Fotografia di Léo MaletLéo Malet è nato a Montpellier il 7 marzo 1909 e si è spento, sempre nel mese di marzo, a Parigi il 3-3-1996. La vita non è certo gentile con quello che in seguito sarà considerato uno dei maggiori autori del romanzo poliziesco fra gli anni Quaranta e i Cinquanta. Perlomeno non è gentile all’inizio, pronta a renderlo orfano nel giro di poco tempo: quando Léo Malet ha due anni perde il padre, impiegato, per tubercolosi e un anno dopo muore sua madre, sarta, sempre per la stessa malattia.

Tocca quindi al nonno prendersi cura di Léo e nella sfortuna e nel dolore il nostro assorbe dal parente un grande amore per la lettura. A sedici anni Malet però scalpita: Montpellier gli sembra piccola e poco adatta ai suoi grandi sogni. Malet vuole diventare un cantante e scappa a Parigi, nei cabaret di Montmartre, a cercare fama e gloria.

Prima della notorietà incontra però la povertà e un’esistenza fatta di mille lavoretti di basso livello, una vita di espedienti, di nottate sotto i ponti e di qualche soldo guadagnato facendo lo strillone (si tratta comunque di usare la voce per guadagnarsi il pane) e il magazziniere, il vagabondo e l’impiegato, il manovale e il giornalista.

È il giusto apprendistato per poi, queste esistenze, cantarle nei cabaret, come hanno fatto molti prima di lui e come faranno tanti altri dopo ma niente da fare, vuoi per sfortuna, vuoi, più probabilmente, per scarsi mezzi e poche capacità, Malet non diventa un proto Georges Brassens.

Con Brassens condivide però una certa anima anarchica, anche se il giallista ama definirsi un “anarchico conservatore”, qualsiasi cosa quest’ossimoro voglia dire, e passa dal cabaret alla poesia, abbracciando nel frattempo il Surrealismo e finendo abbracciato dai surrealisti, così come prima era stato abbracciato dagli anarchici, André Colomer in particolare. Arrivano gli amici, Breton, Dalí, Tanguy, Prévert; arriva anche il matrimonio, con Paulette Doucet: in due si sogna meglio e insieme alla moglie Malet fonda il Cabaret du Poète Pendu.

Ma nemmeno la poesia è la musa adatta e rimane poca memoria dei suoi componimenti, che impattano più per le ambizioni e per i titoli delle raccolte (Ne pas voir plus loin que le bout de son sexe del 1936 e J’Arbre comme cadavre del 1937) che per l’efficacia delle rime. Dicevamo qualche paragrafo fa che la vita non è stata gentile con questo scrittore, e torna a non esserlo in questo periodo, che gli riserva un duro internamento in un campo di concentramento nazista.

All’uscita dal campo finiscono le tribolazioni per il Nostro, che scopre di poter fare qualche soldo con la scrittura: polizieschi e gialli, in primis, ma anche cappa e spada e altri generi popolari. Il periodo in cui scrive la sua serie più famosa, quella delle inchieste di Nestor Burma, ha imposto pavlovianamente a molti critici l’obbligatorio paragone con un suo contemporaneo di una certa fama, Georges Simenon, paragone ingiusto per un bel po’ di motivi.

Diverse le classi d’appartenenza dei due, diverse l’infanzia e l’adolescenza e quindi le letture, le frequentazioni, gli esiti.
Malet è un proletario orfano, influenzato dalle brutture della metropoli, che cerca di incollare, senza molta costanza e impegno, pezzi d’anarchia, di surrealismo, di letture raffinatissime accanto a pulp, noir e hard boiled e sì, diventa più chiaro quel suo “anarchico conservatore”: è uno che quando scrive finge di ribellarsi per poi conformarsi a determinati dettami stilistici e contenutistici, che ama un po’ troppo i suoi personaggi e fondamentalmente scrive per mangiare, e una volta che comincia a mangiare bene ci prende gusto.

Simenon è un borghese che i genitori li ha eccome, in particolare una mamma ingombrante, con letture più (perdonatemi il termine tanto orrendo quanto efficace) alte, che canta i piccoli e squallidi malori della borghesia in modo sempre più raffinato e con capacità ben più notevoli, e che non ama idealizzare.
Mi viene in mente Profondo Rosso, la scena nella quale Carlo e Marc si confrontano sulla loro attitudine nei confronti della musica. Allontaniamoci quindi da questo paragone, dimentichiamolo, altrimenti non rendiamo giustizia a nessuno dei due, e torniamo al 1941.

Léo Malet comincia a scrivere e non si ferma più. Come capita spesso usa vari pseudonimi: John Silver Lee, Omer Refreger, Lionel Doucet, Leo Latimer, Louis Refreger, Jean de Selneuves e, in particolare, Frank Harding.
Con quest’ultimo patronimico firma una decina di titoli aventi come protagonista il reporter newyorkese Johnny Métal. Cercando anche noi di non idealizzare, ammettiamo che si tratta di romanzi poco significativi se non per Malet stesso, così contento del protagonista che ha un cognome anagrammato sul suo da farlo persino andare in trasferta a Parigi, condendo lo stile, imitativo al punto da risultare parodico, con riferimenti alla sua vita personale, di dubbia efficacia e utilità.

Johnny Métal è però allo stesso tempo importante, perché rappresenta la necessaria palestra per arrivare al ben più riuscito Nestor Burma.
protagonista di una trentina di titoli a partire da 120, rue de la Gare, apparso nel 1943, Burma è un investigatore privato più riuscito e in parte specchio del suo creatore.

Anche lui anarchico sui generis che cerca di tenere insieme rifiuto dell’autorità con i rapporti con la Legge, amore per la libertà e lo sbattere in prigione chi se la cerca, veste i panni romantici e un po’ troppo comodi del rivoluzionario che alla rivoluzione mai arriva, che la rimanda fra un bicchiere di troppo e qualche deriva cinica.
Si muove lungo trame non sempre straordinarie ma comunque efficaci, si aggira per una Parigi incisiva e realistica, divisa fra mille tensioni, con uno sguardo al proletariato (e ai lumpen) e uno alle classi più agiate, il tutto in un periodo storico che ancora poco o nulla sa di quel che accadrà nel Sessantotto.

La serie di Nestor Burma brilla in particolare nel ciclo interno dedicato ai nuovi misteri di Parigi, che dura dal 1954 al 1959 e che doveva comporsi, nelle intenzioni dell’autore, di venti romanzi, ognuno dedicato a un differente arrondissement di Parigi,
Intenzioni che rimangono parzialmente nella macchina da scrivere: Léo Malet non completerà il ciclo, molto probabilmente per pigrizia, e in questo gesto c’è gran parte di quel che serve per collocare e valutare la sua opera evitando esaltazioni così come stroncature.

Malet non aveva (per fortuna) il demone della scrittura, alle volte si divertiva a romanzare ma talvolta si annoiava, i soldi facevano comodo ma non aveva grandi missioni letterarie né precisi messaggi da trasmettere, non che ciò gli impedisse di fotografare, alle volte con grande efficacia, la realtà circostante.

Questo irrita alcuni tipi di lettori: gli amanti dell’impegno e del sottotesto sempre e comunque ci vedono un deprezzamento e svendita, mentre quelli che si riempiono la bocca del “noir quale migliore chiave interpretativa della società” beh, rimarranno alle volte delusi dalla risata beffarda, dalla svogliatezza, dalla ripetitività alle volte affaticata e dall’ironia di un Malet che non ci credeva più di tanto.

Chi invece cerca solido mestiere, conoscenza dei trucchi di certa narrativa di genere e grande consapevolezza che alla fine “è solo spettacolo e intrattenimento” si troverà molto a suo agio ed è a lui principalmente che è diretta l’opera di questo bravo autore.

E a fronte appunto del divertimento e della risata di Léo Malet, che ci dice di non prenderlo troppo sul serio come autore e di non prenderci troppo sul serio come lettori, diventa ancora più incomprensibile la reazione dei Surrealisti: nel 1949 lo espelleranno dal movimento con l’accusa di essere diventato “seguace di una pedagogia poliziesca”.
Ma forse anche l’espulsione è da leggersi come gesto surreale e allora tutto assume più senso.

Nestor Burma conoscerà un ottimo successo di pubblico, varie trasposizioni cinematografiche, una serie televisiva di ben 85 episodi nella quale il protagonista è interpretato da Guy Marchand e, dato qualitativamente più importante di tutti, diventerà anche il protagonista di alcuni ottimi fumetti, sceneggiati e disegnati da Jacques Tardi prima e in seguito da Emmanuel Moynot.
La critica impiegherà un po’ più tempo del pubblico a pagare i giusti tributi a uno dei nomi più importanti del genere per almeno vent’anni, ma arriverà anche lei.

E arriveranno anche gli eredi letterari: autori come Fred Vargas, Serge Quadruppani o Jean-Claude Izzo devono tutti qualcosa a nonno Malet.

In Italia i suoi titoli sono stati tradotti e pubblicati da vari editori (Mondadori, Editori Riuniti, Metrolibri) ma è a Fazi che dobbiamo le edizioni migliori e l’attuale, ottima opera di risistemazione e ristampa, solitamente con traduzione di Federica Angelini. Non avete molto tempo e volete scoprire questo autore, potete leggerne solo qualche volume e volete qualche titolo sicuro? Beh, molto semplice: scegliete il suo capolavoro, la Trilogia Nera composta da La vita è uno schifo, Il sole non è per noi e Nodo alle budella e andrete sul sicuro.

Bibliografia italiana di Léo Malet

Le inchieste di Nestor Burma

120, rue de la Gare (120, Rue de la Gare, 1943 – Fazi, 2003)
Un ricatto di troppo (Nestor Burma contre C.Q.F.D., 1945 – Fazi, 2006)
Il quinto processo (Le cinquième procédé, 1948 – Fazi, 2007)
Il sole sorge dietro il Louvre (Le soleil naît derrière le Louvre, 1954 – Fazi, 2006)
Chilometri di sudari (Des kilomètres de linceuls, 1955 – Fazi, 2004)
Febbre nel Marais (Fièvre au Marais, 1955 – Fazi, 2002)
La notte di Saint-Germain-des-Prés (La nuit de Saint-Germain-des-Prés, 1955 – Fazi, 2003)
I ratti di Montsouris (Les rats de Montsouris, 1955 – Fazi, 2002)
Un cadavere in scena (M’as-tu vu en cadavre?, 1956 – Fazi, 2007)
Baraonda sugli Champs-Elysées (Corrida aux Champs-Elysées, 1956 – Fazi, 2004)
Tutti muti a La Muette (Pas de bavards à la Muette, 1956 – Fazi, 2005)
Nebbia sul ponte di Tolbiac (Brouillard au pont de Tolbiac, 1956 – Fazi, 2002)
Le acque torbide di Javel (Les eaux troubles de Javel, 1957 – Fazi, 2016)
Il boulevard delle ossa (Boulevard… ossements, 1957 – Fazi, 2017)
Delitto al luna park (Casse-pipe à la Nation, 1957 – Il Giallo Mondadori n. 2403, 1995)
Morte a Saint-Michel (Micmac moche au Boul’ Mich, 1957 – Fazi, 2005)
Pandemonio a rue des Rosiers (Du rébecca rue des Rosiers, 1958 – Fazi, 2003)
Nestor Burma e il cadavere ingombrante (L’envahissant cadavre de la plaine Monceau, 1959 – Il Giallo Mondadori n. 2343, 1993)

Trilogia nera

La vita è uno schifo (La vie est dégueulasse, 1947)
Il sole non è per noi (Le soleil n’est pas pour nous, 1949)
Nodo alle budella (Sueur aux tripes, 1969)

Raccolta in un volume unico da Fazi nel 2003

Altri romanzi

L’ombra del grande muro (L’Ombre du grand mur oppure À l’ombre du grand mur, 1943 – Fazi, 2004)

Articolo protocollato da Elvezio Sciallis

Elvezio Sciallis è stato uno dei più attenti e profondi conoscitori di narrativa e cinema di genere horror. Ha collaborato per molti anni con La Tela Nera e con Thriller Café prima della sua tragica scomparsa nel maggio 2019.

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