, e che non ho mai abbandonato per via della qualità costante e in aumento delle loro opere.
È fuori da ogni ombra di dubbio che Luceri qui dentro sia uno dei nomi più noti, quelli che invogliano il lettore a prendere in mano il volume e dare un’occhiata alla quarta di copertina. E poi magari a comprarlo.
Poteva quest’autore mai deludere? Trattasi di domanda retorica, s’intende.
Bentornati a Roma, signore e signori, lasciatevi trasportare dal tram che l’ispettore Maria Fornari utilizzerà per muoversi tra l’Esquilino e i lussuosi quartieri dell’Aventino, la via Flaminia, l’Isola Tiberina, Trastevere e qualche isolata autorimessa imboscata tra le vie secondarie di Cinecittà.
Due delitti all’apparenza scollegati, distanti diversi decenni l’uno dall’altro (il titolo del racconto è già di per se molto eloquente) ma che si riveleranno presto possedere una matrice in comune: l’assassino.
Appartamenti rimasti chiusi per anni coi loro segreti, battiscopa che nascondono prove, inquilini sospetti e sospettosi. Anche qui ce n’era abbastanza per tirarci fuori un romanzo a se stante, ma l’ispettore capo Rizzi pretende una soluzione in soli due giorni e la frenetica attività della nostra Fornari obbliga l’ottimo Luceri a condensare il tutto in quaranta ghiotte pagine.
Il racconto è ambientato a Roma, che Enrico ci racconta così:
“Parla co’ rispetto! Quella è davero ‘na porta maggica! Se dice che nasconde ‘n passaggio coll’artro monno e certi morti ce possono passà!“
“Delitto a Bologna – Dov’è Anna” di Fabio Mundadori
Una serie di cadaveri impegna l’ispettore Giulia Torrisi e il fido sovrintendente Capasso, a cominciare dal ritrovamento d’un mucchio d’ossa avvenuto al limitare dei trecento scalini, che pare appartenere a una bambina, in cima alla collina del parco San Pellegrino. Da qui in poi tutte le vittime che seguiranno saranno accomunate da due elementi: la morte per affogamento, avvenuta in un punto differente da quello del ritrovamento, e la presenza di un oggetto, tra gli effetti personali del disgraziato di turno, che avrà lo scopo di suggerire il luogo del successivo delitto. La chiave di una Maserati, un binocolo, un Vangelo con delle pagine strappate.
Tutti gli ingredienti del giallo classico ci sono e sono ben distribuiti, e il lettore che abbia un minimo di conoscenza della capitale emiliana può provare a indovinare la prossima tappa di questo macabro tour.
Che si tratti di una storia legata a un evento passato è chiaro fin dalle prime battute, da quel capitolo iniziale che porta la data del 1984, quando un gruppo di ragazzini in gita è lasciato libero di inoltrarsi in solitaria nel bosco.
C’è poi un elemento innovativo e che ha a che fare con l’intelligenza artificiale, del quale non posso dirvi molto per non rovinare l’effetto sorpresa e il gran finale. Giallo classico, quindi, ma ben impiantato nel tessuto dei giorni nostri.
Nota di merito anche a Fabio Mundadori, quindi, che tra l’alternarsi dei capitoli che saltano fra l’84 e il 2024, e il gran numero di morti ammazzati, tiene alta la tensione e l’interesse del lettore dal principio alla fine.
Il racconto è ambientato a Bologna, che Fabio ci racconta così:
“… a un lato dei suoi piedi le luci di Bologna tempestano il tappeto blu della notte, mentre dall’altro, davanti a lei, a poche centinaia di metri in linea d’aria, si erge il Colle della Guardia. Dalla sua sommità la basilica di San Luca illuminata la fissa con tutte le sue risposte.“
“Delitto a Napoli – Helena” di Ciro Sabatino
Ve lo dico senza mezzi termini: invidio l’estro narrativo di Ciro Sabatino, e mi duole il fatto che non faccia – anche – il romanziere. Perché di cose ne fa tantissime, come racconta la sua biografia, dividendosi tra la direzione del “Festival del Giallo Città di Napoli”, gli articoli di cronaca nera e il mensile Giallo.it.
Ho trovato solo un romanzo targato 2023, “A place to return“, che mi andrò a leggere subito. Dalla quarta di copertina mi par di capire che ritroverò i personaggi di questo racconto (quantomeno “Tata”), ai quali mi sono affezionato.
Ciro è esperto di leggende, come ci informa una nota sul sito Gialli.it, e si capisce bene! Il pezzo inserito in questa antologia offre molteplici piani di lettura, non solo quello del racconto giallo.
Qui dentro c’è tutta l’epopea del blues, il mistero del club dei J27, si parla di scacchi e di libri, di Mary Shelley, soprattutto. E poi c’è una storia nella storia, raccontata in maniera impeccabile, che quando finisce vi verrebbe voglia di chiederne di più: la leggenda di Robert Johnson, il musicista che vendette l’anima al diavolo. Da leggere e rileggere, nella speranza di ritrovare in futuro questo autore con qualcosa di più corposo, perché ha una penna fantastica ed è molto bravo.
Il racconto è ambientato a Napoli, che Ciro ci racconta così:
“E pensare che lì, un tempo, c’erano le conchiglie illuminate che sembravano lucciole di un bosco impossibile, le puttane che ti dicevano “Dai, vieni”, e qualcuno, seduto sui gradini, che magari piangeva. In silenzio. Pensando ai cavoli suoi. Ambra. E blu. L’impasto magico. Il colore di Napoli quando non tenti di capire che colore abbia questa città.“
“Delitto a Milano – Insanabili contrasti” di Elena Salem
L’antologia si chiude con un racconto che verte più sul thriller che sul giallo, dato che quasi fin da subito si sa chi siano i componenti della banda criminale e quali i loro scopi. Di fatto tutta l’azione si svolge in quella città che sorge dentro la città, a Citylife, il quartiere ultramoderno riservato agli extra ricchi, dove svettano i grattacieli del Bosco Verticale e le torri Unicredit e Allianz. Un rapimento anomalo, un cadavere che cade da dove non dovrebbe – dieci piani più in alto del suo appartamento – e un hacker in grado di perforare le difese cibernetiche che sorvegliano il perimetro delle residenze di lusso, oltre che farsi beffa dei sistemi di tracciamento telefonico della polizia. Il commissario De Vicari, impegnato a tenere il passo di una figlia quindicenne che mangia solo giapponese e gli parla d’inclusione e di società multietnica, si ritrova obbligato dalle contingenze a lottare contro il tempo.
È scritto bene, la narrazione è scorrevole. Forse avrei preferito conoscere qualche dettaglio sulla banda un po’ più avanti, per crogiolare nel mistero, ma è chiara l’intenzione della scrittrice di puntare più sull’azione che sul colpo di scena inatteso, e in questo devo dire che non delude. Il racconto pare già scritto per una trasposizione televisiva – un possibile episodio pilota – e forse non è un caso che un’altra opera di Elena Salem sia già stata opzionata per questa tipologia di prodotto.
Il racconto è ambientato a Citylife (Milano), che Elena ci racconta così:
“Per Calvino la città è una metafora della condizione sociale. Le città sono fatte di contraddizioni. In esse si intrecciano progresso e degrado, ricchezza e povertà. Milano, per esempio, è una città che promette opportunità, ma genera anche esclusione sociale.”
In definitiva: non ho trovato all’interno di questa raccolta nemmeno un racconto che odorasse di riempitivo. La qualità di queste antologie “Big” ha ormai abbandonato la rampa di lancio per puntare sempre più in alto, e pare di trovarsi tra le mani il “Best of” di una grande band, piuttosto che un album dove c’è sempre qualche pezzo meno forte degli altri. Complimenti al curatore Franco Forte e a chiunque abbia lavorato dietro le scrivanie per selezionare, editare, e mettere insieme questa collezione di storie incredibili. Oltre ad aver gioito durante la lettura di qualche mostro sacro, ho avuto modo di scoprire autori che non conoscevo, tutti bravissimi. Alla prossima antologia!
Recensione di Mauro Piva.
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