Per tutto l'oro del mondoEsce, edito dalla E/O nella collana Noir Mediterraneo, il nuovo romanzo di Massimo Carlotto.
Per tutto l’oro del mondo è l’ottavo titolo dedicato all’Alligatore, al secolo Marco Buratti, il personaggio entrato per la prima volta nelle librerie italiane nel lontano 1995, ossia vent’anni fa, con La verità dell’Alligatore.

TRAMA

Una donna affascinante che canta in un piccolo club. Un marito geloso. Buratti viene assunto per indagare sulla presunta infedeltà della donna ma, come il protagonista di Vertigo di Hitchcock, si innamora di lei.
A questo problema se ne aggiunge un altro. Due anni prima, in una villa nella provincia di Padova, durante una rapina, tre uomini mascherati avevano ucciso Gastone Pescarotto, un piccolo imprenditore nel settore della maglieria, insieme alla governante. Buratti viene contattato da un certo Nicola Spezzafumo per indagare sulla rapina alla villa, ma rifiuta l’incarico. Qualche giorno dopo, però, accetta di indagare sulla morte della governante, facendosi assumere dal figlio dodicenne per la somma di 20 centesimi.
Le indagini e la vita di Buratti si complicano ancora di più, quando dalle nebbie venete, riappare la figura di Giorgio Pellegrini, il cattivo di “Arrivederci Amore Ciao”, che già si era scontrato con il nostro eroe nel romanzo precedente “La banda degli amanti”

“Per tutto l’oro del mondo”, più livelli di lettura…
Esistono vari modi di affrontare la lettura dei romanzi dell’Alligatore. Uno è quello di leggere l’indagine poliziesca e passare alcune ore piacevoli, seguendo le avventure del protagonista. A questo livello superficiale, può essere affiancata una lettura più approfondita.

Partito dalla tragica esperienza della latitanza, dopo un esordio notevole con Il Fuggiasco, Carlotto ha proseguito la sua carriera di scrittore cercando di fondere l’impegno civile… con la fiction. Scegliendo, in quest’ultimo caso, un genere particolare, il noir.

(Stefano Salis, Un Alligatore nella palude della (in)giustizia, La Grotta della Vipera n°94, 2001)

La serie dell’Alligatore si inserisce in una tradizione che inizia con Il giorno della civetta, il capolavoro di Leonardo Sciascia, pubblicato nel 1960 e considerato il primo romanzo poliziesco di denuncia. Sciascia aveva compreso che, per poter arrivare a un vasto pubblico, bisognava servirsi di un genere letterario popolare come il poliziesco, in ragione anche delle potenzialità di critica sociale intrinseche che il genere offriva.

… mi sono convinto che, se la verità ha per forza di cose molte facce, l’unica forma possibile di verità è quella dell’arte. Lo scrittore svela la verità decifrando la realtà e sollevandola alla superficie… Ecco perché utilizzo spesso il “discorso” del romanzo poliziesco, questa forma che tende alla verità dei fatti e alla denuncia del colpevole…

(Leonardo Sciascia, La Sicilia come metafora, Mondadori, 1979, p. 87)

In questo articolo, cercherò di andare oltre la lettura superficiale, tipica del romanzo di genere popolare, e di spiegare come l’autore padovano, fin dall’inizio della sua carriera letteraria, non sia mai rimasto all’interno dei confini del genere poliziesco.
Questa specie di indagine ci dovrebbe permettere di comprendere le ragioni di un successo che dura da vent’anni, ma che suscita anche perplessità e discussioni all’interno della critica contemporanea.

Il ciclo dell’Alligatore di Massimo Carlotto suscita perplessità. La convenzionalità dei romanzi e la sciattezza stilistica, entrambe volute dall’autore, possono indurre un lettore a fraintendere un modo di scrittura che supera il post-moderno poiché da un lato si rifà alla koinè narrativa italiana attuale, che cita e parodia procedimenti narrativi come il giallo, dall’altro tale approccio ironico… serve… da mezzo principale per insegnare e rivelare e per corollario per postulare la presenza di sistemi di valori coerenti, anche se minacciati dal mondo attuale.

(Costantino Maeder, L’accidia come motore della conoscenza. Il ciclo dell’Alligatore di Massimo Carlotto, in “Noir De Noir”: Un’indagine Pluridisciplinare, a cura di Dieter Vermandere e Monica Jansen, Peter Lang Pub Inc, 2010, p. 115)

Il primo passo è riuscire a comprendere a che genere appartenga Per tutto l’oro del mondo.

“Per tutto l’oro del mondo”, un noir mediterraneo?

“…la storia del Mediterraneo è nera, come l’anima di Caino …Il noir mediterraneo è… una ricerca di verità in un ambiente segnato da sempre dalla violenza fratricida ma anche, contemporaneamente, dalla bellezza; è uno sguardo sul lato oscuro e nero di questo spazio apparentemente solare e azzurro… inoltre sempre più gli interessi criminali si mescolano a quelli “legali”, “rispettabili”, creando un intreccio opaco e difficilmente aggredibile.”

(Sandro Ferri, Azzurro e nero: per una bibliografia del noir mediterraneo, 2000)

Sandro Ferri, direttore della casa editrice E/O, scrisse questa famosa dichiarazione della poetica del “Noir Mediterraneo” nel 2000. Lo stesso anno, le edizioni E/O inaugurarono la collana con lo stesso nome. Dalla dichiarazione poetica di Ferri si coglie una delle caratteristiche fondamentali del noir mediterraneo:” uno sguardo sul lato oscuro e nero di questo spazio apparentemente solare e azzurro”.
L’altra caratteristica fondamentale del Noir Mediterraneo è stata ben espressa da Elisabetta Mondello, durante il convegno Roma Noir del 2013: “la più rilevante e organica teorizzazione di un rapporto fra finzione narrativa e realtà all’interno del noir contemporaneo” (E. Mondello, Introduzione, in AA.VV.,Roma Noir 2012/2013. Letteratura della crisi, letteratura del conflitto, Robin Edizioni, 2014, pp. 31-32).

Il Noir Mediterraneo è, però, in continua evoluzione ed è spesso difficile comprendere quali tipi di romanzi ne facciano parte. In una intervista del 2012, Carlotto definiva il Noir Mediterraneo più una “percezione” che un vero movimento letterario e ne annunciava addirittura la morte (cfr. Il Noir Mediterraneo secondo Carlotto).

Sicuramente Per tutto l’oro del mondo appartiene al Noir Mediterraneo, ma è anche vero che esso è molto diverso dal primo Alligatore del 1995. I libri scritti da Carlotto dal 2001 fino ad oggi, al di fuori della serie dell’Alligatore, mostrano una chiara evoluzione dello scrittore e una volontà a cambiare registro, e questo si è riflesso anche nei nuovi romanzi di Buratti. Questa esigenza è divenuta prepotente e ineludibile dal 2004 in poi e non solo per Carlotto. Negli ultimi dieci anni, infatti, sempre più critici e scrittori hanno denunciato una “certa “stanchezza” della letteratura criminale” e come il noir “per preservare la sua vitalità di genere letterario e la su valenza critica, debba forzare i propri confini e tradire i propri modelli” (Marco Amici, Massimo Carlotto e il linguaggio del Noir, in Massimo Carlotto. The Black Album. Il Noir tra cronaca e romanzo. Conversazione con Marco Amici, Carrocci editore, 2012).

È accaduto così che la produzione di Carlotto si è divisa in due grandi filoni: i noir come la serie dell’Alligatore e quelli con protagonista il cattivo Giorgio Pellegrini; i romanzi d’inchiesta come Perdas de Fogu (2008) e Respiro corto (2012). Ma è chiaro che i due filoni si influenzano a vicenda.

Ritengo che quanto esposto sopra sia la prova della continua ricerca di nuove tecniche e forme espressive da parte di Carlotto, e di una lotta interiore simile a quella che deve aver provato Simenon, quando si è reso conto che avrebbe dovuto dividere la sua arte tra i romanzi popolari di “Maigret” e i romans durs. Ed è questo, secondo me, il motivo per cui abbiamo dovuto attendere ben sei anni prima che lo scrittore decidesse di tornare a scrivere storie sull’Alligatore…

Un’attesa lunga sei anni

Il ciclo dell’Alligatore è costituito dai seguenti romanzi: La verità dell’Alligatore (1995), Il mistero di Mangiabarche (1997), Nessuna cortesia all’uscita (1999), Il corriere colombiano (2001), Il maestro di nodi (2002), L’amore del bandito (2009), La banda degli amanti (2015) e infine Per tutto l’oro del mondo (2015).
Come si evince dalle date, Carlotto nel 2002 aveva abbandonato il personaggio che lo aveva reso famoso. Lo aveva fatto pubblicandoIl maestro di nodi, quello che considero tuttora il migliore della serie (valutazione del tutto personale, anche se suffragata dal Premio Scerbanenco). Marco Buratti fece una breve riapparizione nel 2009 per poi scomparire di nuovo per sei lunghi anni.
Dopo Il maestro di nodi del 2002, Carlotto pareva deciso a mandarein pensione Buratti. Questa decisione era legata all’esigenza di “intraprendere nuovi percorsi… di liberarsi dell’Hard Boiled, perpenetrare nel puro noir” (Anna Pasolini, Massimo Carlotto, The Black Album. Il Noir tra cronaca e romanzo. Conversazione con Marco Amici, Altre modernità n° 8, 2012). Negli anni successivi, romanzi come L’oscura immensità della morte (2004), Nordest (2005), Mi fido di te (2007) ma soprattutto Perdas de fogu (2008) e Respiro corto (2012) testimoniano come Carlotto si impegni ad abbandonare l’intreccio poliziesco, preferendo gli strumenti del giornalismo d’inchiesta. Ma come era già accaduto a Simenon con il suo Maigret, a Carlotto è risultato oltremodo difficile disfarsi di un personaggio come Buratti, ormai entrato nel cuore di milioni di lettori italiani e stranieri: “Mi fermavano per strada, mi scrivevano. Un signore mi ha preso da parte e mi ha detto: Non si trattano così i lettori” (vedi intervista Carlotto: “L’Alligatore torna per colpa dei miei lettori”di Maurizio Crosetti, pubblicato da La Repubblica il 13 marzo 2015).

Ma come il commissario Maigret di Simenon si era evoluto nel corso degli anni, abbandonando gli stilemi polizieschi inglesi e americani, preferendo dare spazio all’ambiente sociale e alla psicologia dei personaggi, così i romanzi dell’Alligatore palesano una evoluzione che può essere riassunta nella volontà di dare sempre maggiore spazio ai contenuti sociali e politici rispetto ai personaggi e all’intreccio poliziesco. Questa necessità di cambiare il modo di raccontare era, in ogni modo, già in nuce in Nessuna cortesia all’uscitadel 1999, dove Carlotto aveva inserito diverse sentenze della Corte d’Assise d’Appello di Venezia, e in Il maestro di nodi del 2002, dove sono descritti i fatti accaduti a Genova durante il G8. Carlotto ha ribadito anche recentemente come la serialità abbia bisogno di novità e sperimentazione.

«L’Alligatore tornerà nel 2017» dice lo scrittore padovano «perché ho bisogno di pensare a una evoluzione delle sue storie. Continuerà a tallonare i mutamenti della società italiana, ma in modo diverso. È vero che i lettori sono tradizionalisti, ma la serialità per sopravvivere ha anche bisogno di novità e di sperimentazione.».

(Nicolò Menniti-Ippolito, Rapina e delitti in villa Un nuovo caso per l’Alligatore, pubblicato da Il Mattino di Padova il 5 novembre 2015)

L’importanza del territorio in “per tutto l’oro del mondo”

Il Nordest è un territorio complesso, diviso tra montagne e pianure. E paludi non segnate sulle carte. Erano ovunque. Piene di serpenti pericolosi, mortali. Luoghi dove un alligatore poteva sguazzare, rimestare la melma e tentare di dare filo da torcere.

(Carlotto, Per tutto l’oro del mondo, Edizioni E/O, 2015, pp. 18-19)

L’ambientazione sociale, geografica e storica è componente essenziale del romanzo noir. Carlotto ambienta le sue storie nei luoghi in cui ha vissuto la sua giovinezza e il suo dramma giudiziario, svelandone il lato oscuro. Il racconto della realtà sociale del Veneto si accompagna alla descrizione dello spazio fisico, segnato dalla corruzione politica e giurisdizionale e dal declino sociale.
Il paesaggio è il risultato dello sviluppo storico delle attività umane sul territorio. Il caso del Veneto contemporaneo è emblematico, in quanto lo sviluppo economico ha investito in modo drastico, per non dire violento, un territorio che fino agli anni settanta era rimasto quasi del tutto inalterato.
L’industrializzazione ha spazzato via una civiltà rurale secolare nel giro di pochi decenni, provocando un profondo senso di confusione e perdita di identità nella popolazione.E Carlotto diviene, attraverso i suoi romanzi (forme ibride di scrittura che combinano finzione e realtà), testimone di questi cambiamenti.
Enrichetta L. Frezzato ha dedicato un bellissimo saggio su come sia cambiato il paesaggio veneto, dopo l’industrializzazione degli anni settanta, e su come esso sia rappresentato nei romanzi di Carlotto. La studiosa sostiene che la trasformazione economica, causando il rimodellamento del paesaggio, ha cambiato i modelli culturali e sociali e di conseguenza anche il modo in cui l’arte descrive quei territori.

In conclusion, within the context of the critical economic and social transformation of a localized territory, the reshaping of landscape represents a significant factor on two different levels: firstly, it constitutes the visible and more tangible layer of a series of modifications that act on the deep-seated cultural pattern of the region… secondly, landscape also influences the process of artistic representation of territory…

(Enrichetta L. Frezzato, Critical Landscapes: On the Mutation of a Territory and Its Literary Representations: The Case of Contemporary Veneto and the Example of Massimo Carlotto, Nemla Italian Studies Journal of Italian Studies Italian Section Northeast Modern Language Association, The College of New Jersey Giovanni Spani College of the Holy Cross Volume xxxv, 2013 p. 191)

È questo il motivo per cui nei romanzi di Carlotto non troviamo vere e proprie descrizioni paesaggistiche, ma piuttosto informazioni da cui si deduce il nuovo scenario industriale: costruzione di centinaia di capannoni e fabbriche, l’aumento del numero delle aree industriali, il traffico intenso dei Tir (soprattutto nel romanzo Nordest). Il modo di osservare il territorio dello scrittore Carlotto è, infatti, influenzato dalla sua cultura storica, politica, economica e sociale di quei luoghi. Carlotto osserva e annota determinati fenomeni rispetto ad altri, perché è portato dal suo background culturale a vedere essi e non altri.
Nel nuovo romanzo Per tutto l’oro del mondo, a identificare il nuovo paesaggio sono soprattutto le ville isolate, simbolo di ricchezza ma anche di profonda solitudine sociale. La nascita e proliferazione di questo tipo di abitazioni comporta, inoltre, un mutamento nell’attività criminale: “la malavita aveva abbandonato le rapine in grande stile negli istituti di cre­dito e aveva scelto di dedicarsi ai privati, che avevano meno possibilità di difendersi.” (Carlotto, 2015, p. 107).
Un’altra testimonianza del territorio che cambia è quasi alla fine di Per tutto l’oro del mondo, quando Buratti torna al club Pico’s e scopre che sta per essere trasformato in una filiale di banca. Il Pico’s diviene quasi il simbolo di ciò che sta accadendo: alla passione per la musica, all’arte che allevia le sofferenze dell’animo umano, si sostituisce l’interesse economico, rappresentato dalla realizzazione di una nuova banca.È curioso notare che, nello stesso romanzo, troviamo un riferimento ad un personaggio politico che, appunto, non solo non ama l’arte (Cfr. A Venezia Klimt e Chagall all’asta per pagare i debiti), ma vede Venezia con gli occhi dell’imprenditore.

Il primo cittadino di una delle più belle città del mondo era un industriale. Aveva promesso benessere e battuto facilmente il suo avversario, un giudice che prometteva invece legalità e non aveva mai avuto serie possibilità di vittoria. Venezia coniava moneta sonante alla velocità del flusso turistico. Il problema era se darla completamente in pasto al business o cercare di proteggerla dall’invasione incontrollata. I cittadini avevano scelto.

(
Carlotto, 2015, p. 127)

Città millenarie, fragili ecosistemi, persone, non esiste più alcun valore che non sia visto in funzione del profitto economico. Il denaro serve da collante per superare qualsiasi dualismo esistente tra interessi dello Stato (e quindi del popolo) e interessi privati. In questo modo, politici, esperti del settore e industriali senza scrupoli si alleano e portano avanti i loro progetti. E anche quando, di fronte all’evidenza delle morti, come nel caso dell’Ilva di Taranto, non si riesce a convincere l’opinione pubblica, ci si approfitta della grave crisi economica e si utilizzail ricatto occupazionale.
Molto interessanti, per chi avesse voglia di approfondire,anche le pagine dedicate da Isabella Pinto al paesaggio nei romanziNordest e Perdas de Fogu (cfr. Tendenze letterarie del noir italiano, dalla letteratura della crisi alla letteratura del conflitto, Università degli Studi di Roma La Sapienza, 2012-2013, pp. 9-12 e 52-53).

L’Alligatore e “Nighthawks” di Hopper

I bar, i night club, i locali lap dance sono tra i luoghi più utilizzati da Carlotto, luoghi in cui si incontrano mafiosi, poliziotti corrotti e imprenditori, e in cui è possibile chiedere informazioni utili alla indagini o organizzare appuntamenti con i criminali. Nell’ultimo romanzo, addirittura, Carlotto rende omaggio al grande Simenon, quando si trova in un “vecchio caffè” di Liegi (Carlotto, 2015, p. 48), e sappiamo quanto fossero importanti per lo scrittore belga le scene ambientate nei bar. Ma i bar e i club dove si beve e ascolta musica sono molto di più di questo per lo scrittore padovano.
Massimo Carlotto, prima di inventare il personaggio di Marco Buratti, divenne un vero e proprio caso letterario con la pubblicazione de Il fuggiasco (edito nel 1994 dalle Edizioni E/O). Il romanzo è una autobiografia che racconta il periodo della sua latitanza, dopo essere stato ingiustamente accusato di un omicidio nel lontano 1976 (per chi volesse approfondire gli elementi autobiografici presenti ne Il fuggiasco, consiglio l’interessante saggio di Agnieszka Domaradzka, “Il fuggiasco di Massimo Carlotto – tra caso giudiziario e fenomeno letterario”, in Artista biografia creazione, a cura di Karol Karp, Torun 2012, pp. 63-82).
Alla fine di questo romanzo, il protagonistafa riferimento ad un quadro famosissimo: “… potrei dedicarmi alle sedute spiritiche; è un pezzo che voglio convincere la buonanima di Edward Hopper a infilarmi nel suo “Nighthawks”. E’ il mio pittore preferito. “Entrare”nei suoi quadri ha salvato, in questi anni, la mia fantasia dall’estinzione.Mi piacerebbe essere appoggiato al bancone di quel bar del ’42 tra la macchina del caffè e la tizia con i capelli rossi.In silenzio, sobrio come un giudice, ad aspettare che la notte finisca.” (Massimo Carlotto, Il fuggiasco, Edizioni E/O, 1994).

Molti di noi hanno provato il medesimo desiderio di sedere in quel bar dipinto da Hopper, aspettando al sicuro l’arrivo dell’alba che spazza via le tenebre. Il quadro è un fermo immagine su un istante di esistenza metropolitana. Hopper dipinge un paesaggio reale ma sembra alla ricerca della sua essenza immutabile. E sta proprio qui il suo fascino, in questa atmosfera metafisica (Hopper è stato definito il De Chirico americano). Stare seduti nel bar di “Nighthawks” significa uscire dal tempo e dallo spazio, per questo i personaggi di Hopper sembrano caratterizzati da una condizione di straniamento.
Ma perché cito questo dipinto? Dopo il successo de Il fuggiasco, l’autore padovano iniziò a scrivere la serie di Buratti, le cui storie, per molti versi, sono il seguito del suo primo romanzo. Dopo Il fuggiasco, la nascita di un personaggio come l’Alligatore direi che fosse quasi inevitabile. Ma è sicuramente il malinconico Buratti di Per tutto l’oro del mondo quello che più si avvicina ai nottambuli di Hopper.
Nel romanzo non si contano le volte in cui Buratti si rifugia nel club dove canta la donna di jazz, o in qualche altro bar, dove si possa bere e ascoltare della buona musica. Il primo vero incontro tra Cora e Buratti avviene in un bar; è dentro al camerino del club Pico’s che fanno all’amore la prima volta; e uno dei loro ultimi appuntamenti si svolge “al solito bar”, uno a fianco all’altro, proprio come nel quadro di Hopper. In questi luoghi, ai protagonisti del romanzo capita di perdersi nei loro “sogni” (Cora mentre canta) o di isolarsi (Max). È come se il bar fosse un rifugio, un luogo dove salvarsi anche se per breve tempo, dal frastuono e dal male del mondo; un filosofo direbbe dal “divenire” e dal “caos”.
In Nessuna cortesia all’uscita troviamo una descrizione di un locale notturno di cui è proprietario Buratti, e che quindi rispecchia la sua personalità.

Apriva alle otto di sera e chiudeva alle quattro del mattino… In pochissimo tempo si era sparsa la voce dell’esistenza di questo locale molto discreto dove si poteva bere, chiacchierare e ascoltare musica in santa pace. C’era gente a ogni ora, gente disparata ma anche molto tranquilla; per questo i clienti lo chiamavano “la cuccia”.

(Massimo Carlotto, Nessuna cortesia all’uscita, Edizioni E/O, 1999)

Ne Il fuggiasco, il protagonista considera che, dopo tutto quello che ha passato, non è molto convinto di riuscire a ricostruirsi una nuova vita e che ciò che egli osserva intorno a sé non gli piace, anzi gli genera “una buona dose di angoscia che si trasforma inevitabilmente in una pigrizia cosmica”. In realtà, Carlotto è riuscito a ricrearsi una vita come scrittore di successo, proprio raccontando ciò che gli accaduto e indagando quell’oscurità che ci circonda e ci spaventa, e che, nei momenti in cui ci sentiamo più confusi e delusi dalla vita, cerchiamo di tenere al di là del vetro. Il tema del quadro “Nighthawks” è, infatti, anche il “fascino della notte, la cui oscurità è rischiarata dal neon del bar” (Lucia Aquino, “Nighthawks”, in Hopper, I classici dell’Arte – Corriere della Sera, Milano, 2004, p. 140). “Nighthawks” è un’opera ambigua e misteriosa: le strade che affiancano il bar sono completamente deserte, i negozi vicini sono chiusi, le finestre hanno le luci spente. Pare che gli unici esseri viventi si siano ritrovati in quel bar e che il resto dell’umanità sia svanita dalla faccia della terra. L’atmosfera è inquietante e affascinante allo stesso tempo. Anche Buratti è affascinato dal lato oscuro dell’esistenza, anche se è in continua lotta con se stesso. Egli riemerge sempre dai fumi dell’alcol e dalle canzoni blues, per tornare ad indagare e aiutare qualche innocente, come il ragazzino di Per tutto l’oro del mondo. Carlotto, romanzo dopo romanzo, ha dato spessore ad un personaggio difficile, “controverso, problematico”, che non offre risposte ma crea invece dubbi e pone domande (cfr. intervista di Massimo Vincenzi: Carlotto: “Cerchiamo la verità e la gente si appassiona”, pubblicato da Repubblica il 3 agosto 2001).

Buratti trascorre la sua esistenza tra bar malfamati, trattorie e locali di lap-dance, circondato da personaggi corrotti e violenti. Ha un profilo da “duro” e una reputazione che si è creato durante il periodo passato in prigione, facendo da paciere fra i carcerati.

In galera, per sopravvivere e per impedire che diventasse un luogo ancora più invivibile, mi ero inventato il ruolo di pacificatore tra le diverse fazioni della malavita. Un mestiere duro, difficile e pericoloso, che però mi aveva insegnato a conoscere mentalità e comportamenti e soprattutto a capire che più una porta sembra chiusa, più bisogna insistere a bussare.

(Massimo Carlotto, 2015, p.147)

Il fatto di aver passato molti anni in prigione lo ha cambiato. È disilluso e pieno di rancore, nei confronti di una classe politica e di una magistratura sempre più lontani dal popolo. Che Buratti sia un alter-ego del suo creatore è abbastanza evidente, soprattutto se pensiamo al calvario che ha vissuto lo scrittore: undici processi lunghi 17 anni, sei anni di carcere, la latitanza. Nessuno di noi, dopo esperienze simili, avrebbe ancora fiducia nella giustizia.
In ogni modo, uscito di prigione, Buratti diventa una specie di “crociato, quel tipo di investigatore privato che si butta a capofitto nelle indagini o perché non ha niente da perdere o perché non ci sta del tutto con la testa” (Massimo Carlotto, Nessuna cortesia all’uscita, edizioni E/O, 1999). E utilizza l’esperienza, accumulata negli anni passati in galera, per inventarsi un lavoro che gli permetta di essere se stesso (qualcosa del genere ha fatto Carlotto con la scrittura).

“… sfrutta le conoscenze carcerarie per le sue indagini, una situazione che, se da un lato si risolve, in perfetta armonia con le con­venzioni del genere, in una specie di impegno ufficioso a ristabilire una giustizia per altri versi troppo elusiva, dal­l’altro costituisce lo schermo dietro cui l’autore può espri­mere, senza tradire la vocazione narrativa per la perorazio­ne ideologica, il suo appassionato impegno civile.”

(Carlo Oliva, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, 2003, p. 193)

E questo ci conduce al mito di Sisifo…

BURATTI E IL MITO DI SISIFO…

Nel romanzo, Buratti si innamora di una donna, che lui chiama la donna di jazz. Carlotto ce la presenta così: “Non avrebbe mai fatto carriera… Cantava brani jazz perché erano l’unica cosa in grado di tenerla aggrappata ad una vita che faticava a sopportare” (Carlotto, 2015, p.11).
Buratti si innamora della donna, perchéè molto simile a lui. Egli fa, infatti,l’investigatore perché è l’unico scopo in grado di tenerlo aggrappato ad una esistenza che fatica a sopportare: “Ho bisogno di un caso. Uno rognoso, difficile. Pericoloso. Altrimenti cado a pezzi, sono al limite.” (Carlotto, 2015, p. 37).
Il profondo legame esistente tra la personalità di Cora e quella di Buratti viene confermato anche più avanti: “Non riuscivo a staccarmi da lei. Donna di jazz. Incasinata, impaurita, fragile, ma che la mattina si alzava e affrontava un lavoro duro, in un luogo dove il dolore dominava senza soluzione di continuità.” (Carlotto, 2015, p. 71).
Cora e Buratti sono due perdenti che ogni giorno si svegliano, si alzano dal letto e tornano ad affrontare il mondo; due naufraghi che cercano di rimanere a galla come possono.
In un precedente articolo dedicato al romanzo Havana di Martin Cruz Smith, avevo accostato il protagonista Arkady Renko a Sisifo, un mitico personaggio della mitologia greca. Sisifo veniva punito dagli dei a spingere senza speranza e per l’eternità, dalla base alla cima di un monte, un masso che poi rotolava nuovamente a valle. Anche Buratti, come Sisifo, pur riconoscendo razionalmente l’impossibilità di sconfiggere il male e l’assurdità della lotta, non si arrende e continua a riportare il pesante masso sino alla cima del monte, anche se sa che esso ricadrà a valle. Ed è in questo caparbietà che risiede la grandezza e la dignità dell’uomo che si “ribella”.

“Non v’è sole senza ombra, e bisogna conoscere la notte. Se l’uomo assurdo dice di sì, il suo sforzo non avrà più tregua… In questo sottile momento, in cui l’uomo ritorna verso la propria vita, nuovo Sisifo che torna al suo macigno, nella graduale e lenta discesa, contempla la serie di azioni senza legame, che sono divenute il suo destino, da lui stesso creato, riunito sotto lo sguardo della memoria e presto suggellato dalla morte… Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo.”

(Albert Camus, Il mito di Sisifo, Bompiani 1994 – I° edizione i Grandi Tascabili – pp. 120-121)

Personaggi come l’Alligatore, Arkady Renko (il malinconico detective di Gorky Park e di Tatiana di Martin Cruz Smith) e Dave Robicheaux (protagonista di decine di romanzi di James Lee Burke) continuano ad essere amati proprio perché il lettore si identifica con loro e la loro lotta senza fine. Nei romanzi di Carlotto, l’Alligatore si immerge, pagina dopo pagina, in una società malata e corrotta frequentata da persone senza scrupoli. Allo stesso tempo, il lettore viene informato di quanto la giustizia ufficiale sia inerme di fronte al male, se non addirittura compromessa con esso. In tutti i romanzi del ciclo, i casi vengono risolti ma chi tira le fila, chi si trova ai piani superiori del potere criminale, rimane impunito. La giustizia e la verità non trionfano mai in modo assoluto, ma Buratti continua comunque a lottare con “la testa alta e la dignità integra” (Carlotto, 2015, p. 124). Ed è proprio questo non darla mai vinta che rende Arkady, Robicheaux e Buratti dei personaggi indimenticabili.Ed è identificandoci con loro che anche noi, insignificanti esseri umani, riusciamo a resistere alla paradossalità dell’esistenza: al caos delle migliaia di leggi che dovrebbero regolare e invece confondono; all’ingiustizia prodotta proprio da quelle istituzioni che dovrebbero combatterla; a una Chiesa che predica la Verità e poi si nasconde dietro mille segreti; alla diffusione mediatica e amplificata di notizie senza alcun valore, che mimetizza verità scomode. E anche se il domani non vedrà Buratti vittorioso sui nemici e sul male, egli non si arrenderà mai e, come Sisifo, si ostinerà a riportare il macigno in cima alla montagna.

Non avevo la minima idea di come sarebbe andata a finire, ma avrei condiviso il destino con i miei amici e avremmo tenuto alta la testa. Di meglio non potevo sperare.

(Carlotto, 2015, p. 189)

L’alligatore vs Giorgio Pellegrini

Giorgio Pellegrini era il peggior criminale che avessi mai conosciuto. Assassino, traditore, ricattatore, sfruttatore, stupratore. La lista dei suoi crimini era lunga. Troppo lunga per permettergli di essere ancora vivo, ma si era dimostrato maledettamente scaltro nel ricavarsi sempre una via d’uscita.

(Carlotto, 2015, p. 177)

Inserendo Giorgio Pellegrini, il cattivo senz’anima di Arrivederci amore, ciao (2001) e Alla fine di un giorno noioso (2011), nelle due ultime avventure dell’Alligatore, Carlotto fa sicuramente una azzeccata mossa editoriale. Ma si tratta solo di questo? Doveroso citare almeno di sfuggita la Comédie humaine di Balzac. Lo scrittore francese creò un vero e proprio mondo alternativo, in competizione con quello reale, in cui i suoi personaggi comparivano come protagonisti in un romanzo per poi affacciarsi come mere comparse in un altro. Balzac ebbe questa intuizione nel 1833.

” l’intuizione della possibilità di circolazione dei personaggi da un’opera all’altra e a cavallo delle varie «scene di vita», circolazione che comporterà trasformazioni di vario genere: da quelle inerenti allo statuto gerarchico del personaggio, per cui da una posizione di primo piano esso può ripresentarsi in posizioni di secondo piano e addirittura di semplice comparsa… trasformazioni riguardanti lo statuto sociale, che passa da umile a elevato (o viceversa), a quelle che concernono la figura morale o il carattere…”

(Agosti Stefano, Il romanzo francese dell’Ottocento. Lingue forme genealogia, Il Mulino – 2010, pp. 110-111)

Nell’inserire Pellegrini in un romanzo dell’Alligatore, inoltre, Carlotto porta allo scoperto e amplifica il contrasto esistente tra i due mitici personaggi. Quando Carlotto, nel 2001, pubblicò Arrivederci amore, ciao, abbandonò completamente lo schema poliziesco, ancora presente nella serie dell’Alligatore, e presentò un personaggio intensamente provocatorio (molto di più di quanto non lo fosse già Buratti!). Perché provocatorio? Giorgio Pellegrini rappresenta in modo esemplare l’ascesa sociale di un criminale e, di conseguenza, è la dimostrazione dell’esistenza di quella zona grigia, di cui parla spesso Carlotto nelle sue interviste, ossia la zona in cuila criminalità entra in contatto con le istituzioni politiche, giudiziarie e i grandi investitori. Pellegrini, infatti, è rispettato e perfettamente integrato nella società, perché ne conosce le regole e le accetta o almeno finge di farlo. Buratti è, invece, uno sconfitto e un escluso, proprio perché non crede più nella giustizia e nell’ordine costituito, preferendo la propria etica personale. E questo lo Stato e la società non possono permetterlo.
È interessante citare l’inizio di Arrivederci amore, ciao, in cui Carlotto sembra quasi voler avvertire il lettore che il romanzo che sta per leggere non ha nulla a che fare con la serie dedicata a Buratti: «La carogna dell’alligatore galleggiava a pancia all’aria» (Carlotto, 2001). E anche se, secondo Mario Barenghi, la differenza tra i due personaggi si riduce solo “a una maggiore esibizione di sadismo” da parte di Pellegrini (cfr. M. Barenghi, Carlotto: raccontare i malvagi, in Lo straniero”, 2001, 15-16, pp. 263-264), la novità di Arrivederci amore, ciao rispetto i precedenti romanzi è indiscutibile.

In Per tutto l’oro del mondo, in ogni modo, il contrasto tra i due personaggi è reso ancora più evidente dall’episodio in cui Buratti accetta l’incarico da parte del figlio della governante in cambio di venti centesimi. Pellegrini, invece, è il simbolo del dominio del denaro su ogni altro valore, compresi la vita, la dignità e la verità. La definizione di corruzione patrimoniale di Giancarlo De Cataldo sembra scritta su misura per un personaggio come Pellegrini.

La corruzione patrimoniale, intesa come ansia del guadagno facile, spasmodica ricerca della «scorciatoia» verso le infernali lusinghe del paradiso del benessere. Ma anche la più sottile e inquietante corruzione morale: intessuta della perdita del senso del limite, dell’annullamento di ogni tensione etica, sorretta dalla propensione a un agire sempre più violento e criminale, alimentata da una mistica della «svolta» che si traduce nell’indifferenza verso le conseguenze di qualunque gesto, anche il più estremo.

(Prefazione di Giancarlo Di Cataldo, in Crimini, a cura di Giancarlo Di Cataldo, Einaudi, 2007)

“Per tutto l’oro del mondo” e la colonna sonora

Carlotto inizia il romanzo con Buratti che sta ascoltando “Good Morning Kiss”, una struggente canzone d’amore; un amore ideale come esiste solo nelle canzoni, mentre la storia tra lui e la donna di jazz sarà molto più complicata, perché complicata è la vita del nostro protagonista: “Mi fermai in un’enoteca ben fornita e comprai una bottiglia di calvados invecchiato. Tornato a casa mi chiusi in camera ad ascoltare blues che narravano struggenti storie d’amore” (Carlotto, 2015, p. 159).
La colonna sonora blues è onnipresente in tutti i romanzi dell’Alligatore e, in Per tutto l’oro del mondo, Carlotto cita quasi una ventina di canzoni su circa duecento pagine.

Nel ciclo dell’Alligatore di Carlotto compaiono vari elementi che non si limitano allo stretto universo letterario. Quello più importante… è la colonna sonora del bluesche accom­pagna Marco Buratti. Il ritmo lento, l’andamento melodico prevedibile e le liriche ripetute delle ballate conferiscono al bluesil suo carattere terapeutico.

(Monica Jansen, Inge Lanslots & Dieter Vermandere, Noir de Noir Un’indagine pluridisciplinare, in “Noir De Noir”: Un’indagine Pluridisciplinare, a cura di Dieter Vermandere e Monica Jansen, Peter Lang Pub Inc, 2010, p. 16)

Marco Buratti, prima di finire in galera, suonava nel gruppo blues Old Red Alligators, dal quale gli deriva il suo pseudonimo. Dopo la scarcerazione, abbandona la musica per dedicarsi alla «difesa» degli innocenti. Rimane, però, un grande appassionato di canzoni blues, che spesso sono citate in momenti ben precisi, ad esprimere le sue emozioni. Dalle continue citazioni scaturisce spesso un profondo senso di nostalgia per il passato, misto a un bisogno di smitizzarlo: è il caso di canzoni come A Boy Named Sue o Bonanza cantate da Johnny Cash (Carlotto, 2015, pp. 53 e 55).

Amore e passione sono strettamente legate alla musica, all’estasi e al piacere che procura: Buratti si innamora della donna di jazz mentre sta cantando; prova i “brividi” mentre ascolta Susan tedeschi; sposerebbe Ana Popovic dopo averla sentita suonareNavajo Moon (Carlotto, 2015, p. 29). Altre volte, come nel caso di Susan Tedeschi che canta It Hurt So Bad (Carlotto, 2015, p.28), la sensazione è quella di una rabbia repressa nei confronti della vita, di se stessi e delle occasioni perdute.

Oh what a fool I was darlin’… yes…
And oh you were a fool to let… let me go… why did you let me go?
It’s so lonesome here with out you
Oh how I miss you so

A circa meta romanzo, la donna di jazz canta “Old Devil Moon” (Carlotto, 2015, p.88), e sembra volerla dedicare a Buratti. La canzone rispecchia la lotta interiore che si svolge nell’animo della donna, che da una parte desidera restare con il marito, dall’altra è attratta da Buratti. Sa, però, che lui ha un “cuore fuorilegge”, un cuore indomabile incapace di rimanere fedele a un luogo o a una persona.

Want to cry, want to croon
Want to laugh like a loon
It’s that old devil moon in your eyes
Just when I think, I’m free as a dove
Old devil moon, deep in your eyes
Blinds me with love

Le canzoni che la donna di jazz canta nel romanzo divengono la colonna sonora ideale della sua storia d’amore con Buratti. Ne è un esempio la scelta di All Day, All Night di Carmen Lundy (Carlotto, 2015, p. 115) e ancora di più Old Friend sempre della stessa cantante, verso la fine del romanzo (Carlotto, 2015, p. 157).

LA VENDETTA E LE DONNE IN “Per tutto l’oro del mondo”

Potrei continuare a scrivere per pagine e pagine su quest’ultimo romanzo di Carlotto. Potrei, ad esempio, parlare del tema della vendetta personale, di come una violenza subita possa stravolgere l’esistenza di un uomo comune.

«Ma io prima non ero come voi. Non avevo mai commesso un crimine. Ero una persona normale: lavoro, famiglia, qualche amico… in un attimo avete spazzato via anche i sogni, le speranze. Avete portato la morte nella mia famiglia, la rovina… non sono più lo stesso marito e lo stesso padre… Ho fatto quello che dovevo… Era mio diritto, di fronte a uno stato che protegge i delinquenti come voi e non i cittadini e che pensa solo a spolparti con le tasse, impedire che gli assassini restassero impuniti…»

(Carlotto, 2015, pp.82-83)

Si tratta di un tema che Carlotto aveva già affrontato e approfondito in L’oscura immensità della morte (2004), in cui Silvano Contin, dopo la morte violenta della moglie e del figlio, fa della vendetta la sua unica ragione di vita, un’ossessione che lo condurrà a superare ogni limite. E qui si potrebbe discutere per ore sul confine che separa innocenti e vittime, bene e male, e che nel noir di Carlotto diviene una zona nebbiosa dove appare molto difficile orientarsi.
Mi dispiace poi di non aver parlato delle donne protagoniste dei libri di Carlotto. In Per tutto l’oro del mondo, lo scrittore padovano ci presenta un universo femminile complesso e eterogeneo. Si parte dalla donna di jazz, versione femminile ed edulcorata del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde; si passa per l’intraprendente e “ignobile” vedova Gigliola Pescarotto; per finire con la perfida “sbirra” dell’epilogo, che sembra uscita dalle pagine della saga poliziesca di Biagio Mazzeo, creata da Piergiorgio Pulixi (Irene Piscitelli de La notte delle pantere?).
Donne e vendetta sono anche al centro del ciclo intitolato “Le vendicatrici”(scritto a quattro mani con Marco Videtta), una quadrilogia dedicata a donne che da vittime si trasformano in vendicatrici.
Potrei continuare per ore, come ho detto, ma lo spazio e la vostra pazienza sono al limite.
Spero, in ogni modo, di aver dimostrato(sempre che ve ne fosse bisogno!) come Per tutto l’oro del mondo sia molto di più di quanto possa apparire ad una lettura superficiale.

Oltre ai saggi e agli articoli citati, consiglio a chi fosse interessato a conoscere l’opera di Carlotto e il Noir Mediterraneo, alcune tesi disponibili in rete:

– Agnieszka Domaradzka, Il nuovo noir italiano: dal moderno al postmoderno?, Poznań 2012;
– Gabriele Vitello, Terrorismo e conflitto generazionale nel romanzo italiano, Università degli studi di Trento, 2010-2011;
– Isabella Pinto, Tendenze letterarie del noir italiano, dalla letteratura della crisi alla letteratura del conflitto, Università degli Studi di Roma La Sapienza, 2012-2013;
– Audrey Colas, Massimo Carlotto. Il giallo tra tradizione e modernità, Universitè De Provence, 2002-2003;
– Raffaella Persia, Il noir nella classe di lingua, Università Cà Foscari di Venezia, 2009-2010;
– Antonio Emiliano Di Nolfo, Sulle tracce del Noir. L’itinerario di Massimo Carlotto, Università degli Studi di Sassari, 2004-2005.

Compra su Amazon

Per tutto l'oro del mondo
557 Recensioni

Articolo protocollato da Alessandro Bullo

Alessandro Bullo è nato a Venezia. Si è laureato in lettere con indirizzo artistico, mantenendosi con mestieri occasionali; dopo la laurea ha lavorato per alcuni anni presso i Beni Culturali e poi per la Questura di Venezia. Successivamente ha vissuto per quasi dieci anni a Desenzano del Garda per necessità di lavoro. Attualmente vive a Venezia e lavora come responsabile informatico per un’importante ditta italiana. Sue passioni: Venezia, il cinema noir, leggere, scrivere. Autori preferiti: Dino Buzzati, Charles Bukovski, Henry Miller. Registi preferiti: Elia Kazan e Alfred Joseph Hitchcock. È arrivato per due volte in finale al premio Tedeschi e una al premio Urania. Nel 2012 con “La laguna degli specchi” (pubblicato sotto lo pseudonimo Drosan Lulob) è stato tra i vincitori del concorso “Io scrittore”.

Alessandro Bullo ha scritto 66 articoli: