La testa di un uomo - Georges SimenonSiamo arrivati al quinto episodio della saga Maigret di Georges Simenon, La testa di un uomo (titolo originale La tête d’un homme).
Il romanzo fu scritto nel febbraio del 1931, presso l’Hôtel L’Aiglon di boulevard Raspail a Parigi, e pubblicato nel settembre dello stesso anno per Fayard. Nel 1950, Fayard approffitò dell’uscita del film L’homme de la Tour Eiffel  (1949 – regia di Burgess Meredith) per ripubblicare il libro con lo stesso titolo del film (la copertina dell’edizione Fayard del 1950 mostra infatti Charles Laughton che nel film interpreta Maigret).
In Italia fu pubblicato, per la prima volta, solo nel 1933 da Mondadori con il titolo La testa di un uomo (traduzione di Guido Cantini), nella collana “I gialli economici Mondadori”. Sempre per lo stesso editore fu ripubblicato negli anni successivi con i titoli Maigret e una vita in gioco (I° edizione Le inchieste del Commissario Maigret, settembre 1966; I° edizione Gli Oscar, ottobre 1972) e Maigret e la vita di un uomo (I° edizione Il girasole, ottobre1957; I° edizione “I romanzi di Simenon”, 1961; I° edizione I Libri del Pavone, luglio 1964).Nel 1995 il romanzo è stato pubblicato con il nuovo titolo Una testa in gioco (traduzione di Graziella Cillario), nella collana gli Adelphi – Le inchieste di Maigret.

Trama
Il romanzo inizia con la fuga dalla fortezza della Santé di un condannato a morte. Si tratta di Joseph Heurtin, accusato del duplice omicidio di due donne a Saint-Cloud: una anziana e facoltosa americana e la sua dama di compagnia. Durante tutto il processo, il giovane ha continuato a dichiararsi innocente, nonostante le prove a suo carico fossero schiaccianti. Maigret assilato da alcuni dubbi – non è stata trovata l’arma e Heurtin non aveva nessun movente per uccidere le due donne – e non più certo della sua colpevolezzza, riesce a convincere i propri superiori a organizzare una finta evasione, sperando che il giovane lo conduca al vero assassino. Quanto vale la vita (o testa) di un uomo? Il commissario crede che la vita di un innocente possa valere tutta la sua lunga carriera e la scommette sull’innocenza di Joseph Heurtin. Purtroppo, durante il pedinamento, il giovane fugge ferendo un agente e contemporaneamente un giornale pubblica la notizia che la fuga è stata organizzata dalla polizia stessa.  Maigret scopre che il giornale ha pubblicato la notizia a seguito di una lettera anonima. La lettera viene esaminata dalla polizia:

“Un foglio di cui hanno tagliata la parte superiore, senza dubbio per far sparire una dicitura stampata…” osservò Maigret.
“Naturalmente! L’ho pensato anch’io, subito. E mi sono anche detto che la lettera era stata probabilmente scritta in un caffè. Ho visto Moers che si vanta di riconoscere la carta da lettere della maggior
 parte dei caffè di Parigi…”
“Ha trovato?”
“Gli sono bastati pochi minuti. La carta proviene dalla”Coupole”, in boulevard Montparnasse. Vengo di là… Disgraziatamente ci passa un migliaio di clienti al giorno, e più di cinquanta chiedono il necessario per scrivere…”

(tratto da Maigret e una vita in gioco, edizione Gli Oscar Mondadori, 1972)

È in questo bar che Maigret incontra due personaggi che pare siano, in qualche modo, legati tra di loro e agli omicidi: uno è il cecoslovacco Jean Radek, ex studente di medicina, privo di mezzi ma geniale; l’altro è William Crosby, nipote della donna della cui morte è stato accusato Heurtin. La domanda che si pone Maigret è: che rapporto esiste tra Heurtin, Crosby e Radek?  Inizia in questo bar una specie di sfida di pazienza e intelligenza tra l’intuitivo Maigret e l’acuto ma troppo superbo Radek.
Il nome del vero colpevole e il modo in cui le due donne sono state uccise saranno rivelati nel lungo colloquio finale tra Maigret e il giudice Coméliau.

