Il noir italiano ha iniziato ad imporsi all’inizio degli anni 90 e si è conquistato, nei due decenni successivi, uno spazio senza precedenti sia nelle librerie che nella discussione mediatica. Molti autori, nel corso degli anni, si sono sempre più allontanati dai modelli hard-boiled americani, dando più spazio alla rappresentazione del mondo criminale e ai problemi politici e sociali dell’Italia, rispecchiando un’esigenza di maggiore aderenza alla realtà, sentita anche dagli altri generi letterari (Cfr. Donnarumma, 2008, p. 26).
Uno degli scrittori noir italiani più conosciuti è sicuramente Massimo Carlotto.

Gli inizi letterari di Carlotto e la realtà del profitto economico ad ogni costo…

Carlotto ha iniziato la sua avventura letteraria nel 1994 con il romanzo autobiografico Il fuggiasco (Edizioni E/O, 1994), cui sono seguiti dal 1995 alcuni capitoli del ciclo dedicato all’Alligatore. È stato, però, nel 2000, con la dichiarazione sulla poetica del “Noir Mediterraneo” di Sandro Ferri (Cfr. Sandro Ferri, Azzurro e nero: per una bibliografia del noir mediterraneo, 2000), direttore della casa editrice E/O, e l’inaugurazione di una collana con lo stesso nome, che il percorso dello scrittore padovano ha cominciato ad avere dei contorni più precisi.
Carlotto ha dichiarato, in numerose interviste, che gli articoli di nera e i fatti di cronaca costituiscono l’ispirazione per i suoi romanzi.

Massimo Carlotto… usa il romanzo come sostituto della ricerca giudiziaria, addirittura svolgendo indagini in proprio, sempre sulla base degli atti processuali dei casi già passati in giudicato.

(Casadei, 1999)

Nei romanzi di Carlotto, troviamo avvocati, giudici, poliziotti, imprenditori e amministratori pubblici corrotti. Uomini in preda ad una ineluttabile urgenza di far soldi a tutti i costi e in breve tempo. Solo questo pare contare. Giancarlo De Cataldo ha sottolineato recentemente come, pur nella evidente autonomia stilistica e narrativa, uno dei punti in comune di molta letteratura gialla italiana sia proprio quello di narrare la “corruzione patrimoniale, intesa come ansia del guadagno facile, spasmodica ricerca della «scorciatoia» verso le infernali lusinghe del paradiso del benessere”. Il quadro risultante è quello di una società che pare aver perduto di vista ogni valore morale e di conseguenza, come afferma lo stesso Cataldo, il senso “del limite, dell’annullamento di ogni tensione etica, sorretta dalla propensione a un agire sempre più violento e criminale, alimentata da una mistica della «svolta» che si traduce nell’indifferenza verso le conseguenze di qualunque gesto, anche il più estremo” (Di Cataldo, 2007)

Carlotto sceglie quindi di ambientare le sue storie nel ricco nord-est, in quella che è considerata ancora adesso la realtà economica portante del sistema Italia, perché dove gira denaro non può che esserci corruzione e violenza, e il legame tra i ricchi imprenditori locali e il crimine organizzato diviene inevitabile. Lo scrittore padovano evidenzia in questo modo come, sotto l’apparente floridezza economica e al di là delle belle ville venete, si nasconda un male che ha radicato le proprie radici in profondità, ammorbando il terreno anche più fertile (per approfondimenti vedi Milanesi, 2010, pp. 193-201).

L’Italia e la “zona grigia”

Ed è a questo punto che Carlotto introduce il concetto di “zona grigia”, ossia la zona in cuila criminalità entra in contatto con le istituzioni politiche, giudiziarie e i grandi investitori. Secondo Carlotto, l’attenzione degli scrittori noir dovrebbe spostarsi verso questa “zona grigia”, cercando di dare un quadro più preciso possibile di ciò che sta accadendo: i nuovi criminali usano il denaro per salire nella scala sociale, entrando nel mondo della politica e dell’imprenditoria, finendo anche per influenzare e alterare l’informazione che arriva al grande pubblico (Cfr. Pasolini, 2012). A mettere in evidenza questa situazione, più che i romanzi del ciclo dell’Alligatore, sono stati Arrivederci amore, ciao (2001), Alla fine di un giorno noioso (2011) e Respiro corto (2012). Protagonista dei primi due romanzi è Giorgio Pellegrini, che rappresenta in modo esemplare l’ascesa e la perfetta integrazione sociale di un criminale. In Respiro corto, i protagonisti sono quattro brillanti laureati in economia e commercio che formano una gang criminale, che usa la rete, le informazioni e l’alta finanza per conquistare Marsiglia.

