Stanze nascoste - Derek RaymondVi avevamo anticipato poche settimane fa, recensendo Incubo di strada, che a breve Meridiano Zero ci avrebbe proposto un’altra chicca per gli amanti di Robert William Arthur Cook, conosciuto al pubblico con lo pseudonimo di Derek Raymond, creatore di storie considerate tra le perle nere più preziose della letteratura del secolo scorso.
Non è stato semplice per l’autore scrivere un’autobiografia: le difficoltà dello scrivere di sé, del raccontarsi anziché del raccontare, mettendosi completamente a nudo, sono evidenziate sin dalle prime pagine. Le “Stanze nascoste” vengono alla luce con tormento e Derek Raymond confessa della sua spiccata curiosità per il lato oscuro della società sin da bambino. La bambagia procurata dall’ottima condizione economica famigliare lo soffoca, le attenzioni della servitù sono sopportate malvolentieri e l’unico posto che considera veramente interessante è la strada. La descriverà nei suoi libri e ne percorrerà molta, quasi sempre accidentata.
L’evento che lo segna sin dai primi anni di vita è la guerra, in particolare i bombardamenti di Londra del 1940. Il modo e la curiosità con i quali sono rievocati quei momenti hanno la stessa tenerezza perversa del Ballard bambino de L’impero del Sole. Alla fine del conflitto bellico le frequentazioni dell’autore con la sofferenza umana continueranno fino ai suoi ultimi giorni. Farà i lavori più disparati, molti dei quali ai limiti della legalità ma è con la scrittura che darà un senso alla propria tribolata esistenza, ribellandosi all’indifferenza (considerato il male più grande) con il noir, l’arma più potente in suo possesso.
Ed è proprio il noir l’oggetto basilare di quest’opera sofferta, il genere al quale l’autore applicherà, come pochi altri, la componente metafisica e psicologica, ottenendo una cifra stilistica che lo renderà una pietra angolare della letteratura che esplora gli abissi più oscuri e inaccessibili del comportamento umano. Il noir dà un senso alla sua vita e lui contraccambia dando un senso al noir, non solo dal punto di vista tropologico ma anche cesellando accuratamente il testo che crea, senza trascurarne l’aspetto poetico: “L’influenza della poesia sulla scrittura in generale è così profonda che sono soddisfatto di quello che ho scritto solo quando sento di essere riuscito a distribuire la giusta solennità, il tono, la cadenza e il peso, in modo che una frase sfumi nella successiva senza nessuna cesura percepibile nel flusso di pensieri o di espressioni”.
È messa in risalto l’importanza del linguaggio, lo scritto che si affaccia sull’iniquità umana descrivendola, non ne esalta gli aspetti morbosi, ne denuncia invece il dilagare in tutte le forme.
E la forma più lesiva è quel male impersonale chiamato sistema, che utilizza artifici atti a metterci gli uni contro gli altri. C’è rimedio a questo? Si può debellare l’innata malvagità? Non secondo Raymond, che però sottolinea la priorità di fare resistenza: “la merda ci sarà sempre ma bisogna opporsi e creare un equilibrio”, conclusione alla quale sono giunti diversi autori anche se da angolazioni diverse: Ellroy, nella Underworld USA Trilogy, ma anche il nostro Giuseppe Genna, in una splendida metafora contenuta nel suo Assalto a un tempo devastato e vile.
Altro tratto fondamentale del testo è quello relativo all’esperienza personale propedeutica allo sviluppo dell’opera che si compone. Raymond narra di ciò che ha vissuto, dei loschi figuri coi quali è stato a contatto, dei fantasmi che popolano le sue notti e che ha incontrato da vivi; non avrebbe potuto rappresentare sulla carta le sue storie così traumatiche se non avesse avuto legami così stretti col torbido.
Inoltre, nel citare alcune delle sue influenze (Doyle, Poe, London, ma anche Sartre e Camus), ci induce a riflettere sul fatto che questi autori non facevano altro che definire l’inquietudine dell’uomo nei confronti di un’opprimente società. Anche la Bibbia, secondo lo scrittore, conteneva elementi noir di spicco.
Ed è una piccola Bibbia del noir quella che vi invitiamo a leggere, una raccolta di memorie ma anche un saggio di un autore che non temeva etichettature, anzi, nobilitò il noir, facendolo assurgere a ruolo di principe della letteratura.

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Articolo protocollato da Michele Fiano



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