Perchè leggere La testa di un uomo
In America il romanzo fu pubblicato con il titolo “A battle of nerves”, titolo che forse meglio si addice alla trama di quanto facciano i titoli francesi e italiani: ad un certo punto del romanzo, infatti, il duello tra Maigret e Radek diventa una vera e propria guerra di nervi. Questo quinto romanzo della saga Maigret diverge, inoltre, dai precedenti e anche da quelli che lo seguiranno, proponendo una struttura differente:

  • il romanzo non inizia, come il solito, con il ritrovamento del cadavere ma con la descrizione della fuga dalla fortezza della Santé;
  • il delitto ha un ruolo del tutto secondario nell’economia delle indagini e rimane sempre sullo sfondo, come se non avesse molta importanza;
  • Maigret, diversamente dagli altri romanzi, non si interessa al passato delle vittime nè si immerge nell’ambiente del delitto cercandovi ispirazione, ma concentra tutta la sua attenzione sul protagonista effettivo della storia, ossia Radek;
  • l’identità del colpevole, inoltre, non rimane sconosciuta sino alla fine, a Simenon interessa, infatti, fin dall’inizio descrivere il confronto di intelligenze tra il suo commissario e l’astuto Radek.

Quest’opera di Simenon potrebbe essere definita come un romanzo dell’attesa: all’inizio abbiamo Maigret, il giudice e il direttore della fortezza della Santé che aspettano ansiosi che Joseph Heurtin si decida a scappare dalla prigione; poi vi è il lungo appostamento di Maigret e i suoi uomini alla Citanguette, “un’osteria per marinai, sulla riva della Senna, fra Grenelle e Issy-les-Moulineaux…”; più tardi il commissario vede Heurtin che scruta da dietro i vetri della “Coupole”, un locale di Montparnasse, l’interno del bar come se cercasse qualcuno, e decide di aspettare e vedere che cosa succederà; infine la pazienza con cui Maigret aspetta che l’assassino faccia un passo falso.
Per questo ho definito “La testa di un uomo” come il romanzo dell’attesa. Per questo asserisco che non si tratta di un Maigret classico ma di un unicum all’interno della saga dedicata al commissario. Questo è dovuto al fatto che Simenon elaborò il romanzo con l’idea di scrivere una storia per il cinema, di cui avrebbe curato lui stesso la regia; sogno che egli abbandonò ben presto e di cui parlerò più approfonditamente nella parte dedicata ai film tratti dal libro. La novità più evidente è sicuramente il personaggio a tutto tondo di Radek, un vero e proprio antagonista di Maigret. Simenon fu di certo influenzato nella creazione di Radek, da altri scrittori che avevano fatto affrontare il loro eroe ad un grande nemico, pensiamo ad esempio alla coppia Holmes- Moriarty.
Tra Maigret e Radek si crea uno strano rapporto. Radek è una personalità malata che ama stupire e provocare, e che è in modo evidente ispirata a Rodion Romanovič Raskol’nikov di Delitto e castigo di  Dostoevskij. Dall’altra parte vi è la pazienza del commissario che intuisce come non sarà sul terreno dell’intelligenza che potrà sconfiggere il suo nemico; per questo gioca d’astuzia e soprattutto sull’attesa. È vero, però, che più di una volta Maigret perde la calma e che se non fosse per gli indizi, che gli fornisce lo stesso Radek, difficilmente riuscirebbe a catturarlo. Lo stesso Maigret, alla fine, lo ammette:

“Una mentalità che sfugge a tutte le nostre classificazioni. Ed è per questo che non sarebbe mai stato molestato, se non avesse sentito l’oscuro bisogno di farsi prendere! Perché è stato lui a fornirmi gli indizi di cui avevo bisogno! Lo ha fatto intuendo confusamente che preparava la sua rovina. Eppure lo ha fatto… E se le dicessi che in questo momento più di ogni altra cosa egli prova un senso di sollievo?…”

(tratto da Maigret e una vita in gioco, edizione Gli Oscar Mondadori, 1972)

È come se Radek avesse bisogno di un palco su cui recitare e fare vedere al mondo ciò di cui è capace. Con questo personaggio, Simenon anticipa di mezzo secolo certi “offender”, autori dei cosidetti “delitti di autostima”, caratterizzati dalla sfida alle forze dell’ordine e dall’intento di finire in prima pagina o in tv.

Fortuna o sfortuna cinematografica del libro
Prima che nel 1933 fosse girato “Il delitto della villa”, ispirato appunto a La tête d’un homme , dai romanzi di Simenon erano già stati tratti due film, La Nuit du carrefour (1932) di Jean Renoir e Le Chien jaune (1932) di Jean Tarride. Nonostante siano anche gli unici due film in cui Simenon ha avuto un ruolo nell’adattamento per il grande schermo, egli rimase profondamente deluso dai risultati, tanto che scrisse La Tête d’un homme con l’idea di adattare e dirigere egli stesso la versione filmica. Lo scrittore belga scelse gli attori e iniziò a lavorare anche alla sceneggiatura. Purtroppo si scontrò subito con i tipici problemi che si hanno nel produrre un film, ossia quelli finanziari: pare che i produttori abbiano storto il naso di fronte ai primi abbozzi di sceneggiatura del film e che considerassero Simenon dietro la macchina da presa un rischio troppo grande. Lo scrittore da allora rimase sempre lontano dal mondo del cinema, accettando solo di vendere a caro prezzo i diritti dei suoi libri: negli anni trenta i film erano la sua seconda più grande fonte di reddito.

Dal romanzo furono tratti diversi film, tra cui ricordiamo:

  • “Il delitto della villa” (1933) diretto da Julien Duvivier (famoso in Italia per aver diretto nel 1952 Don Camillo e nel 1953 Il ritorno di Don Camillo, con Gino Cervi e Fernandel); Harry Baur nel ruolo di Maigret.
    Da quanto so esiste una versione italiana di questo film, ma è introvabile. Alla fine ho dovuto vederlo in lingua francese, con mia moglie a fianco che traduceva al volo. In questo modo, ho sicuramente perduto parte del piacere che si ha nel guardare un film in bianco e nero degli anni trenta, ma spero che sia sufficiente per darne una valutazione a tutti coloro che frequentano Thriller Cafè.
    Duvivier stravolge completamente la struttura della storia di Simenon. Il risultato non è negativo come quello girato nel 1949 da Burgess Meredith, ma la scelta degli attori (Harry Baur risulta fuori parte nei panni di Maigret) e la decisione di incentrare tutta la prima parte del film sulla morte delle due donne e sull’indagine della polizia deviano il film verso un finale che non ha nulla a che fare con l’idea originale del testo. Duvivier sceglie di non girare alcune parti del romanzo, secondo lui prive di importanza nell’economia della storia: è il caso dell’episodio in cui si racconta il lungo appostamento di Maigret e i suoi uomini alla Citanguette, che viene completamente tagliato; oppure della complicata evasione dalla fortezza della Santé che viene sostituita con una molto più semplice fuga dall’auto della polizia, che Maigret fa intenzionalmente fermare in piena campagna. Su queste scelte del regista sono perfettamente concorde, rendono infatti la storia più credibile e realistica. Altrettanto non posso dire per altre decisioni prese da Duvivier a danno del testo di Simenon: ad esempio, quella di iniziare il film nella caffetteria della “Coupole”, dove William Crosby dice ad alta voce che pagherebbe volentieri chiunque lo liberasse della sua vecchia e ricca zia (episodio che nel romanzo è raccontato tramite un flashback); quella di centrare la pellicola più sull’indagine e sulla morte delle donne che sul rapporto tra Radek e Maigret; quella di descrivere un Radek ossessionato dal sesso, che racconta la sua solitudine e amarezza esistenziali ad una prostituta, e che è tanto affascinato dalla sensuale bellezza di Edna Reichberg da rischiare di essere arrestato; quella infine di terminare il film con Radek ucciso da un autobus mentre cerca di fuggire dalla polizia.
    Il film si caratterizza per la stupenda fotografia in bianco e nero, per l’atmosfera nebbiosa e fumosa che penetra persino negli interni claustrofobici e avvolge i personaggi, per il taglio espressionista delle scene che accompagna i dialoghi pessimisticamente esistenziali di Radek. Molto belle, nella loro essenziale drammaticità, le scene ambientate sulle scale (viste dal basso verso l’alto) davanti al misero appartamento dove vive Radek. Sicuramente la parte migliore del film è quella dove, lasciata da parte l’indagine investigativa, Radek e Maigret finalmente divengono i portagonisti del film: il commissario, avvicinandosi sempre più alla verità e all’assassino, sembra entrare anche nel suo mondo, gli spazi divengono più angusti e scuri quasi a riflettere la morbosità e la deviazione della mente diabolica di Radek. “Il delitto della villa”, per tutte queste caratteristiche, potrebbe essere definito un noir che anticipa le atmosfere dei film americani degli anni quaranta.
    Il personaggio di Radek fu interpretato da Valéry Inkijinoff, un attore russo che lo stesso Simenon pare avesse scelto per quello che avrebbe dovuto essere il suo primo film da regista. L’interpretazione di Inkijinoff appare più luciferina rispetto a quella descritta nel romanzo, soprattutto per quanto riguarda la sua fissazione erotica per le donne, fissazione che nel film sembra quasi condizionare le sue decisioni.
  • “L’uomo della Torre Eiffel” (1949) diretto da Burgess Meredith (famoso per aver interpretato l’allenatore di Rocky Balboa e per essere stato sposato alla bellissima Paulette Goddard) e interpretato dal mitico Charles Laughton (noto tra gli appassionati del noir, per essere stato il regista dell’inquietante film “La morte corre sul fiume” del 1955).
    Non è stato facile reperire una copia del film in italiano; devo ringraziare un caro amico che possiede una videoteca sterminata e che come me ama molto i gialli e i noir. Devo dire che il film non meritava di certo tanta fatica. Chi ama Simenon conosce il suo pensiero sulla settima arte e forse mai come in questo caso lo scrittore francese aveva ragione.
    Meredith divenne regista del film, in seguito alle discussioni tra il regista originale Irving Allen e l’attore Charles Laughton, e alla conseguente minaccia di quest’ultimo di lasciare il set se Allen non fosse stato rimpiazzato. Il film nel passaggio di mani non ne guadagnò sicuramente. In ogni modo, regista e sceneggiatori stravolsero completamente il romanzo di Simenon:

    • invece di iniziare con la fuga dalla prigione, il film parte, come quello francese del 1932, da un episodio che nel libro è raccontato in flashback;
    • la fuga di Radek in metropolitana si trasforma in una corsa sui tetti di Parigi;
    • il finale con l’inseguimento in cima alla Torre Eiffel è completamente inventato.

    Allen (che rimase produttore del film) e Meredith diedero, rispetto al film francese del 1932, molta importanza alla location, tanto che nei titoli iniziali la città di Parigi è citata come se fosse uno degli attori principali del film. Durante tutta la pellicola, il regista non perde occasione di inquadrare piazze, monumenti, palazzi e soprattutto la torre Eiffel. Il tentativo di tappare i buchi di una sceneggiatura inesistente con un ritratto da cartolina turistica di Parigi non è però sufficiente a salvare il film.
    Le pecche della pellicola non terminano qui: Meredith diede troppa importanza al personaggio di Heurtin, tanto da inserirlo anche in tutta la sequenza finale del film; Charles Laughton offrì una sua personale e strampalata interpretazione del Commissario Maigret, assai lontana sia fisicamente che psicologicamente da quella letteraria; lo stesso attore che interpreta Rubek non risulta convincente, forse anche per la minor attenzione che la regia gli presta rispetto al personaggio di Heurtin.
    Nel film Burgess Meredith interpreta la parte del giovane fuggiasco Joseph Heurtin (forse per questo il personaggio del fuggiasco da comprimario diviene nella pellicola importante tanto quelli di Radek e Maigret), anche se non rispecchia per nulla la descrizione che Simenon da di lui all’inizio del romanzo:

    Il prigioniero era seduto sul suo letto e con le grandi mani nodose si stringeva i ginocchi. Rimase immobile forse per un minuto, come incerto, poi d’improvviso, con un sospiro, stese le membra, si drizzò nella cella, enorme, sgangherato, la testa troppo grossa, le braccia troppo lunghe, il petto incavato.
    Il suo viso non esprimeva altro che istupidimento, o una disumana indifferenza. 

    (tratto da Maigret e una vita in gioco, edizione Gli Oscar Mondadori, 1972)

  • Il commissario Maigret – Una vita in gioco (1965) di Mario Landi, con Gino Cervi e Gian Maria Volonté. Lo sceneggiato fu trasmesso dalla RAI per la prima volta in tre puntate nel febbraio del 1965.
    Mario Landi, girando “Una vita in gioco”, rispetto ai due film citati, fu molto più fedele al romanzo di Simenon. Lo sceneggiato inizia proprio con la fuga di Heurtin e segue passo passo il testo di Simenon, fino al lungo colloquio di Maigret con il giudice Coméliau. Certo il breve romanzo è dilatato su più di tre ore di sceneggiato, e alcune parti risultano lente e anche noiose per uno spettatore contemporaneo, ma Landi è molto abile nel rendere l’atmosfera e soprattutto la psicologia dei personaggi. Sa che Simenon ha centrato il romanzo sulla sfida tra Radek e Maigret e non lo tradisce. In questo è di certo aiutato dal solito Gino Cervi, ma soprattutto da una straordinaria interpretazione di un giovane Gian Maria Volonté. Questi riesce ad aderire in modo impressionante alla descrizione che Simenon offre di Radek:
    Maigret scorse nello specchio un viso, due occhi vivi dietro a folte ciglia, un sorriso appena abbozzato ma vibrante di ironia.
    (tratto da Maigret e una vita in gioco, edizione Gli Oscar Mondadori, 1972)
    Da vedere, durante la terza puntata, il lungo colloquio tra Radek e Maigret nell’ufficio del commissario: la sfida tra i due protagonisti del romanzo si trasforma in una sfida di bravura recitativa tra i due attori. Alla fine il vincitore è Volontè anche se solo ai punti.

Curiosità

  • I romanzi di Maigret furono i primi a essere pubblicati con il vero nome di Georges Simenon. Fino ad allora, Simenon aveva pubblicato tutte le sue opere sotto pseudonimo, di cui il più ricorrente era Georges Sim.
  • Il successo dei romanzi di Maigret, in Italia, fu sicuramente alimentato dai sedici sceneggiati, interpretati dal grande Gino Cervi, tra il 1964 e il 1972. Ogni puntata era seguita da circa 16 milioni di spettatori. La serie ebbe tanto successo che la Mondadori pubblicò, tra il marzo 1966 e il gennaio 1969, tutti i romanzi di Maigret con la faccia di Gino Cervi in copertina. È interessante ricordare che alle sceneggiature collaborava un certo Andrea Camilleri.

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Una testa in gioco
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Una testa in gioco
  • Simenon, Georges (Autore)

Articolo protocollato da Alessandro Bullo

Alessandro Bullo è nato a Venezia. Si è laureato in lettere con indirizzo artistico, mantenendosi con mestieri occasionali; dopo la laurea ha lavorato per alcuni anni presso i Beni Culturali e poi per la Questura di Venezia. Successivamente ha vissuto per quasi dieci anni a Desenzano del Garda per necessità di lavoro. Attualmente vive a Venezia e lavora come responsabile informatico per un’importante ditta italiana. Sue passioni: Venezia, il cinema noir, leggere, scrivere. Autori preferiti: Dino Buzzati, Charles Bukovski, Henry Miller. Registi preferiti: Elia Kazan e Alfred Joseph Hitchcock. È arrivato per due volte in finale al premio Tedeschi e una al premio Urania. Nel 2012 con “La laguna degli specchi” (pubblicato sotto lo pseudonimo Drosan Lulob) è stato tra i vincitori del concorso “Io scrittore”.

Alessandro Bullo ha scritto 66 articoli: