nebbia-fiume-tolbiac-maletÈ uscita il 17 novembre di quest’anno una nuova edizione della Nebbia sul ponte di Tolbiac di Léo Malet, pubblicata da Fazi Editore.

Brouillard au pont de Tolbiac fu pubblicato, per la prima volta in Francia, nel 1956. Fa parte della serie di cui è protagonista Nestor Burma. Malet scrisse 30 romanzi con Nestor Burma. All’interno della serie creò un ciclo di 15 romanzi, intitolato i “Nuovi misteri di Parigi”. Ogni volume del ciclo è ambientato in un differente quartiere parigino (“arrondissement“). Nebbia sul ponte di Tolbiac è il nono dei “Nuovi misteri di Parigi”, ambientato nel XIII arrondissement.

TRAMA

Quando Nestor Burma riceve una misteriosa richiesta d’aiuto dall’ospedale della Salpêtrière, si precipita sul posto a dare un’occhiata. Ma è troppo tardi: Abel Benoit, un vecchio anarchico, è morto prima di poter parlare con lui. Cosa aveva da dirgli? E perché il mondo dell’anarchismo parigino, con il quale Burma è stato intimamente coinvolto, non è più quello di una volta? Che fine hanno fatto i suoi vecchi amici? Forse qualche indizio può fornirlo Bélita Moralés, seducente gitana che a sua volta nasconde tanti segreti e ha alle spalle una vicenda familiare dai risvolti inaspettati. O forse la pista giusta è legata a un altro caso: la scomparsa, avvenuta nel 1936 nei dintorni del ponte di Tolbiac, di una grossa somma di denaro. È un’inchiesta dura e dolorosa, quella che attende Nestor Burma. Ed è ambientata nel XIII arrondissement, il quartiere dove ha trascorso la sua adolescenza misera ma ricca d’ideali: un luogo pieno di ricordi, dove il passato spunta fuori all’angolo di ogni strada. Un’indagine durante la quale si imbatterà nell’amore e nella morte e dalla quale uscirà scosso come non mai.

La Nebbia sul ponte di Tolbiac e la città di Parigi

L’indagine poliziesca del romanzo è molto intrigante e costruita in modo solido. Alcune scene, inoltre, sono da antologia. Una per tutte, quella dello scontro tra NestorBurma e la cicciona con la frusta, che anticipa di mezzo secolo, per ironica demenzialità e caustica violenza, i film del primo Tarantino. Quando si finisce la Nebbia sul ponte di Tolbiac, ciò che rimane però più impresso è il modo in cui Parigi è stata raffigurata.

Il fiume trascinava acque color piombo. Ne saliva una timida Burma, che avrebbe di certo preso coraggio. Al port d’Austerlitz era ormeggiato un cargo battente bandiera britannica su cui si affaccendavano alcuni tozzi marinai, sfidando la maledetta pioggerellina che il cielo basso non cessava di far cadere. Poco oltre, verso il pont de Bercy, una gru scheletrica il ruotava sulla propria base, come un’indossatrice che presenta un nuovo abito.
Riuscii a caricare la pipa solo quando spuntarono nel mio campo visivo le gigantesche travi metalliche disposte a X che costituiscono la barriera mediana alla gare d’Austerlitz, sullo sfondo fumoso della prospettiva dei binari della linea di Orléans.

(Lèo Malet, Nebbia sul ponte di Tolbiac, Roma, Fazi Editore)

Malet ambienta i romanzi di Burma nella Parigi degli anni ’40 e ’50. E io credo che si potrebbe fare una ricostruzione storica della città di quegli anni, con le descrizioni che lo scrittore fa dei vicoli, i locali, i ponti, la Senna, gli edifici di Parigi. Malet svela, inoltre, anfratti nascosti della sua città, ci conduce in luoghi poveri e pericolosi.
La descrizione di Malet della città di Parigi, però, è molto più profonda. Malet non descrive soltanto una stupenda città autunnale, immersa nella nebbia. La Parigi della Nebbia sul ponte di Tolbiac è una città che riflette le angosce e le paure di quel periodo. La guerra è finita da pochi anni e lo scrittore l’ha vissuta sulla propria pelle. Sono anche gli anni di Jean-Paul Sartre e Albert Camus. La visione disperata di Malet è figlia della Guerra e dell’esistenzialismo francese. Milioni di persone sono morte o hanno sofferto nei campi di prigionia, senza poter fare nulla per cambiare il proprio tragico destino: “l’uomo è soggetto alla casualità del mondo, senza altre certezze che la morte.” (Fabio Giovannini, Storia del Noir. Dai fantasmi di Edgar Allan Poe al grande cinema di oggi, Roma, Castelvecchi, 2000, p. 90). E la città di Parigi, descritta da Malet, per quanto affascinante, riflette tutto questo. Il personaggio di Burma, mentre indaga sulla morte di un vecchio amico, sembra vagare in una specie di labirinto, costituito da vicoli, piazze, case fatiscenti, ponti. Burma si addentra con sicurezza in questo labirinto e sa sempre come uscirne, ma solo in apparenza. Le strette scale da cui scende o i vicoli oscuri che attraversa imprigionano, stritolando le ambizioni di cambiamento di chi, da sempre, ci vive e ci muore. Spesso si avverte un senso di soffocamento e schiacciamento.

Andammo a rue Watt … Per metà della sua lunghezza, a partire da rue Chevaleret, è ricoperta da numerose strade ferrate della linea d’Orléans a cui si aggiungono quelle della stazione merci. È sinistra, soprattutto all’imbrunire di una giornata di novembre. Ci si prova una sgradevole sensazione di soffocamento, di schiacciamento. Di tanto in tanto, nella prospettiva dei sottili pilastri che sostengono la ferrovia, la luce corta di un lampione a gas fa brillare i rivoli di infiltrazioni sospette che solcano le pareti di quel corridoio stretto e umido. Camminammo sul marciapiede sopraelevato, percorso da un parapetto, che domina il fondo della strada da oltre un metro. Sopra le nostre teste passò un treno con un fracasso infernale, facendo tremare tutto al suo passaggio.

(Lèo Malet, Nebbia sul ponte di Tolbiac, Roma, Fazi Editore)

È un mondo quello della città violento e in preda al caos, dove non sempre la legge riporta l’ordine.

L’affare Barbala, ve lo ricordate? Suzanne Barbala, una ragazzina di undici anni. Hanno trovato i resti del corpo, fatto a pezzi, sotto lo schermo del cinema Madelon, in avenue d’Italie, nel 1922. Non si è mai saputo chi abbia commesso il crimine.

(Lèo Malet, Nebbia sul ponte di Tolbiac, Roma, Fazi Editore)

Malet è molto bravo ad inserire i personaggi del romanzo nel loro contesto sociale e geografico. La società è vista negativamente dallo scrittore. Opprime le persone con regole e gerarchia, frustrando le loro aspirazioni. E le città sono i luoghi in cui questa “dittatura” politica, sociale e culturale si manifesta, e da cui pare impossibile fuggire. Si tratta di un altro tema tipico del noir.

Maestro nel raccontare il mondo secondo un surrealismo dai toni decisamente neri, Malet centra la sua poetica sul destino, lo scenario sociale e il percorso individuale confluiscono nel dramma… I personaggi di Malet sono fortemente oppressi dalle catene di un mondo gerarchico e codificato, la società, la guerra, le regole del matrimonio e della convivenza, le convenzioni sociali, le leggi e i codici, i regolamenti e le proibizioni, sono tutti veicoli di costrizione che spingono l’individuo verso la follia e la disperazione.

(Sabina Marchesi, Gli imperdibili, in Dizionoir. Noir, thriller, spy story e zone limitrofe. La più completa guida agli autori e alle storie dell’inquietudine, a cura di Smocovich M., Delos Books, 2006 p. 302)

Malet mostra come il cambiamento sociale sia solo un’utopia. I poveri che vivono nelle periferie non hanno possibilità di riscatto sociale. Il loro destino è segnato. La povertà è una prigione da cui è impossibile fuggire. Nei romanzi di Malet, il delinquente che cerca di rifarsi una vita è destinato a fallire; la ragazza povera e ignorante, per quanti sforzi faccia per emanciparsi, continua a rimanere legata al proprio oscuro passato. Nei romanzi di Malet non vi è vera redenzione. Questo modo di vedere il mondo è anche tipico del cinema francese. Uno dei film che forse più palesano l’influenza di Malet è Due contro la città (Deux Hommes dans la ville), un film del 1973 diretto da José Giovanni, con protagonisti Jean Gabin e Alain Delon. Il protagonista del film, un ex detenuto, sembra perseguitato dal un destino avverso e dal suo passato di delinquente, per cui ogni suo sforzo per crearsi una nuova vita è destinato al fallimento.

Nestor Burma

Capostipite del noir francese, è un antieroe anarchico come il suo creatore, cinico, talvolta violento, ma rispetto ai suoi modelli americani più gioviale, ironico e simpatico, vi è in fondo un po’ di Maigret in lui… C’è comunque in Burma una tipica componente del roman feuilleton, la spavalderia…

(Alberto Castoldi, L’investigatore, in Splendori e misteri del romanzo poliziesco, a cura di Alberto Castoldi, Francesco Fiorentino, Giovanni Saverio Santangelo, Mondadori, 2010 p. 227)

Nel 1943 Malet uscì da uno stalag tedesco. Lo stesso anno scrisse 120 Rue de la Gare (Fazi 2004). Iniziano con questo romanzo le avventure di Nestor Burma, uno degli investigatori francesi più famosi nel mondo. La creazione di Burma e del capolavoro la Trilogia Nera hanno fatto considerare Malet forse il migliore scrittore noir francese.
Burma è un tipo molto particolare. È testardo, spregiudicato e violento ma anche romantico e sensibile. Adora le donne: cerca continuamente con lo sguardo le loro gambe e ne immagina le forme sotto i vestiti.
Burma è in parte simile a Maigret: vive e ama Parigi, è burbero, fuma la pipa e prova empatia per gli sconfitti dalla vita e i reietti della società. Burma però non lavora per la polizia e non è sposato. È stato scritto che somiglia molto anche al detective Philip Marlowe di Raymond Chandler, sia per il cinismo che per l’ironia con cui affronta la vita. Da Marlowe eredita anche la convinzione che il mondo sia troppo corrotto per essere salvato, ma non per questo smette di combattere: “Malet riproponeva in chiave francese i personaggi della letteratura hard-boiled americana, facendoli muovere a Parigi, secondo un riferimento al modello d’Oltreoceano che rimarrà forte.” (Fabio Giovannini, Storia del Noir. Dai fantasmi di Edgar Allan Poe al grande cinema di oggi, Roma, Castelvecchi, 2000, p. 90). L’opinione che Malet si sia ispirato a Chandler è stata recentemente confutata, pare infatti che Burma sia stato inventato prima che i romanzi dello scrittore americano arrivassero in Francia (cfr. Giorgio Gosetti, Lèo Malet, in I colori del nero, cinema letteratura noir, a cura di Marina Fabbri e Elisa Resegotti, Milano, Ubulibri, 1989 p. 95). Anche se i romanzi di Chandler nel 1943 non erano ancora arrivati in Francia, il fascino per tutto ciò che proveniva d’oltreoceano risaliva a molti anni prima. Fondamentali, per comprendere il cruciale momento storico vissuto dalla letteratura e dal cinema francese,sono i ricordi adolescenziali del grande filosofo francese Jean Paul Sartre, in cui è chiaro quanto la Francia subì la fascinazione del mito americano.

Qualche mese prima, alla fine del 1913, avevo scoperto Nick Carter, Buffalo Bill, Texas Jack, Sitting Bulh non appena iniziate le ostilità, queste pubblicazioni sparirono… Per fortuna, si trovava dai rivenditori del lungo Senna la maggior parte dei fascicoli usciti. Trascinai mia madre lungo la Senna, ci mettemmo a frugare le cassette una per una, dalla gare d ‘Orsay alla gare d’Austerlitz: ci capitava di rimettere insieme quindici fascicoli a volta; ne ebbi ben presto cinquecento.  Li disponevo in pile regolari, non mi stancavo di contarli, di pronunciare ad alta voce i loro titoli misteriosi… questi eroi solitari erano vittime come me del conflitto mondiale e per questo li amavo di più.

(Jean Paul Sartre, Le parole, Il Saggiatore, 1968, p. 204).

Un altro aspetto molto importante e innovativo del personaggio di Nestor Burma è il suo passato politico. Il giovane Burma è stato un anarchico, uno di quelli che hanno anche lanciato bombe e non solo parlato alle riunioni. Poi ha compreso che con le bombe e la violenza il mondo non cambia. Dentro di lui è rimasta però l’insofferenza verso l’ordine e la giustizia falsati dal denaro e dal potere. È così diventato un private-eye, con l’intenzione di aiutare i più deboli e svelare l’ipocrisia del sistema. Malet è stato probabilmente il primo a creare un investigatore privato con un passato politico.

La Nebbia sul ponte di Tolbiac, la nostalgia per il passato e i grandi ideali giovanili

«Io sono vivo, ma dentro di me sono morte un sacco di cose. Del resto è novembre, no? E novembre è il mese dei morti».

(Lèo Malet, Nebbia sul ponte di Tolbiac, Roma, Fazi Editore)

Le pagine del romanzo sono pervase da una profonda nostalgia per il passato e, contemporaneamente, dalla triste consapevolezza che gli ideali giovanili sono svaniti, fagocitati dal tempo.
Burma vive in un mondo cinico e senza pietà, molto diverso da quello che aveva sperato da giovane. Anche i suoi amici dell’adolescenza sono cambiati, e l’avidità e la sete di potere hanno sostituito gli alti ideali di un tempo. Anche in questo romanzo, la storia inizia con una morte violenta, ma Burma trasforma l’indagine poliziesca in una ricerca della verità che va oltre la scoperta del nome dell’assassino.
Presente e passato si intrecciano sul Ponte di Tolbiac: una vecchia rapina, un nuovo omicidio. Il destino, dopo molti anni, ha deciso che i conti non tornano ed è tornato a riscuotere. I personaggi in balia del destino e legati al loro oscuro passato sono elementi caratteristici del NOIR sia americano che francese.

«Attaccamento al passato», dissi io. «Ed è colpa della nostra formazione. Qualsiasi cosa si diventi dopo, non ce ne liberiamo mai completamente».

(Lèo Malet, Nebbia sul ponte di Tolbiac, Roma, Fazi Editore)

Destino e passato sono poi legati alla tara ereditaria, alla luce e le tenebre che lottano dentro di noi; ai geni malvagi che ci inducono in tentazione e a fare il male. In questo senso, la letteratura francese aveva anticipato di decenni quella statunitense. Basti pensare a La bestia umana (La Bête humaine – 1890) di Emile Zola, in cui il protagonista vive il proprio istinto violento come qualcosa di naturalmente innato in lui. Il romanzo ebbe due eccezionali trasposizioni filmiche: L’angelo del male di Jean Renoir del 1938 e La bestia umana di Fritz Lang del 1954.

La Bête humaine, essa ha come supporto l’assunzione, unica in tutto il ciclo, del genere noir… il romanzo mette in scena due efferati delitti… la pulsione ad uccidere che accompagna la pulsione sessuale, non è altro che la manifestazione… di quella tara (félure) ereditaria che attraversa l’organismo psicofisico del Soggetto, e che solo qui, nella Bête humaine, come sottolinea Deleuze, acquista tanta evidenza da costituire essa stessa il tema del libro.

(Agosti Stefano, Il romanzo francese dell’Ottocento. Lingue forme genealogia, Il Mulino, 2010, p. 219)

Quasi unanimemente è la Trilogia Nera l’opera che fa considerare Malet il fondatore del NOIR moderno. Al centro delle tre storie vi è sempre il tema dell’incapacità dei personaggi di uscire dal ruolo in cui il destino e l’ereditarietà li ha rinchiusi. I romanzi di Nestor Burma, però, sono alla base della creazione della Trilogia Nera, senza di essi, probabilmente Malet non avrebbe scritto il suo capolavoro. Anche nella serie di Burma, la sorte di molti personaggi appare segnata fin dall’inizio. Nella Nebbia sul ponte di Tolbiac, quasi tutti i personaggi principali seguono untragico e inevitabile percorso, indicato dal destino, preannunciato nel passato, scritto dentro di loro.

Léo Malet e la serie di Nestor Burma, una svolta nel poliziesco europeo

Non crediamo di sbagliare affermando che il padre del noir francese moderno può essere considerato Léo Malet, un vero e proprio maestro per quella generazione di scrittori che ha iniziato a pubblicare tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta (Didier Daenincks, Jean-Patrick Manchette, Hervé Prudon e molti altri)… conosce il successo letterario grazie all’investigatore Nestor Burma, la risposta francese al “belga” Maigret. Attorno a questo personaggio – uno dei primi veri antieroi che beve, fuma, sbraita, ma non sbaglia un colpo – Malet costruì una trentina di romanzi…

(Marco Minicangeli, La Francia: il roman polar, in Roma Noir 2006, Modelli a confronto: l’Italia, l’Europa, l’America, a cura di Elisabetta Mondello, Roma, Robin Edizioni, 2006, pp. 57-58)

Nel 1945, all’interno della casa editrice Gallimard, nacque la celebre Sèrie Noire diretta da Marcel Duhamel. I romanzi scelti da Duhamel per la sua serie erano profondamente innovativi rispetto alla tradizione europea. Per prima cosa vennero importati gli americani Peter Cheyney, James Hadley, Hammett e Chandler. Storie nere, dure, colme di violenza e azione, che riflettevano la tragica esperienza della guerra mondiale.

Il programma che Duhamel presenta ai suoi lettori è chiarissimo: niente indagini alla Sherlock Holmes, niente moralità e buoni sentimenti. «Ci sono poliziotti più corrotti dei delinquenti che braccano. Il detective simpatico non risolve sempre il mistero. Spesso, non c’è neanche mistero. E a volte non c’è neanche il detective.»

(Stefano Benvenuti e Gianni Rizzoni, Il romanzo giallo. Storia, autori e personaggi, edizioni Club degli Editori, 1979, p. 152)

Sulla scia dell’incredibile successo, molti scrittori francesi tenteranno di emulare i colleghi americani. La maggior parte con ben scarso talento e successo. Pochi, tra cui Albert Simonin e Auguste Le Breton, diventeranno a loro volta dei maestri per gli stessi americani.
In Francia, in realtà, c’era un autore che aveva anticipato questa nuova corrente poliziesca. Leò Malet aveva già scritto il primo romanzo con protagonista Nestor Burma, 120 Rue de la Gare, nel 1943. Nestor Burma non nasce dal nulla nella mente di Malet. Lo scrittore di Montpellier, all’inizio degli anni Quaranta, aveva iniziato a collaborare alla collezione Minuit, sotto lo pseudonimo di Frank Harding. I suoi romanzi erano delle copie vere e proprie degli hard-boiled americani, con protagonista il reporter Johnny Métal: il ciclo dedicato a questo personaggio è ambientato negli Stati Uniti, in un mondo di gangster e criminali violenti.
Nel 1943, Malet ha un’idea semplice ma geniale, che avrebbe dato una svolta al poliziesco francese e successivamente europeo. Scrive un hard-boiled ma lo ambienta a Parigi. Mette al centro delle indagini un private eye nostrano, che beve vino rosso, fuma la pipa, contempla estasiato le gambe e il seno delle donne, si addentra nei quartieri più pericolosi di Parigi, si scontra fisicamente con i delinquenti: “lo scrittore è riuscito a filtrare attraverso la sua cultura strettamente europea la lezione dei grandi maestri del noir americano” (Pike Borsa, Leo Malet: un americano a Parigi, in Orsi G.F. – Volpatti L., C’era una volta il giallo II. L’età del piombo, Alacran, Milano, 2006, p. 206). E, per la prima volta, Malet non usa uno pseudonimo americano per pubblicare il libro ma il suo vero nome.
Purtroppo l’esperimento di Malet non ha la fortuna sperata. E lo scrittore, dopo aver pubblicato 120 rue de la Gare, torna a usare i soliti pseudonimi e ad ambientare le storie in città americane.

… l’invenzione di un protagonista investigatore privato (mestiere ben poco amato e assai raro sotto i cieli editoriali di Francia). Il personaggio… si chiama Nestor Burma e in qualche modo è il décollage dello scrittore, il suo ritratto replicato più volte da uno specchio: enragé, distruttivo, disperato, ma capace di ruvide tenerezze, odia allo stesso modo i potenti e gli assassini, e si schiera non con la polizia, ma con i ladruncoli e le prostitute. La sua prima avventura, 120, Rue de la Gare, esce nel 1943 e passa quasi inosservata, come quasi inosservati passeranno per un certo periodo i trentanove romanzi e racconti che la seguiranno…

(Laura Grimaldi, Il cuore nero di Parigi, in Il Sole 24 Ore, 26-03-2006)

Fortunatamente Malet, convinto che il personaggio di Burma sia una buona idea editoriale, lo riprende due anni dopo.
Malet, pur dovendo molto ai grandi autori hard-boiled americani, fu influenzato anche dai suoi conterranei. La scena “voyeuristica” del pedinamento, nelle prime pagine della Nebbia sul ponte di Tolbiac, sembra ispirarsi al romanzo La donna che visse due volte del 1954 (D’entre les morts (1954), scritto da Thomas Narcejac e Pierre Boileau.

La vidi fendere la marea di viaggiatori e dirigersi verso la pianta della rete metropolitana, con il passo morbido e aggraziato di una ballerina, indifferente alla curiosità che suscitava intorno a lei.
La gonna di feltro, animata dal dolce e armonioso movimento delle anche, era un po’ più lunga del trench e sfregava contro i comodi stivali di cuoio marrone, dalla forma elegante malgrado la mancanza di tacco.
Si fermò davanti alla pianta come per studiarla, ma il tutto sapeva molto di messinscena.

(Lèo Malet, Nebbia sul ponte di Tolbiac, Roma, Fazi Editore)

Negli anni Settanta, quando Malet venne riscoperto, fu chiaro che aveva inventato il Polar.

Argot, il linguaggio dei criminali parigini

Tipico dei romanzi di Malet è anche l’uso del linguaggio della malavita parigina, ossia l’argot dei criminali. Questo modo di far parlare i personaggi fece scuola e, dagli anni ’50, l’uso dell’Argot diventò praticamente obbligatorio per tutti gli scrittori del Polar. Albert Simonin, per rendere leggibile il suo capolavoro, Grisbi (Touchez pas au grisbi, 1953), fu costretto ad allegare al romanzo un breve dizionario. Anche questa tecnica narrativa deriva a Malet dai grandi scrittori dell’ottocento francese: l’argot parigino fu usato con successo da Victor Hugo, Honoré de Balza ed Émile Zola. È chiaro che questo linguaggio non è per niente facile da rendere in una traduzione italiana e quindi parte del fascino del romanzo va perduta.

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Nebbia sul ponte di Tolbiac
92 Recensioni
Nebbia sul ponte di Tolbiac
  • Malet, Léo (Autore)

Articolo protocollato da Alessandro Bullo

Alessandro Bullo è nato a Venezia. Si è laureato in lettere con indirizzo artistico, mantenendosi con mestieri occasionali; dopo la laurea ha lavorato per alcuni anni presso i Beni Culturali e poi per la Questura di Venezia. Successivamente ha vissuto per quasi dieci anni a Desenzano del Garda per necessità di lavoro. Attualmente vive a Venezia e lavora come responsabile informatico per un’importante ditta italiana. Sue passioni: Venezia, il cinema noir, leggere, scrivere. Autori preferiti: Dino Buzzati, Charles Bukovski, Henry Miller. Registi preferiti: Elia Kazan e Alfred Joseph Hitchcock. È arrivato per due volte in finale al premio Tedeschi e una al premio Urania. Nel 2012 con “La laguna degli specchi” (pubblicato sotto lo pseudonimo Drosan Lulob) è stato tra i vincitori del concorso “Io scrittore”.

Alessandro Bullo ha scritto 66 articoli: