Il Tesoro di Carpanea - Matteo Soldi

Lampi di stampa

Londra settembre 1887. Il giovane agente della polizia segreta Arthur Wosley riceve l’incarico di scortare in Italia l’anziano professor David Killburn, docente oxoniano di storia grecoromana e di lettere antiche.
Il motivo del viaggio sembra essere la festa di fidanzamento di Giuditta, la figlia di una sua vecchia conoscenza, il barone Corrado Vivante di Alpenera; ma sarà anche l’occasione perfare alcuni saggi di scavo in una zona ricca di reperti romani in vista di una futura campagna archeologica.
Si tratta infatti della bassa veronese, e in particolare della tenuta di Cortepiana, situata nel contado di Maloscuro, uno squallido borgotra Correzzo, Casaleone e Cerea, nel cuore di quello che fu l’agro romano.
Arthur pensa ad una missione di tutto riposo. Ma si sbaglia.
Il territorio è controllato da don Tristano Fremolin, detto don Tresso, un rozzo possidente dal passato torbido ora a capo di una setta esoterica che, dopo aver riesumato il sanguinario culto del dio Appo, coltiva il delirante progetto della restaurazione messianica del regno di Carpanea, di cui parlano antichissime leggende risalenti all’epoca pre-romana.
La restaurazione di questo regno, di cui Tresso sostienedi essere stato da Appo stesso proclamato re, è legata secondo la leggenda al ritrovamento di un mitico tesoro: due anfore di monete d’argento, frutto di un crimine orrendo, sarebbero state seppellite da queste parti da un oscuro legionario di cui don Tresso è convinto di discendere in linea retta.
Ovvio dunque che il boss di Maloscuro cerchi di opporsi con ogni mezzo alla minaccia di trasformare la ‘sua’ terra in un parco archeologico. Ben presto però Arthur si accorge che don Tresso non è l’unico da cui guardarsi le spalle e che il legame che unisce il professore a Corrado è molto più complesso di quel che si potrebbe pensare.
David è infatti non solo l’amante di Ginevra, ma anche il padre naturale di Giuditta, che ora Corrado vuol sposare forzatamente a Ettore, un dissoluto ufficiale di cavalleria, per vendicarsi dell’adulterio.
Innamoratosi della ragazza, Arthur promette di aiutarla. Ma quando entra in possesso delle agghiaccianti prove che Ettore e Corrado sono affiliati alla setta di Tresso e coinvolti in orrendi delitti, la situazione precipita.
Dopo una catena di omicidi che culmina con l’assassinio del professore e il rapimento di Giuditta e di sua madre Ginevra Arthur è costretto a collaborare col capitano dei carabinieri Rifredi, a sua volta obbligato ad agire su preciso incarico della polizia segreta(che teme un coinvolgimento di personalità troppo potenti) senza chiedere l’aiuto dei superiori e con le sole forze di cui dispone sul campo.
Così, isolato il contado di Maloscuro dal resto del Paese, tenutiil prefetto all’oscuro di tutto e la stampa alla larga, il territorio diventa l’arena di una cruenta lotta contro forze demoniache.
La svolta arriva quando il Rifredi scopre che, in corrispondenza di un quadrilatero delimitato da case coloniche, un cancro maligno va estendendosi nelle viscere della terra. È Carpanea Nova, una città sotterranea consacrata a divinità feroci, governata da una legge di violenza e da una morale aberrante: la mostruosa capitale del rifondato regno di Carpanea, nelle cui segretedon Tresso tiene prigioniere le due donne.
Quando anche Rifredi cade in un’imboscata sotto i colpi dei nemici, ad Arthur non resta che agire da solo: sarà una solitaria discesa all’inferno, un’esperienza agghiacciante della quale la cosa più difficile, alla fine, sarà risalire ‘a riveder le stelle’.
Dall’immane catastrofe non usciranno vive né Ginevra, né Giuditta, e poco lo consolerà il fatto che le prove durissime, la violenza, il sangue versato, gli amici perduti, siano il prezzo da pagare per aprire al contado scenari di liberazione e di rinascita.Scampato per un soffio al crollo della città maledetta, per lui è tutt’altro che finita; inizia invece il capitolo più difficile della sua esistenza: quello della battaglia con i demoni della follia e della disperazione contro i quali a nulla servono né la vigoria fisica, né le armi da fuoco.
Eppure, per quella singolare eterogenesi dei fini che caratterizza talvolta le più tragiche esperienze, saranno proprio quei fantasmi a spingerlo a rivedere le proprie idee sulla vita e sulla morte e alla fine, proprio quando tutto pare perduto, a fargli trovare il vero tesoro di Carpanea: l’amore di una donna che saprà infondergli nuovo coraggio e nuova vita.

Estratti

Estratto da cap25
CACCIATORE DI UOMINI
(…) Lo avrei riconosciuto perché, mi aveva detto, «è quell’omino magro enasuto che quando gioca a briscola urla e si agita più di tutti: uno spettacolo, vederlo! Si chiama Paris Fiorlaro, ma lochiaman tutti Spettacolo, proprio perché è bello a vedersi giocare, e divertente a giocarci insieme.»
Sellati entrambi i cavalli, montai Cembalo, presi Porto alla cavezza e raggiunsi a Casaleone la Taverna del Tarocco.
Spettacolo era davvero uno spettacolo: le urla e gli sghignazzi si sentivan da molto fuori della porta, che spalancai col fucile in mano. Spettacolo calava le carte urlando e imprecando, e chiamando non so che seme e che punti in dialetto strettissimo, tra le risa e le bestemmie degli astanti seduti ai tavoli sui quali insisteva una nube di fumo irraggiata dal lume appeso alle travi di legno.
Il mio ingresso cristallizzò tutti nel silenzio più assoluto. Solo Spettacolo, cui forse un presentimento aveva suggerito che fossi giunto per lui, completò la parabola dell’asso di bastoni, rallentata però dallo stupore e dalla paura.
Non potevo certo usare le tecniche del brigadiere Bergia (tipo per intenderci travestirmi da questo o da quello) anche perché tutti mi conoscevano. E se anche non mi conoscevano, cosa probabile in quel di Casaleone che distava ben quindici chilometri da Corte Piana, che lì era come dire centocinquanta…anche se non mi conoscevano, dico, il mio abbigliamento raffazzonato, la barba di tre giorni e i capelli sporchi erano di per sé un buon travestimento. Insomma, avrei potuto benissimo essere ciò che non ero: un carabiniere ardito come il Bergia, per esempio, o un volgare bandito. Comunque una persona che “la vien per noie”, come dicevano da quelle parti. Così non mi preoccupai troppo di come affrontare Spettacolo, un ometto magro dal viso rubizzo e due occhi ravvicinati e pungenti. Avanzai deciso verso di lui con l’arma spianata nel silenzio perdurante. Con l’occhio controllavo l’oste che non avesse a mente di cacciar le mani sotto il banco a tirar fuori un ferro anche lui o l’avrei fatto secco. Sentivo il mio doppio entrare prepotentemente in me e prendere il sopravvento. Era questo doppio che mi dava la carica in certi momenti, diciamo, non proprio ordinari.
Puntai la doppietta al petto del mio uomo:
«Sei tu Paris Fiorlaro detto Spettacolo?»
Paris non voleva rispondere, segno che era lui, ovviamente. Intimai a tutti di alzare le mani e all’oste di uscire dal bancone e smettere di ravanare con le mani sotto il grembiale, che era presto per le pulizie pasquali.
«Se qualcuno non mi dice dov’è Paris detto Spettacolo vi ammazzo tutti.»
L’oste, in un gesto di grande altruismo, ammiccò con la testa proprio al tizio cui stavo tenendo la bocca delle canne premute sul cuore. «Sei ricercato per la morte dell’Inglese, l’ultimo, non il primo. Quello che si chiamava David Killburn.»

Estratto da cap42
IL CROLLO DI CARPANEA NOVA
(…)
L’attrezzatura fotografica era rovinata a terra. Non me ne fregava nulla di vedere come fosse fatta, che andasse al diavolo tutta la loro tecnologia avveniristica. Buttai tutto di sotto, cavalletto compreso.
«Poi bisognerà ripulire qui, dottore.»
«Sì.»
«Prima che venga il comando e noi due ci si fotta la carriera, per esser chiari.»
E questa è l’ultima cosa che ricordo di quel tempio maledetto.
Mi ritrovai come per incantamento sdraiato sull’argine del Tregnone, con le stelle pulsanti sopra di me, e un malessere che mi faceva sentir quel poco di vita che ancora mi restava come la più crudele delle torture, mentre una nostalgia di sonno e d’incoscienza lottava con la volontà di sopravvivere. Provavo nausea e spossatezza estrema; una tremenda emicrania mi faceva scoppiare la testa.
Riuscii a mettermi seduto, le gambe stese lungo la scarpata inerbita e umida. Davanti a me la spianata del Quadrilatero sembrava un campo di battaglia bombardato dall’artiglieria napoleonica. Fiamme violentissime simili a giganteschi becchi di Bunsen si levavano da certe fenditure del terreno fino al cielo, i pioppi di un filare bruciavano come fiammiferi, mentre il Secco, i vestiti strappati, la faccia annerita, zoppicante, correva avanti e indietro in questo scenario da fine del mondo urlando a squarciagola una sola parola ripetuta centinaia di volte:
«Ferro! Ferro!»
Cercai di alzarmi, ma appena mi raddrizzavo la terra e le stelle cominciavano a girare, vomitavo e dovevo rimettermi giù. La testa mi batteva, avrei preferito tagliarmela pur di non sentire quello spaventoso dolore. Inavvertitamente feci forza sul braccio rotto per mettermi in ginocchio, e cacciai un urlo, di rabbia, di dolore, e non so di che altro.
Cominciavo però a capire. Mi rimisi seduto e tenendomi le tempie tornai a guardare quella notte illuminata da vampe di tregenda il cui calore mi lambiva. La Cascina non c’era più: al suo posto scorsi una voragine fumante e fiammeggiante sull’orlo della quale il Secco ora si stava avvicinando per l’ennesima volta gridando con sempre minor forza e convinzione quel solo ossessionante nome, il nome del suo amico, il nome del mio amico.
Con uno sforzo che definire sovrumano è poco riuscii ad alzarmi reggendomi alla lupara che il Secco aveva lasciato accanto a me. Usandola come bastone lo raggiunsi. Si era seduto, finalmente, le gambe incrociate, a osservare le fiamme. Erano colonne gialle, blu e verdi tese come spade fino al cielo, alimentate da un sordo brontolio proveniente dalle viscere della terra, quasi che sotto di noi vi fosse il fornello di un vulcano in eruzione. Gli misi una mano sulla spalla, e caddi di nuovo. Mi tirò su:
«Maledizione, dottore. Tirati su.»
«Che cazzo è successo?»
Mi prese sulle spalle e mi allontanò da quelle fiamme:
«Leviamoci di qui.»
Arrivammo sull’argine appena in tempo per assistere alle ultime esplosioni e agli ultimi crolli. Si aprirono altre voragini, vedemmo il terreno inghiottire Cà Bonaroni, e poi Facciabella e, in lontananza, ardere perfino càPiraro.
Lapilli di terra e frammenti di cemento venivano sparati in alto con la violenza di schegge di bomba. Il cataclisma sembrava non finire più. Per sottrarci alla ricaduta il Secco mi trascinò oltre l’argine, sul lato interno della scarpata, e di lì raggiungemmo la chiusa del Bastione san Michele. Vomitai ancora. Mi sdraiai a terra: lontani dalle fiamme il freddo era pungente, e mi gelava addosso il sudore.
«Che è successo?», chiesi ancora.
«Il Ferro è rimasto là sotto.»
Non ero nelle condizioni ideali per capire troppo della vita, ma, dato lo spettacolo cui avevo assistito, almeno questo lo avevo capito, che il Ferro, cioè, si era fottuto la carriera.
Guardai il Secco:
«È saltato tutto in aria» disse asciugandosi il sudore con un gesto di stizza.
«Il deposito del gas, e le tubature. Forse una scintilla. Io lo avevo capito subito che eravamo su una bomba. Si è spaccato il pavimento del tempio, le colonne han cominciato a cadere, tu sei stato colpito in testa dal crollo del soffitto. Stava per ostruirsi anche la scala. Il Ferro mi urla: “tu pensa all’eroe, io alle troie. Ci troviamo fuori.” Le sue ultime parole... Non potevo fermarlo, gli ho solo urlato: “lasciale, lasciale dove sono, vieni su!”. Ma quello nulla. Le voleva salvare. Fottuto bastardo. Perché?»
Cercai di consolarlo, anche se parlare con la faccia spaccata era dura:
«Era un carabiniere. Sapeva, come lo sai tu, qual è il vostro mestiere. Tu avresti fatto lo stesso.»
«Dici?»
«Dico.»
«E tu, dottore? Tu lo avresti fatto?»
«Io? Rischiare la pelle per tirar fuori quelle assassine di li? Neanche per idea. Io non sono mica un carabiniere.»



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L'autore

Matteo Soldi è nato a Firenze nel 1958.
Liceo classico, laurea in scienze economiche, dottore commercialista, vive e lavora a Firenze coltivando la passione per la lettura e la scrittura.
Il Tesoro di Carpanea, thriller con "venature" gotiche ambientato nella pianura veronese di fine Ottocento, è il suo primo romanzo.

Informazioni sul volume

Titolo: Il Tesoro di Carpanea
Autore: Matteo Soldi
Editore: Lampi di stampa, collana TiPubblica
Anno: 2012
ISBN: 978-88-488-1430-0
Prezzo: 26,40€
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