Le grosse multinazionali del crimine hanno capito che non aveva più senso agire esternamente alla società civile e alle istituzioni… Così i grossi gruppi criminali hanno fatto uso della loro caratteristica più pericolosa: la versatilità. Hanno maturato una mentalità imprenditoriale e sono entrati nel mercato regolare… Si sono insinuati nei tessuti sociali, economici e istituzionali dei paesi di appartenenza, non combattendo più lo stato, ma impadronendosene a poco a poco.

(Piergiorgio Pulixi, L’eredità di Izzo, 1 dicembre 2008)

Leggendo i romanzi, si ha come la sensazione di un mondo capovolto, dove il paradosso è ilquotidiano. E, in un mondo in cui la corruzione sembra aver preso il sopravvento, secondo Carlotto, uno dei pochi modi con cui è ancora possibile denunciarla pare essere la letteratura.

Solo la finzione può raccontare la verità

Nel 2009, Saviano pubblica La bellezza e l’Inferno, una raccolta di scritti che vanno dal 2004 al 2009. In essi, lo scrittore dichiara che paradossalmente uno dei suoi luoghi privilegiati per raccontare la verità è il teatro, ossia il luogo della rappresentazione e della finzione. Nel discorso è implicito che ciò che importa è che la verità riesca a rendersi visibile a tutti, in qualsiasi modo e, soprattutto, in modi che la rendano leggibile. Allo scrittore spetta questo compito.

Verità è ciò che più mi ossessiona. È l’ossessione del mio libro… E soprattutto trovare gli strumenti per metterla a fuoco, trovare il punto di vista che non renda semplice ciò che è complesso, ma che lo renda visibile e leggibile. Perché la verità, qualsiasi verità, va innanzitutto letta. 

(Cfr. il capitolo La verità, nonostante tutto, esiste, in Saviano, 2009)

Franca Pellegrini, in un suo recente saggio dedicato al romanzo Nord-Est di Carlotto, dichiara che il romanzo contemporaneo, nell’intenzione dello scrittore padovano, ha la funzione “di porre di fronte al lettore questioni sociali di cogente attualità per il paese”(Pellegrini, 2010, p.218).
Il poliziesco, dunque, può diventare uno strumento che permette di prendere coscienza di quanto accade intorno a noi e di svelare le dinamiche occulte della criminalità, che i media e la giustizia sembrano non voler o essere in grado di denunciare. Paradossalmente, il romanzo di finzione diviene quindi il mezzo migliore per raccontare la verità.Il romanzo diventa così contro-informazione.

“L’Italia ha perso da tempo il senso della verità… I nostri romanzi assomigliano un po’ alle inchieste vecchio stile, che i giornali ormai non fanno quasi più, scoraggiati dalle querele e impossibilitati dalle trasformazioni del mondo dei media…”

(Cfr. intervista di Massimo Vincenzi, Carlotto: “Cerchiamo la verità e la gente si appassiona”, pubblicato da Repubblica il 3 agosto 2001)

Il romanzo come Memoria

I romanzi sono considerati da Carlotto un mezzo efficace per impegnarsi politicamente nella rappresentazione della realtà del Paese e, allo stesso tempo, un modo per creare una memoria parallela a quella istituzionale e giornalistica, mantenendo da queste ultime una distanza sufficiente per non essere inquinata o corrotta. Ed è interessante notare come uno dei compagni di avventura dell’Alligatore si chiami Max La Memoria. Max è un ex esponente dei movimenti extraparlamentari degli anni Settanta, condannato a seguito di una falsa dichiarazione di un pentito. Buratti si serve di lui, per la sua intelligenza e il suo immenso archivio storico, contenente tutti i fatti della cronaca nera del Veneto (e immagino che Carlotto possegga un archivio simile). Ma Max è anche una specie di allegoria del valore assegnato da Carlotto ai romanzi dell’Alligatore.

Max la Memoria: personaggio dai tratti reali e addirittura autobiografici, ma che nel libro di Carlotto svolge anche una funzione per così dire allegorica, se è vero che rappresenta la necessità di mantenere il ricordo (una “memoria” appunto) delle ingiustizie commesse per poter sperare di sanarle …

(Casadei, 1999)

La crisi del noir

Il successo editoriale dei romanzi noir in Italia ha visto nascere, quasi contemporaneamente, la discussione su ciò che si intende per “noir” italiano. In effetti, il termine noir viene spesso usato in modo improprio dal mondo editoriale, che cerca di spingere le vendite di romanzi che ben poco hanno a che fare con il genere. Come ha ben evidenziato Filippo La Porta: “oggi basta che un personaggio ami passeggiare di notte perché si metta l’etichetta noir” (La Porta, 2006, p. 61). Un parere molto simile lo troviamo espresso da Elisabetta Mondello: “In Italia, a partire dalla metà degli anni Novanta, si è man mano andato sostituendo l’uso indiscriminato del termine “giallo” con quello altrettanto incondizionato di noir, che ha finito per definire qualunque avventura di sangue” (Mondello, 2010, p. 29).
Agnieszka Domaradzka, in un suo saggio del 2011, ha cercato di mettere ordine e di definire che cosa sia effettivamente il noir italiano:

Il nuovo noir italiano in tutte le sue sfumature è dunque il genere letterario che continua la strada del giallo, che comunica con i lettori odierni presentando il mondo contemporaneo e servendosi delle nuove possibilità narrative ed extraletterarie… La nuova letteratura nera descrive in ogni atroce particolare la vita ai margini della società e le oscurità dell’anima umana con una chiave assai sperimentale abolendo i confini tra diversi generi, stili e registri e abbattendo qualsiasi barriera… Il nuovo noir testimonia come siamo noi oggi e come è la realtà che ci siamo creati, quindi rispecchia in pieno e in maniera terribilmente violenta la nostra epoca…

(Domaradzka, 2011)

Ma ciò che ha creato più disagio nel mondo letterario è stata la domanda su quale sia l’effettivo contributo del romanzo noir di denuncia sul mondo reale (Cfr. Mondello, 2014, pp. 18-23). Gianluigi Simonetti ha sostenuto che il realismo “impegnato” dei romanzi contemporanei e, tra questi, anche dei noir, mostra evidenti ambiguità di fondo, soprattutto perché appare legato al mondo virtuale dei media, tanto che si ha l’impressione che vi sia una “esigenza di reality più che di realtà”, con una propensione a rappresentare più che accertare. Da qui il titolo emblematico del saggio “Il realismo dell’irrealtà”.

Il problema riguarda soprattutto il vasto filone del noir impegnato, ma anche tanto romanzo neoborghese… se si pensa che la denuncia vibrante, la protesta contro l’ingiustizia sociale… innestati in una cornice documentaria, esauriscano i compiti dello scrittore; se si pensa che uno stile responsabile e morale, antiretorico o inventivo, sia già di per sé un atto politico, e quindi un esempio di sano realismo… I risultati sono spesso… una letteratura evasiva, turistica, che spettacolarizza il male e ottiene il contrario di quello che vorrebbe.

(Simonetti, 2012, p. 119)

Secondo Raffaele Donnarumma l’effetto sarebbe ancora più negativo: inserire la denuncia sociale e politica nell’affabulazione letteraria rischierebbe, infatti, di annullare la reazione e il “conflitto” del lettore, all’interno dei confini rassicuranti della narrazione stessa, e il noir non sarebbe “contro-storia” ma si limiterebbe ad essere “anti-storia” (Donnarumma, 2008, pp. 34-36).
Negli ultimi dieci anni, inoltre, sempre più critici e scrittori hanno denunciato una “certa “stanchezza” della letteratura criminale” e come il noir “per preservare la sua vitalità di genere letterario e la sua valenza critica, debba forzare i propri confini e tradire i propri modelli” (Amici, 2012).

Questo ha portato molti scrittori a rivedere la propria produzione letteraria e a fare delle scelte. Alcuni hanno deciso di tornare alle origini del romanzo poliziesco, ripiegando su quella che è stata definita “letteratura irriflessa”, sintomo di un “declino sociale inarrestabile, soprattutto in termini di valori, che però è diventato insostenibile per il suo messaggio destabilizzante”; letteratura il cui successo è legato al bisogno del lettore di evadere dal mondo malato che lo circonda, “dall’accresciuta tensione che è provocata dall’ansia determinata dalla crisi in termini di insicurezza del proprio presente e soprattutto del proprio futuro”(Carlotto, 2013, pp. 11-12).

Altri hanno, invece, deciso di rivedere le regole del genere, discutendo su quale avrebbe potuto essere il futuro del noir. Tutte queste discussioni hanno portato alcuni scrittori a sfidare se stessi e i gusti del pubblico, sperimentando nuove tecniche narrative. Uno di questi scrittori è Massimo Carlotto.

Letteratura della crisi, letteratura del conflitto

Finora ci siamo accontentati di raccontare le trasformazioni criminali prodotte dalla globalizzazione dell’economia… credo sia arrivato il momento di affrontare un nodo culturale mai sufficientemente affrontato nel genere: la redenzione. Che non significa solo liberazione dal peccato ma dalla tirannide, da una condizione di degrado morale. Esattamente quella che stiamo vivendo oggi in quest’Italia. Ma non ci può essere redenzione senza conflitto. Con il potere, con la criminalità, con il lettore.

(Massimo Carlotto, Noir. Dalla crisi al conflitto, pubblicato da Il Manifesto il 25 maggio 2011)

Questa dichiarazione di Carlotto del 2011 sembra quasi una risposta diretta alle conclusioni di Donnarumma, di qualche anno prima, sullo stato della narrativa italiana contemporanea: “ai narratori italiani, pare spesso mancare coraggio… ci servirebbe guardare con occhi ben aperti il mondo, e la miseria, in cui siamo. La realtà, allora, smetterà di essere ciò cui si oppongono difese, esorcismi o scongiuri, per diventare ciò che la scrittura interroga senza stancarsi…”(Donnarumma, 2008, p. 54).

Dopo il successo nel 2006 di un libro come Gomorra, che preferisce l’inchiesta giornalistica al noir, autori come De Cataldo (si veda soprattutto l’articolo Raccontare l’Italia senza avere paura di sporcarsi le mani, pubblicato da La Repubblica, 8 giugno 2008) e Carlotto hanno espresso più volte la loro intenzione di andare “oltre” il noir.

A partire dal successo di Gomorra e del Divo, con un’analisi che sottoscrivo pienamente, De Cataldo, mette… in evidenza che è possibile raccontare l’Italia senza timore della nicchia e, citando Lucarelli, avventurarsi nelle «domande cattive che gli altri tacciono»… E oggi sono ancora più convinto di ieri della possibilità di sviluppi e sperimentazioni che allarghino l’orizzonte dell’indagine e il suo inserimento nella struttura narrativa…

(Massimo Carlotto, Legalità d’evasione, dal Manifesto, 13 giugno 2008)

Per comprendere quanto sia importante questo punto, è sufficiente ricordare che la nona edizione di Roma Noir, tenutasi nel febbraio del 2013, aveva come titolo “Letteratura della crisi, letteratura del conflitto”, prendendo appunto ispirazione dall’articolo “Noir. Dalla crisi al conflitto”di Carlotto (2011).
Secondo Elisabetta Mondello, questa nuova idea si concretizza nei romanzi di Carlotto, a partire da Respiro Corto (2012), seguito dalla quadrilogia de Le vendicatrici(2013), e nel campo editoriale con il progetto della nuova collana Sabot/Age della casa editrice E/O (Cfr. Mondello, 2014, pp. 13-45).
Ma qual è il passaggio dalla letteratura della crisi a quella del conflitto? Esso consiste, almeno nelle linee programmatiche, nel creare romanzi che non si limitano a criticare la situazione politica e sociale, ma cercano di entrare nel vivo del conflitto, divenendo uno strumento di lotta. La stessa denominazione della nuova collana, richiama la parola sabotaggio: gli scrittori di Sabo/Age, infatti, cercano di sabotare la menzogna e la reticenza di certa informazione mediatica, rivelando ai lettori “una visione del conflitto determinato dalla crisi, basato sul controllo e il consenso, opponendo quello che per scelta o distrazione non viene raccontato”(Carlotto, 2014, p. 106). La letteratura del conflitto ha il compito di portare “alla luce la menzogna edulcorante dell’informazione massmediatica, se non la vera e propria omissione, spingendo la narrazione verso gli aspetti più violenti e immorali.” (Pinto, 2012-2013, p. 68).

Questo è sicuramente uno dei nodi cruciali della letteratura del conflitto: il crimine organizzato è cambiato, non cerca più lo scontro aperto ma il consenso; i capi sono giovani che hanno frequentato l’università (si veda Respiro corto), conoscono il potere mediatico e sanno usarlo. Tutto ciò è aggravato dal fatto che la realtà politica italiana mostra un superamento della dialettica politica propria del liberalismo, per cui pubblico e privato risultano legati dai medesimi scopi, ossia il profitto economico.
Altro punto fondamentale è che, mentre la letteratura della crisi si accontentava di descrivere il mondo criminale e come esso si fosse trasformato con la globalizzazione dell’economia, lo scopo di romanzi come Perdas de Fogu (2008) e Respiro corto (2012) è quello di far entrare nel conflitto il lettore, trasformandolo da mero fruitore in uno dei personaggi del libro: l’inquinamento, la corruzione politica, la contraffazione alimentare, la distruzione della natura riguardano tutti. Il lettore, in quanto cittadino che vive in quello stesso mondo di cui il romanzo denuncia i torti e le storture, è costretto a prendere coscienza di quanto sta accadendo e, allo stesso tempo, ad assumersi le proprie responsabilità.

È proprio perché si tratta di fatti e non di fiction il ruolo del lettore/spettatore è diverso… il protagonista vero e possibilmente la vera vittima, insieme al Paese, degli eventi illustrati. Ed un auspicabile partecipante alla loro risoluzione.

(Di Ciolla, 2014, p. 94)

Il romanzo non deve solo raccontare la realtà ma anche riuscire a modificarla. La letteratura non può limitarsi a svelare, deve anche influenzare il lettore, i suoi pensieri e le sue azioni. Esempi di libri che sono riusciti in questo intento sono Gomorra (2006) di Saviano e Perdas de Fogu (2008).

La letteratura del conflitto, la complessità del reale e la necessità di sperimentare

Uno dei problemi fondamentali con cui si scontra la narrativa contemporanea è la difficoltà di riuscire a rappresentare la realtà: “un grumo di realtà che non si lascia catturare e sciogliere da nessuna finzione” (Donnarumma, 2008, p.49).
Per quanto riguarda Gomorra, il suo potere di raccontare e trasformare la realtà non può essere disgiunto dal fatto che sia il libro che l’autore sono divenuti dei veri e propri fenomeni mediatici, produttori di narrazioni transmediali. Il libro è stato trasformato in un film e in una serie televisiva di successo; Saviano ha avuto la possibilità di raccontare, in trasmissioni televisive importanti, la realtà italiana.
Anche Carlotto si è reso conto di quanto sia importante poter utilizzare ogni mezzo a disposizione per poter raccontare la realtà e arrivare alla verità. La produzione letteraria dello scrittore lo dimostra nella sua estrema eterogeneità: romanzi, piéce teatrali, fumetti, sceneggiature per cinema e tv. Per questo, uno degli elementi distintivi della nuova collana Sabot/Age è che la narrazione del “conflitto” non avvenga più solo tramite il noir, ma attraverso ogni genere letterario, perché di fronte alla complessità della crisi politica e sociale dell’Italia, gli scrittori devono poter usare tutte le forme narrative. Si tratta, in ogni modo, di una tendenza propria del romanzo e del suo naturale istinto a sopravvivere in un mondo culturale che cambia velocemente.

Il romanzo è sempre stato un genere ibrido, ma mai come oggi tenta di incrociarsi con gli altri mezzi di espressione – dalla musica di consumo al cinema, dalla televisione ai fumetti – per recuperare una energia e un prestigio semiotico che sente di avere almeno in parte perduto.

(Simonetti, 2012, p. 118)

Da qui l’esigenza per chi scrive di lasciare la vecchia strada e sperimentare nuovi stili, generi e “mezzi”, se vuole continuare a fare contro-informazione. Accade così che, in questi anni, la produzione di Carlotto tenda a dividersi in due filoni principali: i noir come la serie dell’Alligatore e quelli con protagonista il cattivo Giorgio Pellegrini; i romanzi d’inchiesta come Mi fido di te (2007), Perdas de Fogu (2008), L’albero dei microchip (2009) e Respiro corto (2012). In realtà i due filoni si intrecciano e influenzano a vicenda, prova ne sia il ciclo “Le vendicatrici” (scritto a quattro mani con Marco Videtta), e l’intervista rilasciata da Carlotto recentemente a Nicolò Menniti-Ippolito.

«”L’Alligatore tornerà nel 2017» dice lo scrittore padovano «perché ho bisogno di pensare a una evoluzione delle sue storie. Continuerà a tallonare i mutamenti della società italiana, ma in modo diverso. È vero che i lettori sono tradizionalisti, ma la serialità per sopravvivere ha anche bisogno di novità e di sperimentazione.”.

(Nicolò Menniti-Ippolito, Rapina e delitti in villa Un nuovo caso per l’Alligatore, pubblicato da Il Mattino di Padova il 5 novembre 2015)

Allo stesso modo, all’interno della collana Sabot/Age, troviamo romanzi come Non passare per il sangue di Eduardo Savarese, che affronta il tema dell’omosessualità, a fianco dei testi pulp di Strukul, al crime forsennato e crudele di Pulixi, al poliziesco di Mazza. Colomba Rossi ha dichiarato che la pubblicazione di romanzi tanto eterogenei corrisponde all’esigenza di proporre “letteratura di contenuti e non di genere” e storie di qualità (Cfr. Intervista a Colomba Rossi di Marilù Oliva).

La letteratura del conflitto e la bellezza dell’inferno

C’è un punto su cui mi preme attirare l’attenzione.Il lettore di Perdas de Fogu è trascinato attraverso una narrazione mai consolatoria o illusoria; l’intento è quello di scioccare e indignare chi legge, conducendolo verso “uno stato di impotenza rispetto la trasformazione della realtà” (Cfr. Pinto, 2012-2013, p. 39). Un passaggio ulteriore lo troviamo in Respiro corto (2012), opera cui lo stesso Carlotto attribuisce la funzione di transizione dalla letteratura di crisi a quella del conflitto. La prima differenza rispetto ai romanzi precedenti, viene individuata nel superamento della confusione tra bene e male, insita nel genere noir. Carlotto scrive un romanzo “in cui lo sfondo della narrazione organizza le vicende al di là del bene e del male, all’interno della morale dell’utile personale, creando così una realtà globale di stampo pessimistico” (Pinto, 2012-2013, p. 57). I personaggi di Respiro corto hanno un unico scopo nella loro esistenza: il profitto economico. Il secondo punto che caratterizza il romanzo è l’uso di una narrazione che non si concede giudizi morali, di un’estrema oggettività, che dà ancora maggior peso alla constatazione che pare essere solo il denaro il fulcro attorno cui gira il mondo.
La mia opinione è che, per quanto oggettiva e realistica sia la narrazione, il noir non debba mai fare a meno di due elementi indissolubilmente legati tra loro: la speranza e la dignità umana. Lo stesso Pulixi, che ha partecipato alla stesura di Perdas de Fogu, pur sostenendo che la verità non va smorzata, “anche a costo di profilare una situazione maledettamente negativa, senza nessuna possibilità di consolazione” (L’eredità di Izzo, , 1 dicembre 2008), dichiara che nella filosofia stessa del noir esiste la speranza. Questa speranza, secondo lui, risiede nella condivisione della verità e dei sentimenti di rabbia e frustrazione nei confronti delle ingiustizie. Perdas de Fogu non ha, infatti, come unico scopo la denuncia di quanto accade, ma anche il coinvolgimento del lettore, che ha la sensazione di “assistere in prima persona alla ricostruzione di una verità che scuote, che pone delle domande e che talvolta infastidisce, perché ha a che fare con la vita reale…” (Chiacchiararelli, 2011, pp. 281-282). A proposito della verità, mi piace citare Jessica Jones, la protagonista di una serie televisiva basata sull’omonimo personaggio della Marvel Comics. Si tratta di un fumetto noir che affronta in modo anche brutale il tema degli abusi sessuali.

Conoscere la verità ci costringe a prendere una decisione. Uno, continuiamo a negare. Due, facciamo qualcosa al riguardo.

(Tratto da Jessica Jones, 1° puntata – Le signore bevono gratis, Marvel Television and Netflix, 2015)

Constatato che conoscere la verità è fondamentale, dobbiamo renderci conto che lo è altrettanto avere speranza. Ad uno dei capitoli del suo libro, La bellezza dell’inferno, Saviano ha dato un titolo emblematico: “La verità, nonostante tutto, esiste”. Il fatto che nonostante tutto la verità esista deve farci sperare in un futuro migliore, in cui le persone torneranno a “vivere” il proprio mondo. Dobbiamo avere fede in un mondo simile, altrimenti siamo già morti. Per comprendere meglio ciò che intendo sostenere, cito di nuovo Saviano che, nell’introduzione di La bellezza dell’inferno, spiega il titolo del libro.

Il titolo di questo libro vuole dire una cosa semplice. Vuole ricordare che da un lato esistono la libertà e la bellezza necessarie per chi scrive e per chi vive, dall’altro esiste il loro contrario, la loro negazione: l’inferno che sembra continuamente prevalere. In uno dei suoi libri più importanti, L’uomo in rivolta, Albert Camus… racconta la seguente storia. Parla di un sottotenente tedesco finito in Siberia, in un campo dove “regnavano il freddo e la fame”, che “si era costruito, con tasti di legno, un pianoforte silenzioso. Là, nell’infoltirsi della miseria, in mezzo a una turba cenciosa, componeva una strana musica che era il solo a udire”. “Così” continua Camus, “gettate nell’inferno, misteriose melodie e immagini crudeli della bellezza fuggita ci arrecheranno sempre, in mezzo al delitto e alla pazzia, l’eco di quell’insurrezione armoniosa che attesta lungo i secoli la grandezza umana.” 

(Saviano, 2009)

In un altro capitolo del suo libro, Saviano ci racconta la storia della “fragile” e vecchia Felicia che ha lottato contro la mafia tutta la vita, per riscattare il nome di suo figlio, e che non ha avuto paura di puntare “il dito contro Badalamenti” durante il processo.
L’uomo è capace di bestialità e nefandezze impressionanti ma anche di grandi gesti, che ci fanno sperare e avere fede. Se la narrazione, come accade spesso nel noir, dovesse continuare a rimanere imperniata su un eterno senso di sconfitta e di perdita di tutti i valori, descrivendo come “la società sia arrivata ad un punto tale di corruzione che nessuno sarà in grado di cambiare” (Cfr. l’interessante articolo Il noir e il territorio pubblicato su Noir Italiano), difficilmente si potrà pretendere un coinvolgimento del lettore. Non sto dicendo che i romanzi noir debbano avere un lieto fine. SAREBBE ASSURDO! Romanzi come Perdas de Fogu, Respiro corto, Mi fido di te (2008) e L’albero dei microchip (2009) sono necessari per svegliare dal torpore e dall’indifferenza il lettore. Ma questo non è sufficiente. Senza contare che la pubblicazione di un numero elevato di romanzi di questo tipo potrebbe comportare una assuefazione,o comunque creare una sensazione di disagio nei confronti di una realtà che appunto nessuno, neppure l’eroe del romanzo, sembra in grado di cambiare.

Qual è allora la soluzione? Com’è possibile continuare a scrivere romanzi di denuncia, senza cadere in questa contraddizione di fondo? La risposta non è per niente facile e neppure immediata. Io so soltanto che non dobbiamo mai dimenticare il valore della speranza e della dignità umana, anche in mezzo all’inferno più nero. La remissività e la disillusione sono le armi migliori nelle mani di chi desidera togliere ogni diritto al cittadino. “L’indifferenza è il cancro della democrazia” ha dichiarato lo stesso Pulixi (L’eredità di Izzo, 1 dicembre 2008). Solo se un popolo crede e ha speranza nel cambiamento, questo può avvenire.

La letteratura del conflitto, un percorso in continuo divenire

Sono sincero, dopo aver letto diversi romanzi di Carlotto e alcuni di quelli pubblicati nella collana Sabot/Age, mi sono sentito disorientato. Leggendo saggi e interviste, mi sono fatto una certa idea di ciò che dovrebbe essere la letteratura del conflitto e non sempre coincide con quanto viene pubblicato nella collana Sabot/Age. La spiegazione che mi sono dato è che la letteratura del conflitto sia in evoluzione e stia cercando un suo modo di esprimersi. Come è già accaduto con il Noir Mediterraneo, genere in continua trasformazione fin dall’anno 2000,e la cui forza sembra scaturire proprio dall’impossibilità “di trovare un legame comune fra gli autori… per quanto riguarda il loro stile” (Khadra, 2013, p. 232), la letteratura del conflitto mi sembra abbia come scopo principale, almeno per il momento, di riuscire ad adattarsi ad un mondo che cambia in modo vertiginoso.

“Cambiamento”, “ibridazione”, “sperimentazione” sono lo slogan di questa conversazione con Carlotto… l’intervista di Amici… riconosce come caratteristica fondante dell’identità dei generi la dinamicità e traccia la loro evoluzione come un percorso in continuo divenire, in cui mescolanza e metamorfosi diventano potenzialità e risorse necessarie.

(Pasolini, 2012)

Sperimentazione e dinamicità ecco le parole chiave! Di conseguenza, credo che, per poter valutare in modo oggettivo l’esperienza della collana Sabot/Age e della letteratura del conflitto, dovremo aspettare ancora alcuni anni.

BIBLIOGRAFIA

– Amici Marco, Massimo Carlotto e il linguaggio del Noir, in Massimo Carlotto. The Black Album. Il Noir tra cronaca e romanzo. Conversazione con Marco Amici, Carrocci editore, 2012;
– Carlotto Massimo e Mama Sabot, Perdas de fogu, Edizioni E/O, 2008;
– Carlotto Massimo, Arrivederci amore, ciao, Edizioni E/O, 2001;
– Carlotto Massimo, Alla fine di un giorno noioso, Edizioni E/O, 2011;
– Carlotto Massimo, Respiro corto, Einaudi, 2012;
– Carlotto Massimo, Prefazione, in Ernest Mandel, Il romanzo poliziesco. Una storia sociale, Edizioni Alegre, 2013;
– Carlotto Massimo, Noir, dalla letteratura di genere alla letteratura di contenuti, in AA.VV., Roma Noir 2012/2013. Letteratura della crisi, letteratura del conflitto, Robin Edizioni, 2014;
– Carlotto Massimo, Per tutto l’oro del mondo, Edizioni E/O, 2015;
– Casadei Alberto, Dal paradigma indiziario alla giustizia impossibile: mutamenti di un genere, L’indice dei libri del mese – Settembre 1999;
– Chiacchiararelli Marialaura, Il mediterraneo di Carlotto si tinge di nero, in Hanna Serkowska (a cura di), Finzione, Cronaca, Realtà. Scambi, intrecci e prospettive nella narrativa italiana contemporanea, Transeuropa edizioni, Massa 2011;
– Colas Audrey, Massimo Carlotto. Il giallo tra tradizione e modernità, Universitè De Provence, 2002-2003;
– Di Cataldo Giancarlo, Prefazione, in Crimini, a cura di Giancarlo Di Cataldo, Einaudi, 2007;
– Di Ciolla Nicoletta, Se il vero è più nero del noir. Nuove strategie per il “risveglio democratico” dell’Italia, in AA.VV., Roma Noir 2012/2013. Letteratura della crisi, letteratura del conflitto, Robin Edizioni, 2014, pp. 75-95;
– Di Nolfo Antonio Emiliano, Sulle tracce del Noir. L’itinerario di Massimo Carlotto, Università degli Studi di Sassari, 2004-2005;
– Domaradzka Agnieszka, Le sfumature del nuovo noir italiano. Dal giallo al nero in Romanica.doc, n° 2(3), 2011;
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Donnarumma Raffaele, Nuovi realismi e persistenze postmoderne: narratori italiani di oggi, in Allegoria XX, 57, 2008;
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Articolo protocollato da Alessandro Bullo

Alessandro Bullo è nato a Venezia. Si è laureato in lettere con indirizzo artistico, mantenendosi con mestieri occasionali; dopo la laurea ha lavorato per alcuni anni presso i Beni Culturali e poi per la Questura di Venezia. Successivamente ha vissuto per quasi dieci anni a Desenzano del Garda per necessità di lavoro. Attualmente vive a Venezia e lavora come responsabile informatico per un’importante ditta italiana. Sue passioni: Venezia, il cinema noir, leggere, scrivere. Autori preferiti: Dino Buzzati, Charles Bukovski, Henry Miller. Registi preferiti: Elia Kazan e Alfred Joseph Hitchcock. È arrivato per due volte in finale al premio Tedeschi e una al premio Urania. Nel 2012 con “La laguna degli specchi” (pubblicato sotto lo pseudonimo Drosan Lulob) è stato tra i vincitori del concorso “Io scrittore”.

Alessandro Bullo ha scritto 66 articoli: