Ospite ormai ricorrente, Franz König torna oggi al Thriller Café con una nuova storia con protagonista Doc. Roversi dal titolo “Ciborio“.
In questo romanzo, il medico è alle prese con un caso che lo riporterà nel mondo dell’arte, seguendo la traccia lasciata nei secoli da un tabernacolo decorato da Beato Angelico.
Tutto comincia con un ragazzo che muore dopo un incidente in moto; era un giovane falegname appassionato di antichità.
Secoli prima al reperto scomparso aveva lavorato Ranuccio, giovane impiegato presso la bottega di Masaccio… A lui era stato dato l’incarico di preparare per un affresco in un oratorio di montagna in attesa del Maestro. Qui aveva conosciuto Bernarda, figlia del locandiere del posto e meravigliosa fanciulla. La malasorte lo aveva però costretto a fuggire, non prima di aver nascosto un prezioso fregio a predella di Beato Angelico, per vendetta nei confronti del mondo intero.
Riuscirà Doc Roversi a ritrovare l’antico reperto, seguendo gli appunti del motociclista morto?
Lo saprete leggendo il libro; intanto vi lasciamo qui a seguire un estratto.




Estratto
C’erano Antonio e Vittoria, coppia storica, meravigliosa, serena, efficace, incredibilmente fissa da anni e mai diventati amanti, a dimostrare che l’eccezione è quella che conferma la regola. Lui alto, precocemente imbiancato nei capelli, signorile e affabile, lei biondina riccioluta, sorridente e veloce sulle gambe sottili ed eleganti che si ostinava a mettere in mostra con discrezione, rifiutando, irriducibile la divisa nuova con casacca e pantaloni. Avevano preparato per mezzanotte la tradizionale pausa con i tortellini in brodo. Lei portava la pasta fatta nel pomeriggio, lui il brodo di carne saporito fatto dalla moglie. Si diedero appuntamento per dopo, e il Doc si diresse con il mezzo sigaro spento in bocca verso l’ascensore. Gli alloggi erano al 6° piano, in cima alla torre del nuovo ospedale. Roversi spinse il pulsante con la dicitura 6°-alloggi-, si appoggiò alla parete e ascoltò il fruscio delle porte che si chiudevano e dei cavi metallici che cominciavano a tirare la voluminosa cabina in metallo illuminata dai neon. La quale fece pochi metri in salita e si bloccò. Esattamente fra il 2° e il 3° piano. Le porte rimasero chiuse, le luci accese e i motori spenti. Roversi andò alla pulsantiera e provò a spingere i vari tasti, senza nessun risultato, fece due o tre volte il giro della grande cabina, abilitata a trasportare due barelle affiancate, provò a forzare le porte scorrevoli e riuscì solo ad intravedere il muro di cemento armato che separava i due piani, di sopra una sottile linea di luce consentiva di scorgere il pavimento del 3° piano, di sotto solo grigio cemento. Provò a spingere le porte ma non si aprivano oltre a qualche centimetro. Il telefonino che aveva in tasca dava ancora qualche segnale di ricezione, ma la batteria era quasi scarica. Il mozzicone del sigaro spento cominciava a diventare amaro. Disse a bassa voce un “porcaputtana” e si decise a suonare il pulsante dell’allarme.
Non rispose nessuno. “Ecco…” pensò “non dovrebbe esserci una linea telefonica aperta 24 ore? Figuriamoci… ospedale rinnovato…. Reparto inaugurato un anno fa. Porcaputtana!!”. Provò a chiamare ad alta voce, ma i rumori dei servizi coprivano la sua richiesta di aiuto, e comunque lui non era tipo da urlare. “Lo sapevo“ pensò “che era una notte sfigata… porcaputtana!!”. Si decise a telefonare in portineria e farsi passare il reparto di ortopedia. Rispose Vittoria professionale e tranquilla.
– Dica Doc.
– Scusa…Vittoria… sono rimasto bloccato in ascensore. Mandami Antonio, che mi aiuta ad aprire le porte… fra il 2° e il 3°.
– Ma va… ANTONIO!!! Arriva subito Doc! Ha bisogno di qualcosa?
– Di aprire le porte… dai! Digli che venga al 3°. È l’ascensore delle barelle.
– Subito… ANTONIO!!! Adesso arriva.
Antonio arrivò in pochi secondi, affannato dalla corsa e dalle 40 sigarette che si fumava ogni giorno, a parte i turni di guardia che usava come riposo polmonare.
– Doc!! È lì sotto? Mi sente?
– Non urlare, sono qui a due metri, ti sento benissimo.
– Cosa devo fare Doc?
– Non so… prova a chiamare l’ascensore dal tuo pulsante…
– Non funziona Doc. Spingo ma non si sposta. Aspetti, faccio il giro dei piani a vedere che non ci sia una porta rimasta mezza aperta. Partì di corsa e scomparve sulle scale. Nel frattempo, si erano radunati davanti all’ingresso dell’ascensore altri 3 o 4 infermieri, tutti pronti a suggerire una soluzione più o meno assurda, qualcuno agitato per la novità da raccontare la mattina successiva al cambio turno, altri semplicemente soddisfatti nel poter vedere finalmente un dottore, rappresentante della classe dirigente, incastrato in un ascensore bloccato. Antonio tornò dopo pochi minuti con il fiatone.
– No…Doc tutte le porte sono chiuse. Cosa devo fare?
– Chiama l’assistenza… no? Parla con la portineria, loro dovrebbero avere il numero del servizio tecnico d’urgenza.
– Sì Doc. Vado subito! E partì di corsa. Il gruppetto dei curiosi diventava più numeroso e vociante. Roversi sentiva qualche commento filtrare dalle ante metalliche semichiuse, risatine, rumore di ciabatte strisciate a pochi centimetri dalla sua testa. Aveva capito bene, era una notte di guardia sfigata.
Tornò Antonio sempre più affannato.
– Fatto Doc.! Hanno detto che arrivano prima possibile.
– Cioè? Fra quanto?
– Ah… non saprei Doc. Vengono dalla città… mettiamo il traffico… boh, forse mezz’ora? Forse un po’ di più…
– Sì. Immagino. Diciamo di più. Bisogna chiamare qualcuno che copra la guardia. Io da qui non son in grado… se qualche reparto cerca… chi è reperibile per la chirurgia?
– Ci guardo… dunque…chirurgo reperibile… Dr. Gargiulo. Lo faccio chiamare?
– Sì. E digli che faccia in fretta, porcaputtana…
Venne anche Vittoria, sempre gentile e aggraziata, dalla fessura Roversi riusciva a vedere le sue gambe sottili e le scarpe bianche, non osò guardare più in alto, gli sembrava sconveniente.
– Ha bisogno di qualcosa Doc? Vuole che le porti un giornale da leggere?
– No… va bene così. Anzi trovami da accendere il sigaro… grazie.
– No… il sigaro no… le consumerà tutto l’ossigeno!
– Ma dai … Vittoria, qui si respira benissimo, poi ci sono anche degli spifferi… trovami un accendino, dillo ad Antonio che fuma due pacchetti al giorno:
Vittoria tornò dopo pochi minuti e fece scivolare l’accendino nella fessura che comunicava il 3° piano con l’interno dell’ascensore. Roversi si accese il mozzicone di toscano. Per fare passare il tempo provò a camminare lungo il perimetro della cabina, due passi la parte stretta, tre la parte lunga, ma ogni dieci passi tornava di fronte alla porta quasi chiusa, con la piccola fessura fra le ante metalliche aperta davanti a un intonaco grigio e polveroso. Dopo una decina di giri decise che poteva anche sedersi per terra. Tanto la divisa bianca del medico di guardia era da lavare… si mise in un angolo con il mozzicone in bocca cercando di non consumarlo troppo in fretta. Da fuori gli incoraggiamenti e i commenti di sorpresa cominciavano a calare, il personale del piano si stava ridistribuendo nelle proprie guardiole. Arrivò Gargiulo e si avvicinò alla fessura di comunicazione.
– Oh… Roversi… si sapeva che non volevi più fare le guardie… però questo trucco così teatrale… non era necessario.
– Cretino! Allunga una mano dentro la fessura che ti passo il cicalino.
– Dai… dammelo… ma cosa è sta puzza? Stai facendo un fuoco nella cabina?
– No. Sono io che fumo. Mi fuma la testa!!!
– Vabbè. Adesso la guardia è mia. Vado in alloggio. Tu resisti… prima di mezzogiorno vedrai che ti liberano.
– Grazie. Quando esco ti vengo a salutare.
– No. Non importa. Ti cerco io se capita una consulenza ortopedica… ma non eri tu che soffrivi di claustrofobia?
– No… sto benissimo qui. Mi dà fastidio l’altezza… ho le vertigini, non la claustrofobia.
– E allora fatti l’idea che sotto di te ci sono circa 20 metri di pozzo verticale. Probabilmente la fune di acciaio che tira su la cabina si è incastrata e si sta rompendo. Quando farà il crack sentirai all’improvviso di volare… in un paio di secondi sei a terra. Preparati …
– Fanculo Gargiulo!! Vai in camera e non rompere le palle. E passa a vedere quel vecchietto nel tuo reparto se è ancora vivo.
– Ok. Ciao Doc. Auguri.
E se ne andò.
Roversi vide i suoi piedi allontanarsi con quella andatura dondolante, superiore, sprezzante, arrogante, e lo mandò al diavolo.
Finalmente rimase solo. Ogni tanto ricompariva Antonio a controllare che fosse ancora vivo, Roversi si fumò anche il secondo sigaro. Ne tenne uno per dopo, all’uscita dalla cabina. Smise di contare il tempo. Verso la mezzanotte Antonio gli disse:
– Doc… noi metteremmo su il brodo… dice che ce la fa a mangiare con noi?
– Che ne so!!! Magari… non ci sono notizie dei tecnici?
– No… ho fatto richiamare dalla portineria, mi dicono che appena finito l’intervento in corso vengono qui. Li abbiamo chiamati 3 ore fa… ormai arrivano… stia tranquillo.
– Allora metti su il brodo.
E si accese l’ultimo sigaro della scatolina, evitando di pensare a quel baratro che si apriva sotto ai suoi piedi che forse non erano 20 metri, ma anche solo 6 o 7 erano sufficienti a fargli girare la testa. Riprese a camminare.
Poco dopo mezzanotte Antonio si avvicinò alla fessura accompagnando un uomo corpulento e incazzato con una tuta blu. Quello, senza presentarsi, disse qualche bestemmia e scomparve sulle scale. Cinque minuti dopo la cabina si mosse a strattoni, come se l’omaccione la stesse sollevando tirando il cavo con le sue mani, con i motori spenti, fino a raggiungere parzialmente il livello del piano superiore. Ricomparve l’omone che infilò le mani fra i due sportelli e li aprì come Sansone fra le colonne del tempio.
Poi porse la mano al Doc, che la afferrò e si sentì sollevare fino al pavimento del 3° piano. L’omone chiuse le porte di nuovo, appiccicò un cartello con scritto “manutenzione” e se ne andò senza salutare.
– Venga Doc. Ci sono i tortellini nel piatto…
– Sì, grazie, arrivo. Mi cambio un attimo, che sono stato seduto per terra fino adesso… arrivo…
Passò in studio, si tolse la divisa sporca, ne mise una pulita, e andò veloce verso la guardiola da cui proveniva un delizioso profumo di bollito. Antonio e Vittoria avevano preparato, come loro consuetudine, il tavolino della saletta di medicazione, con una traversa per tovaglia, piatti e bicchieri di plastica ma il contenuto del piatto era un meraviglioso brodo con tortellini fumante.
Si sedettero e squillò il telefono. Era Gargiulo che lo cercava dal Pronto Soccorso.
– Ah!! Roversi… non ti trovavo più. Mi hanno detto che il tecnico degli ascensori se ne è andato… beh… comunque ti ricovero un paziente in ortop. Ha una mano rotta. Se vuoi venirlo a vedere è ancora qui in PS.
– Mandalo su… no? Perché lo devo vedere?
– Mah… così firmi tu l’ingresso. Vieni giù che ti aspetto qui.
Roversi riappoggiò il cucchiaio nel piatto senza aver assaggiato il boccone, girò gli occhi al cielo e si alzò.
– Scusate… andate avanti… torno subito.
Fece le scale per il PS di fretta, voleva sedersi davanti al piatto fumante e in compagnia con la coppia simpatica del turno di notte… ma lui lo sapeva, quella era una notte sfigata, figurarsi se riusciva a mangiare in pace. Raggiunse l’atrio del PS e chiese di Gargiulo, gli indicarono la camera di primo intervento. Nell’aria c’era un acuto e sgradevole odore di benzina e di graticola e più si avvicinava alla saletta dell’emergenza più l’odore diventava insopportabile. Entrò. Nel centro, su una barella dell’ambulanza era stesa una forma umana sotto una coperta grigia impregnata di macchie scure. La puzza di combustibile e di carne bruciata era insopportabile, faceva irritare gli occhi e venire la nausea. Due infermieri con la divisa del PS stavano pulendo una mano, da cui emergevano escoriazioni e brandelli di tessuto sanguinante. Il medico del PS era alla scrivania e stava compilando il referto, con il verbale di accesso in ospedale e di ricovero in ortopedia.
– Te lo mando in reparto. OK?
– Scusa… ma cosa è successo?
– Trauma motociclistico. Di visibile ci sono ferite alla mano. Poi te lo guardi bene in reparto.
– Ma ‘sta puzza?
– Sono gli abiti. Si deve essere rotto il serbatoio…
– Ok. Prima però lo spogliamo qui. Vediamo cosa c’è sotto…
– Non lo puoi fare su in reparto?
– No. Lo facciamo qui. Tu hai 3 o 4 infermieri a disposizione, su c’è solo il personale di notte. Comincia a tagliare i vestiti, vediamo come è messo.
– Ok. Come vuoi… però era meglio…
– Dai!! Porcaputtana!! Tagliamo questi abiti!
Gli infermieri, disgustati dall’odore, cominciarono togliendo la coperta infarcita di liquidi infiammabili, olio e sangue. Sotto l’uomo, un ragazzo sulla trentina, vestito con una giacca sintetica da motociclista e pantaloni sportivi, lacerati in più punti. Quello che saltava all’occhio erano le estese bruciature sui vestiti, ove il tessuto liquefatto dal calore si apriva mostrando il cotone della maglietta e delle mutande infarciti d’olio e sangue, l’odore di combustione e di carne grigliata diventava sempre più acuto, nauseante. Gli infermieri lavoravano con difficoltà, le forbici si bloccavano su grumi di tessuti plastificati e i vestiti venivano tolti a pezzi. Qualcuno si voltava dall’altra parte per evitare l’odore di graticola e benzina.
– Scusi Doc. ma qui se tiro viene via anche la pelle… cosa faccio?
– Taglia tutto, la pelle che viene via è bruciata. Vediamo di pulirlo al massimo. Facciamo anche un esame del vestito. Gli effetti personali… portafogli, orologio, catenina, quella roba lì la metti in un sacco a parte. La faccia non ha bruciature…
– Aveva il casco integrale. L’abbiamo tolto sul luogo dell’incidente. Adesso c’è la polizia.
– Cerca di togliere il massimo dei vestiti. Se ci sono zone dove il tessuto è fuso con la pelle lascia stare. C’è l’anestesista?
– No. Quello reperibile è in gine per uno stand by in sala parto. L’altro è in rianimazione, ma non scende.
– Chiama quello in gine. Almeno per una valutazione rapida.
Il ragazzo sul lettino dava segni di vita priva di coscienza, reagiva agli stimoli dolorosi che gli infermieri producevano asportando il tessuto bruciato, ma teneva gli occhi chiusi, il respiro era accelerato, superficiale. Il polso radiale era rapido e leggero. Le mani erano sporche di un liquido scuro e puzzolente, misto di olio, benzina e materiali organici. Progressivamente comparve il corpo con vaste aree di necrosi cutanea, la pelle appariva a tratti bianca, come cotta, a tratti asportata, si vedevano i tessuti profondi coperti da grasso sottocutaneo grigio. Tagliate le mutande si vide che anche l’area genitale aveva subito ustioni estese.
– Metti un catetere vescicale, prepara per una vena centrale!
– Ma non lo puoi fare su?
– No. Aspetta l’anestesista.
Arrivò Marta, anestesista, trafelata e annoiata, contrariata e spinosa.
– Cosa c’è? Cosa è ‘sta puzza? Io devo stare in gine in attesa di un probabile cesareo. Non posso uscire dalla sala!
– Dai un’occhiata a questo ragazzo. Ha anche una frattura esposta della mano.
– Sì… la mano… ma questo ha ustioni su tutto il corpo! E non ha neanche una via venosa! Dai passami la roba da mettere una centrale…
Partì facendo un piccolo campo chirurgico al collo per infilare un catetere venoso in giugulare, aiutata da una sua infermiera di sala.
– Senti Gargiulo. Io questo non lo voglio in reparto. Va trasferito d’urgenza in un centro grandi ustioni. Adesso, quando Marta ha messo la via venosa tu lo spedisci per un torace, poi lo porti al centro ustioni.
– Lo porto come?
– Lo carichi in ambulanza e lo accompagni al centro.
– Non posso mica!! Sono di guardia, non posso assentarmi. Mandaci l’anestesista.
– No. – rispose Marta -Io sono in stand by in gine. Se mi chiamano devo aprire la sala in tre secondi.
– Vabbè. – Roversi decise di muoversi da solo – Intanto metti la centrale, il catetere e dagli una bella dose di morfina. Vado a telefonare ai centri. Tu puoi anche preparare l’ambulanza, ripartiamo subito.
Roversi andò nello studio, si accese il terzo e ultimo sigaro per cercare di togliersi di dosso l’odore di bruciato, si fece passare dal portiere l’elenco delle unità di chirurgia plastica con servizio grandi ustioni. Cominciò dalla più vicina, Cesena, dove un gentile medico di guardia gli rispose che erano pieni, nessun letto disponibile. Poi fece in progressione tutti gli altri, in ordine di lontananza, tutti pieni, fino a Verona, che, incredibilmente, gli rispose “OK. Portatecelo”. Porcaputtana… pensò Roversi…porcaputtana ladra. Lo sapevo che era una notte sfigata. Erano ormai le due di notte, il brodo con i tortellini era sfumato, i sigari finiti. E c’era un povero Cristo tutto bruciato in PS da portare via. Gargiulo era tornato nell’alloggio, Marta era in gine, il medico del PS era da solo… notte del cazzo!!!
Tornò in PS. Il ragazzo era stato spedito in radiologia per un torace. Marta se ne stava andando ad aspettare il suo cesareo.
– Aspetta Marta… cosa ne pensi del ragazzo di prima?
– Che è tutto bruciato. Ustioni su torace, gambe e braccia. Dietro non l’ho visto, ma probabilmente… non è messo bene. Lo porti via?
– Sì. A Verona. Me lo prendono solo lì.
– Ah… bravo. Buon viaggio. Dagli dei liquidi.
– Avrà anche male… non pensi?
– Già… molto male… morfina. Si, tanta morfina.
Salutò e tornò al suo stand by.
Roversi andò in radiologia. Il radiologo stava guardando un rx torace sul vetro illuminato.
– Non ci vedo niente di parenchimale, ma è troppo presto. Comunque ci sono 2… no 3 coste rotte. Poi da vedere se ci sono danni da inalazione di fumi… ma quelli non li vedo subito.
– Ok. Mandalo in PS, lo porto al centro ustioni.
– Auguri…
– Ma perché mi fate tutti gli auguri?
– Non hai visto fuori?
– No. Sono stato chiuso in ascensore. Cosa c’è fuori?
– Calata la nebbia. Non si vede a due metri…
– Ah… capisco…
– Notte del cazzo… proprio notte del cazzo… anche la nebbia!
In PS il ragazzo era stato rimesso sulla barella dell’ambulanza, il medico di turno aveva preparato la lettera di accompagnamento, in una sacca nera c’erano gli effetti personali, in un’altra, di plastica, i residui dell’abbigliamento tagliato. Lui si lamentava a bassa voce, ancora sotto shock. L’avevano medicato e avvolto in una coperta metallizzata come un cioccolatino per tenerlo al caldo. Lo caricarono sul veicolo.
– Allora… antibiotico? Sì… va bene. Liquidi… per tre ore almeno. Ok. Morfina? Va bene. Documenti in ordine… la cartella d’ingresso… partiamo. Chi guida?
Si fece avanti Aldo, vecchio ambulanziere, omone con lo sguardo truce e la barba bianca incolta.
– Guido io. Si fida?
– Accidenti se mi fido! Vai piano, per favore, che non c’è un’ urgenza particolare.
Caricarono il ragazzo sulla lettiga, Aldo si mise al volante con di fianco un altro infermiere di PS, e Roversi dietro, sullo strapuntino di fianco al paziente. Aldo innestò la sirena e si lanciò nella nebbia fitta come se viaggiasse con il radar.
L’autore
Franz König è uno pseudonimo. L’autore ha deciso di rimanere in ombra. Ha vissuto in ospedale per oltre quarant’anni e conosce molto bene i sentimenti, le emozioni e le atmosfere della sala operatoria e della corsia. I suoi racconti e il Dr. Roversi (Doc per gli amici) sono frutto di fantasia. Ma tutto quanto scritto nei suoi libri, che non corrisponde al vero, è peraltro assolutamente verosimile.
Per maggiori informazioni potete visitare il suo sito web.
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