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Di Franz König e della sua serie di libri dedicata a Doc. Roversi abbiamo parlato in diverse occasioni, nei mesi scorsi. Oggi vi presentiamo il suo romanzo più recente, dal titolo “Anaerobi“.

Questa volta il protagonista si trova alle prese con un’operazione a una ragazza che ha riportato danni a un ginocchio dopo un brutto incidente in Vespa. A dire della giovane, un veicolo strano l’ha abbagliata, facendola deragliare contro un guard-rail. Di sinistri e traumi ortopedici Roversi ne ha visti tanti, ma quest’operazione si rivela diversa dalle altre. Sembra che le complicanze si accumulino, e presto il tutto diventa un incubo.

Questa in sintesi la trama di Anaerobi; qui a seguire un paio di estratti per assaggiare il libro.

Estratto 1

– Secondo te, si fa più fatica a tagliare una testa o a fare una sezione femoro-tibiale come questa?

– Mah… direi circa uguale.

– Allora… secoli fa per decapitare pubblicamente un nemico del popolo o l’amante di una regina si procedeva con un coltellaccio. Il boia faceva una bella incisione circolare attorno al collo, e… taglia… taglia… raggiungeva le vertebre. Lì si doveva fermare perché il coltellaccio contro l’osso non ce la faceva. Allora si cambiava strumento, si usava un coltello più pesante, una mannaia, e si davano quattro o cinque colpi secchi fino a tagliare anche i corpi vertebrali, fino che la testa non cadeva. Come quando un macellaio ti taglia una fiorentina.

Estratto 2

Trattoria del Cinghiale

Roversi guidò con fretta per arrivare a prendere Angelina con la luce, poi andarono verso la statale SP77 sulla quale, al Km 13, era avvenuto l’incidente e raggiunsero il luogo che ancora si vedeva discretamente. Durante il viaggio il Doc aveva raccontato ad Angelina la sua ultima notte di guardia in sala operatoria, lei l’aveva ascoltato senza passione, ma anche senza dormire. Parcheggiarono vicino al luogo dell’incidente e scesero a perlustrare la strada.

– Cosa vuoi sapere da questi sassi?

– Tutto. Cosa è successo sabato notte. Cosa ha fatto schiantare i due ragazzi su quel guard-rail.

– Ne manca un pezzo.

– Cioè?

– La lamiera normalmente finisce con un pezzo curvo, che fa da invito, per accogliere le macchine cretine che accennano ad andare fuori strada, una specie di virgola, che è avvitata al bandone dritto che copre la scarpata. Qui non c’è. Ci sono le viti, allentate, ma manca il pezzo di ferro.

– È stato tolto?

– Sicuramente. Dagli operai della manutenzione della strada. Per svitare due bulloni di questo calibro ci vuole una chiave bella grossa… non molto comune.

– E perché l’hanno tolta?

“Incidente motorino (vespa 50) contro guard rail . No frenate, no scivolate. Gomme vespa quasi lisce. No segni di altre vetture coinvolte. Conclusione… incidente da distrazione del conducente. Chilometro 13 –  S.P. 77, prima dell’incrocio con via Farnè.”

Uscì e si diresse nelle viscere dell’ospedale, sottoterra, nella zona fredda e silenziosa dedicata ai morti, dove sapeva di poter trovare un tecnico lucido e colto, un accademico, un vecchio amico abituato a parlare con i cadaveri, uno scienziato. Silvestrini, l’anatomopatologo.

– Bella questa radiografia – disse Silvestrini – interessante… davvero. Cioè, la Paziente ha urtato la gamba contro una lama di un guard-rail , colpendo il ginocchio dalla parte mediale, e ha ottenuto questo risultato catastrofico. Praticamente ha amputato… o quasi… la regione anteriore del ginocchio. Sezione di femore e tibia e di quasi tutte le parti molli circostanti. Bella botta!!! E tu vorresti sapere da me a che velocità andava la Paziente? … Bella domanda!

Roversi uscì, turbato dall’espressione della ragazza, forte e ironica, seduttiva e scherzosa nonostante la catastrofe in corso, il grillo con una zampetta sola e un ciuffo pubico biondo, un misto di disastro e allegria. Parlò con il padre e andò a finire il turno di Pronto Soccorso che gli competeva. Mentre scendeva le scale era perseguitato dal lampo di una esplosione, dal flash di una fotografia, da una stella supernova che brucia all’improvviso, dall’azzurro bagliore accecante di un elettrodo di una saldatrice ad arco, che non si risolve chiudendo gli occhi, rimane come un alone aranciato e toglie il sonno.

Rientrando a casa Roversi pensava che la vita è veramente strana e imperscrutabile. Uno sta bene e all’improvviso si trova con un ginocchio distrutto. La più solida rimaneva Angelina. Ripensava comunque molto all’incidente della ragazzina. Un rumore come di un furgone o un camioncino, poi la luce accecante e il contatto improvviso e terrificante con la lama del guard-rail. Il suo sogno, l’incubo con l’urlo finale. Un branco di cinghiali che ti inseguono al buio, e il lampo di una scialitica. Senza senso. Però gli venne voglia di chiamare Franco. Franco era un meccanico che Roversi conosceva da anni, vecchio amico di riparazione motori di trattorini tagliaerba, genio della meccanica industriale e cacciatore pentito.

Gli occhi erano abbagliati da quella luce assurda, bianca, fatta di tanti punti luminosi che si concentravano sulla sua faccia, accecanti, si fondevano in un unico grande sole freddo che si piantava nelle sue retine. E lo terrorizzava. Filtravano attraverso quel bagliore figure umane bianche, macchiate di sangue, sfumate, sfocate, mostruosamente capovolte.

Ci fu una esplosione di bianco abbagliante, Roversi rimase accecato dal lampo improvviso e arretrò in fretta, urtò contro il guard-rail e si ribaltò nella scarpata cadendo di schiena e continuando a rotolare in mezzo agli arbusti, con i sassi che si conficcavano nella carne e i rovi che gli graffiavano le gambe. Sentì la bocca riempirsi di terra e non riuscì a respirare. Vide il mondo capovolto da sotto in su e credette di morire. Poi rimase sdraiato in fondo alla scarpata, sputò il terriccio, riempì i polmoni d’aria e urlò come non faceva da molti anni. Chiuse gli occhi aspettando che l’abbagliamento passasse. Aveva dolore dappertutto. Un dolore che partiva dagli occhi accecati e arrivava ai piedi che si erano graffiati contro i sassi e i rovi. Aveva perso le scarpe. Sentiva in bocca il sapore del sangue. E l’urlo che continuava a risuonargli nelle orecchie.

L’autore

Franz König è uno pseudonimo. L’autore ha deciso di rimanere in ombra. Ha vissuto in ospedale per oltre quarant’anni e conosce molto bene i sentimenti, le emozioni e le atmosfere della sala operatoria e della corsia. I suoi racconti e il Dr. Roversi (Doc per gli amici) sono frutto di fantasia. Ma tutto quanto scritto nei suoi libri, che non corrisponde al vero, è peraltro assolutamente verosimile.

Per maggiori informazioni potete visitare il suo sito web.

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ANAEROBI
  • KÖNIG, FRANZ (Autore)

Articolo protocollato da Redazione

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