bebe-dongeLa Vérité sur Bébé Donge fu scritto da Georges Simenon nel 1940. Venne pubblicato in 12 puntate su «Lectures 40» nel 1941, e poi in volume nel 1942 da Gallimard. La prima edizione italiana è del 1953, per le edizioni Mondadori, con il titolo La verità su Bébé Donge. Nel 2001 è stato ripubblicato da Adelphi ed è arrivato alla ottava edizione.

TRAMA

Una domenica d’estate, all’ora della colazione, i due fratelli Donge si trovano nel giardino della villa di campagna, con le loro famiglie. François Donge viene avvelenato con l’arsenico. Riesce, però, a salvarsi grazie alle sue conoscenze chimiche e alle lavande gastriche.
Fin da subito è chiaro che è stata la moglie a servirgli il caffè avvelenato. Bébé Donge confessa e ammette la premeditazione, ma sostiene anche di non aver avuto alcun motivo per uccidere il marito. Viene quindi arrestata e condotta in prigione.
Mentre la moglie è in carcere, François, convalescente in ospedale, si tormenta nel tentativo di comprendere il motivo di quel gesto, che gli appare assurdo. Scavando nel passato della sua vita matrimoniale, finisce per arrivare alla oscura e crudele verità che ha condotto la moglie a volerlo uccidere, e sarà così costretto a confrontarsi anche con se stesso.

Perché leggere La verità su Bébé Donge?

La Vérité sur Bébé Donge è la rappresentazione realistica e senza veli del rapporto di un uomo e una donna, “la terribile storia di un matrimonio” (cfr. Peter von Bagh, Nell’anticamera del regno della morte, in Simenon al cinema: La verità su Bébé Donge, Edizioni Cineteca di Bologna, 2012, p. 11).
Per prima cosa è bene sottolineare che Simenon scrisse La Vérité sur Bébé Donge nel 1940, nella foresta di Vouvant, in Vandea, e che, lo stesso anno, un radiologo gli comunicò che aveva l’angina pectoris e che gli restavano solo due anni di vita. E questo ultimo avvenimento, secondo me, spiega la creazione di un romanzo così personale, quasi una confessione, come La Vérité sur Bébé Donge. Il romanzo è molto bello perché mantiene la suspense sino quasi alla fine. Purtroppo, come spesso capita in Simenon – scrittore frettoloso e fin troppo proficuo -, il ritratto psicologico dei personaggi è più abbozzato che compiuto e la ricerca della verità, che coincide con una discesa nel passato rimosso, non si spinge in profondità tanto quanto il lettore si aspetta.
Gli appassionati dei polizieschi di Maigret, leggendo questo romanzo, resteranno sicuramente disorientati (e forse anche delusi) e potrebbero considerarloun giallo non riuscito. In realtà, La Vérité sur Bébé Donge, come i Maigret, parte dalla stessa idea: a Simenon non interessa chi è stato ma capire il perché. Solo che, in La Vérité sur Bébé Donge, questo concetto lo troviamo amplificato sino a diventare il fulcro stesso di tutto il romanzo. Mentre i Maigret sono ancora strutturati con l’omicidio iniziale e le indagini del commissario che conducono al nome dell’assassino, in quest’opera, fin dalle prime e stupende pagine,Simenon ci fa subito sapere che è stata la moglie ad aver tentato di avvelenare il marito. In La Vérité sur Bébé Donge, tutta la suspense del libro si fonda esclusivamente sul capire il motivo per cui una donna come Bébé è arrivata a compiere un simile gesto: Bébé Donge! Un pastello! Un essere etereo, immateriale, uscito da una raccolta di poesie.
Il protagonista François Donge, dopo essere sopravvissuto al tentato omicidio, inizia a ricordare il suo primo incontro con la moglie a Royan, una decina d’anni prima, quindi il matrimonio, la nascita del figlio, fino ad arrivare al giorno del tentato avvelenamento.

Doveva continuare a seguire il filo del ragionamento, risalendo fino agli eventi più lontani nel tempo, senza tralasciare nulla, senza sottovalutare neanche i dettagli più insignificanti.

E come, in una seduta di psicoterapia, alla fine, egli stesso verrà drammaticamente trasformato dalla verità. François Donge, infatti, è un uomo forte e sicuro di sé, convinto di essere sempre dalla parte della ragione; ma il gesto così drastico della moglie lo sveglia da una specie di torpore. Secondo Eskin, sarebbe addirittura la trasformazione del carattere di François Donge il fulcro del romanzo (cfr. Stanley G. Eskin, George Simenon, Marsilio 2003, pp. 202-203). Io non sono d’accordo, la trasformazione di François è dovuta a questa specie di ossessione che si impossessa di lui e che lo costringe a chiedersi, in modo sempre più pressante, le ragioni di quel gesto e dell’atteggiamento freddo di sua moglie. Ossessione della verità che tiene in sospeso il lettore sino alla fine del romanzo. Il titolo del libro è assai esplicativo: La verità su Bébé Donge.
Fino a quel momento, per François Donge, Bébéera stata una moglie gentile e accondiscendente. In realtà, egli vedeva solo ciò che desiderava vedere, e sotto la superficie della coppia felice e della moglie soddisfatta, covava un dramma profondo.
Quando inizia a ricordare, François è convinto che Bébélo abbia voluto sposare solo per sistemarsi, come aveva fatto sua sorella Jeanne.

E pensare che niente di tutto questo sarebbe accaduto se, lungo il molo di Royan, Bébé non avesse messo a suo agio François. Non lo aveva fatto per caso. François ne era certo: fin dal loro primo incontro, al bar del casinò, lei aveva agito con piena cognizione di causa.
Sul molo, davanti a loro, c’erano Jeanne e Félix, che avevano già l’aria di una coppietta a passeggio… Bébé aveva progettato tutto… Voleva sposarsi, come sua sorella. Voleva una casa, dei domestici… Questa era la conclusione a cui era giunto François in quei dieci anni, riflettendo con la lucidità che gli era consueta.

François rammenta poi alcuni episodi del suo rapporto con la moglie che lo hanno profondamente infastidito fino a fargli disprezzare il suo corpo e limitare gli amplessi.

E la prima volta che l’aveva posseduta non si era fatto illusioni. «Ha una carne inerte!» aveva constatato. Non gli piaceva quel corpo. Non gli piaceva quella pelle troppo chiara, né quella passività nel concedersi, con gli occhi aperti e lo sguardo imperturbabile anche mentre facevano l’amore.
Una donna incapace di fare l’amore!…Sì, Bébé era incapace di fare l’amore. Lo subiva, punto e basta. Tanto che, dopo, veniva quasi voglia di chiederle scusa.

Mano a mano che François scava tra le pieghe della sua memoria, però, si insinua il dubbio che tutto ciò che è accaduto può essere visto anche da un’altra prospettiva.

Ma se François si fosse ingannato fin dall’inizio, cioè fin da Royan? Se Bébé non avesse deciso a sangue freddo di sposarlo? Se…In questo caso, avrebbe dovuto rivedere tutto, ripensare ogni cosa. 

François verrà a sapere successivamente dalla sorella che Bèbè ha subito un trauma adolescenziale,da cui è rimasta segnata e che le impedisce di donarsi completamente durante l’atto sessuale. Egli capisce così che lei lo amava veramente, mentre lui ne ha fatto la sua vittima …

Bèbè da vittima ad eroina. Dall’anonimia all’identificazione di sé

Presente in letteratura fin dal Medioevo, il discorso sulle peripezie di “giovani donne sfortunate e perseguitate da una sorte “avversa” rinvia ad un universo simbolico comune a molti autori, ossia alla lotta necessaria tra bene e male, e ha il suo antecedente nelle Vite dei Santi di origine cristiana… Descritto ampiamente nella sua struttura da Propp e Bremond lo schema attanziale della fanciulla perseguitata, nelle sue varianti tematiche obbligate, le monacazioni forzate, matrimoni indesiderati è riconoscibile e relativamente semplice sul piano narratologico, sì da diventare facilmente un topos, centrale e ricorrente nella scrittura “noire” o “terrifiante”…

(Daniela Gallingani, Eroine,vittime «innocentine”: il crudele sapere della donna “in nero”, in Il “Roman Noir”. Forme e significato antecedenti e posterità, a cura di Barbara Wojciechowska Bianco, Atti del XVIII Convegno della Società Universitaria per gli studi di Lingua e Letteratura francese, Lecce, 16-19 maggio 1991, pp. 117-118)

Il personaggio di Bèbè matura pagina dopo pagina, e da giovane vergine inesperta si trasforma lentamente in una donna disillusa ma sicura di sé e delle proprie scelte.
Chi accusa Simenon di misoginia, dovrebbe leggere La verità su Bébé Donge, in cui l’autore dimostra, ancora una volta, la sua capacità di descrivere l’animo femminile (anche se la storia viene vista con gli occhi di François). Da questo romanzo esce, inoltre, un autore profondamente conscio delle proprie colpe di uomo. La patologica infedeltà di François Donge, descritta nel romanzo, non è altro che la confessione del suo alter ego Simenon. E il protagonista del romanzo, alla fine, si rende conto della crudeltà morale e psichica in cui ha costretto a vivere la moglie.

Non aveva ragione lui! Poteva trovare tutte le scuse del mondo, ma non aveva ragione. Nessuno poteva arrogarsi il diritto di prendere una persona, una ragazza spensierata conosciuta sulla spiaggia di Royan, portarsela a casa e poi, improvvisamente, abbandonarla alla sua solitudine.
E neanche alla “sua” solitudine, ma a quella di un luogo estraneo e dall’apparenza quasi ostile!
Come era riuscito a convincersi che a Bébé potesse bastare il fatto di essere sua moglie?

Una delle fasi tipiche dell’uomo che infligge violenza psichica sulla compagna è quella dell’isolamento: egli allontana gli amici e i parenti creando il vuoto attorno alla moglie, costringendola ad un rapporto esclusivo. E François Donge caccia da casa la sola amica di Bèbè.

E quando finalmente era caduta una piccola foglia alla quale aggrapparsi, Mimi Lambert, che le aveva regalato un’illusione di vita personale… François l’aveva messa alla porta… Perché?…Così… Perché quella era casa sua!…Perché era lui il padrone!…Perché era lui l’uomo!
Non doveva esserci che lui, anche se lui non c’era mai…

Che si tratti di crudeltà mentale e psicologica se ne è resa conto anche Sandra Filippini in un suo saggio sulla violenza psicologica nella coppia.

Francois ripercorre la storia della relazione con la moglie. Assi­stiamo ad un cambiamento del suo punto di vista, ad una sorta di ravvedi­mento, che…permette al lettore di vedere da vicino e con gli con gli occhi del mari­to una vicenda di ordinario maltrattamento psicologico… Si comprende che il protagonista ha subito, senza comprenderlo, il fasci­no della donna, ne ha soltanto intuito la differente sensibilità, la capacità di “metterlo a suo agio”, ma è rimasto sostanzialmente estraneo, anzi diffiden­te, rispetto alle sue diverse e non banali qualità. Francois è descritto come un uomo pratico, imprenditore di successo, dallo stile un po’ arrogante, tanto da incutere timore negli altri, freddo, ironico, distaccato… È inoltre abituato, sulla scorta dell’esempio paterno, a considerare indiscutibile l’autorità maschile, incluso l’atteggiamento “da padrone” sulla moglie – come sulle altre donne che prende quando lo desidera …

(Sandra Filippini, Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia, Franco Angeli Editore – 2013 pp. 54-55)

Bèbè decide, ad un certo punto, di assumere su se stessa la responsabilità del cambiamento, che diverrà un vero e proprio punto di non ritorno. La sua figura assurge a simbolo di tutte le donne malmaritate, divenendo l’eroina che, abbandonando la parte affibbiatagli dalla famiglia (comprese sua sorella e sua madre), e infischiandosene del conformismo più becero, decide il proprio destino. Non accetta più il quieto vivere domestico, e con un atto coraggioso e risoluto spezza le catene che la avvincono a una vita che non sente più sua.
È da notare, inoltre, come la figura di Bèbè assuma consistenza e valore solo nel momento in cui tenta di uccidere il marito. Prima di questo gesto ella era solo Bèbé, la moglie e la compagna di François Donge. Ella aveva sacrificato se stessa e la sua identità sull’altare del matrimonio e della convenienza sociale, accettando tutti i compromessi connessi. È questo gesto violento e decisivo a trasformare Bèbé da vittima passiva a donna che agisce e decide, e questo passaggio è sottolineato magistralmente da Simenon, quando la sorella Jeanne la chiama subito dopo il fallito tentativo di avvelenamento.

«Eugénie…».
Era la prima volta, da anni e anni, che Jeanne si rivolgeva alla sorella con il suo vero nome. Bébé, infatti, si chiamava Eugénie, come la madre.

Bèbè in francese significa bambina. Simenon era quindi conscio di quanto fosse rivelatore questo passaggio: Bèbè diviene una donna che si riappropria della propria identità. Solo uccidendo il marito, che blocca il passaggio alla sua maturità, confinandola nel ristretto ambito familiare, Bèbè può diventare Eugénie. Diventare adulta significa aver compreso quanto mediocre fosse la sua vita coniugale, quanto assurdo fosse fingere di non vedere i tradimenti continui del marito, ma soprattutto significa rifiutare ulteriormente di sottomettersi al falso perbenismo di una società patriarcale.
Bèbè diviene quindi una donna diversa che, in qualità di eroina, porta con sé nuove idee e valori a una cultura patriarcale morente, che mal sopporta ogni forma di ribellione. Cultura che non può che condannarla per ciò che ha osato, ma non vincerla. Prova ne sia il ravvedimento, anche se tardivo, dello stesso François. Così Bèbè è l’eroina che sacrifica se stessa per creare un mondo migliore. Ma l’eroe non è sempre amato, spesso incute paura e invidia, per questo viene condannato o emarginato. Ed è appunto questo il destino di Bèbè. È chiaro che Bèbè non appartiene alla categoria dell’eroe classico, dall’armatura lucente, protagonista di avventure mirabolanti. Ella appartiene alla categoria dell’eroe moderno, quello che vive giorno per giorno la propria banalità, con disagio esistenziale, sino a quando un avvenimento non lo costringe a trovare dentro di sé una forza e un coraggio che non immaginava di possedere. Bèbè riscatta così un’esistenza grigia, ripetitiva e senza amore. Come scrisse Joseph Campbell è l’eroe moderno, nel nostro caso l’eroina priva di ogni ispirazione mitica, che con le sue azioni trasforma e guida la società verso nuove mete:

L’eroe moderno… non può, e invero non deve, aspettare che la sua comunità si liberi dall’orgoglio, dalla paura, dall’avarizia razionalizzata, e dall’incomprensione santificata. Dice Nietzsche: “Vivi, come se il giorno fosse giunto.” Non è la società che deve guidare e salvare l’eroe, ma precisamente il contrario. E così ognuno di noi partecipa alla prova suprema — porta la croce del redentore — non nei momenti gloriosi delle grandi vittorie della sua tribù, ma nei silenzi della sua disperazione.

(Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Feltrinelli 1958, p. 347)

Ciò che contraddistingue Bèbè dal marito ma anche dagli altri personaggi è il suo non voler essere come tutte le altre coppie; lei ama veramente François e da lui pretende che sia sempre sincero, anche se questo la ferisce.
Per rendere evidente quanto Bèbè sia diversa dalle altre donne, Simenon utilizza il tema del doppio, in questo caso il doppio matrimonio delle due sorelle con i due fratelli. Jeanne e Félix sono, infatti, lo specchio che rivela le verità nascoste di un tipico matrimonio borghese. Félix tradisce Jeanne. Lei lo sa e lo accetta, esigendo in cambio rispetto e libertà entro le mura domestiche. In pratica un mondo che si regge sulla menzogna. Menzogna che Bèbè non è più disposta a sopportare!

Il destino di Jeanne era stato diverso, perché Jeanne non amava abbastanza. Aveva i suoi comitati di Dame Benefiche in cui riversare energie a profusione, e questo bastava a mantenere l’equilibrio…
Per sua disgrazia, invece, Bébé lo aveva amato, amato fino alla perdizione totale, irrimediabile! E lui non si era accorto di niente!

Inutile e tardiva, alla fine, la redenzione di François. Ormai Bèbè non è più la giovane piena di speranze e colma d’amore del primo incontro avvenuto a Royan.

François Donge sembra ora infine capace di amare Bèbè, dopo un matrimonio cominciato all’insegna di false confidenze e proseguito nella menzogna…Ma Bébé non può rispondere, non può correre il rischio di un’ultima bugia. È una maschera di pietra, irremovibile nella sua decisione; morta dal momento in cui l’amore è svanito dal suo cuore… Non c’è modo di ritrovare l’amore, che per lei è “miracolo, splendore, grazia, nascita”…

(cfr. Peter von Bagh, Nell’anticamera del regno della morte, in Simenon al cinema: La verità su Bébé Donge, Edizioni Cineteca di Bologna, 2012, p. 13).

Il passaggio della linea …

Abbiamo già discusso ampiamente di questo tema simenoniano in l’Osteria dei due soldi. Nel caso di La Vérité sur Bébé Donge, questo tema si carica in modo più evidente di un significato simbolico, quasi si trattasse di un rito di passaggio. Del passaggio della “soglia” ne parla anche lo storico delle religioni Joseph Campbell.

Al di là di essi vi sono le tenebre, v’è l’ignoto, il pericolo, così come per il bambino il pericolo è là dove non giunge la protezione dei genitori, e per il membro della tribù là dove non giunge la protezione della sua società. L’uomo normale è contentissimo, e persino orgoglioso, di rimanere entro i confini segnati, e le credenze popolari lo autorizzano a trattenersi dal compiere anche un solo passo entro le zone inesplorate.

(L’eroe dai mille volti, Feltrinelli 1958, p. 75)

Campbell descrive come l’eroe deve riuscire a superare tutta una serie di prove per trovare se stesso, la sua vera identità. E per fare questo deve riuscire a liberarsi di tutto ciò che è superfluo, finto ed esteriore. Ed è proprio ciò che tenta di fare la protagonista del libro, Bèbè Donge, avvelenando il marito e quindi distruggendo quel rapporto malato e falso che è il suo matrimonio.
Anche in questo caso, come in molti polizieschi con protagonista Maigret, è un avvenimento eccezionale e al di fuori della quotidianità a far scaturire il dramma e a trasformare i protagonisti.

Nessuno avrebbe pensato a un avvelenamento Era il solito pomeriggio domenicale, con l’elegante vacuità di sempre e le lunghe pause di silenzio che ciascuno, sprofondato in poltrona, affrontava a modo suo. E chi apriva la bocca per primo sembrava tornare da un viaggio senza storia.

Che questa interpretazione del romanzo e del personaggio di Bèbè sia corretta, è provato dal saggio di Noël Burch e Geneviève Sellier (La drôle de guerre dessexesducinémafrançais -1930-1956, Armand Colin, 1999), all’interno del quale una lunga scheda è dedicata al film tratto da La vérité sur Bébé Donge. Nella scheda si sottolinea l’importanza del film all’interno della guerra tra i sessi nella Francia degli anni cinquanta. I due autori, nel loro saggio,raccontano, attraverso l’analisi di centinaia di film spesso dimenticati, l’evolversi della figura femminile all’interno del cinema francese. Si parte dai film girati negli anni trenta, in cui è evidente come in Francia fosse ancora l’uomo, marito e padre onnipotente, il fulcro attorno a cui girava un universo femminile insicuro e indifeso. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la donna iniziò ad essere rappresentata come una vera e propria arpia che domina e sfrutta gli uomini. All’inizio degli anni cinquanta, vi fu un’ulteriore evoluzione e, passando per film come La vérité sur Bébé Donge del 1952, si arrivò a E Dio creò la donna di Roger Vadim del 1956, con cui questa guerra dei sessi finì con il proporre una rappresentazione della donna più realistica, legata alla sua emancipazione e alla liberazione sessuale, lontana dalla misoginia degli anni precedenti.

Simenon al cinema

Nel 1951, Gabin gira La follia di Roberta Donge (La vérité sur Bébé Donge), sotto la direzione di Henri Decoin, forse il miglior Simenon al cinema del periodo e sicuramente uno dei migliori di tutti i tempi.

(Arturo Invernici, Chez Gabin, in Georges Simenon …mon petit cinéma, a cura di Angelo Signorelli Emanuela Martini Arturo Invernici, Bergamo Film Meeting 2003, p. 111)
Il romanzo di Simenon fu sceneggiato da Maurice Aubergé, che mutò parecchio il testo originale, modificando quasi completamente la successione degli eventi e anche il finale, e riscrivendo i dialoghi. Il regista mantenne,però,lo stile asciutto e austero del romanzo, e soprattutto la domanda che lo reggeva dall’inizio alla fine: perché Bèbè ha tentato di uccidere il marito?

Non «Chi è stato?» ma «Perché l’ha fatto?» è stata la domanda a cui i suoi “romanzi criminali” hanno cercato di rispondere. Riuscendoci, trovando risposte di volta in volta cangianti, ma al fondo sempre la stessa: la solitudine dell'”uomo nudo”, la limitatezza e fragilità della condizione umana. E mantenendo intatta la sua simpatia per chi cade, per chi non ce la fa, per le vite perse, per le vite mal vissute. E per chi tutto questo non lo accetta e si ribella al proprio destino o confusamente, faticosamente, e cerca di districarsi dalle sue prigioni, e aspira a una libertà autentica più ancora interna che esterna.

(Goffredo Fofi, La solitudine dell'”uomo nudo”, in Gianni Da Campo, Claudio G. Fava, Goffredo Fofi, Simenon, l’uomo nudo, l’Ancora del Mediterraneo, 2005, pp. 89-90)

Con questo film, Decoin firma probabilmente la sua migliore opera, approfondendo il tema della guerra tra i sessi entro le mura borghesi della famiglia patriarcale. Il film appartiene al genere noir, e la protagonista che avvelena il marito e lo va a trovare in ospedale vestita di nero, impassibile e fredda al suo dolore, richiama la figura della dark lady. In realtà, il film è un’indagine e un’accusa sulla insensibilità e sulle colpe dell’uomo. Il marito è anche l’unico narratore, e la storia che racconta è appunto una specie di “auto-accusa”. Viene così rappresentato, attraverso le immagini, come il sogno della giovane Bèbè di un amore ideale e unico si venga a scontrare con la passione del marito per la promiscuità e la sua idea che il matrimonio sia solo un contratto, non tanto diverso da quelli che egli ogni giorno stipula per lavoro.
L’unica figura maschile positiva del film è il giudice che è costretto ad arrestare Bèbè, ma che lui considera innocente:

Cette figure de bon père qui comprend la raison des femmes, semble issue d’un ordre plus ancien et plus humain (parce que plus rural?) : la voiture à cheval qui est comme l’emblème du personnage et où il finit par faire monter Darrieux pour parler avec elle, détonne parmi les rutilantes automobiles de 1952. Quant au baiser sur la joue qu’il lui donne en prenant congé d’elle, c’est la bénédiction « d’une loi supérieure » (mais parfaitement laïque et républicaine), par laquelle le film tient à absoudre l’empoisonneuse… de peur peut-être que les spectateurs ne la confondent avec les «salopes» malfaisantes qui peuplent alors les écrans français! (Questa buona figura paterna, che capisce la ragione delle donne, sembra rappresentare un ordine più antico e più umano (perché più rurale?): la carrozza che è come il simbolo del personaggio e dove finisce per far salire Darrieux per parlare con lei, è fuori posto tra le rutilanti automobili del 1952. Per quanto riguarda il bacio sulla guancia prendendo congedo da lei, questa è la benedizione di una “legge superiore” (ma perfettamente laica e repubblicana), con cui il film vuole assolvere l’avvelenatrice … che talora gli spettatori confondono con le”puttane” malefiche, che popolano le sale cinematografiche francesi!)

(Cfr. il capitolo dedicato al film La Vérité sur Bébé Donge in Noël Burch – Geneviève Sellier, La drôle de guerre dessexesducinémafrançais -1930-1956, Armand Colin, 1999)

Questo film, per Jean Gabin e Danielle Darrieux, rappresentò una vera e propria svolta artistica. Gabin passò dai ruoli di “eroe proletario e vagabondo degli anni Trenta” a quelli di alto borghese, energico ma invecchiato,“ruoli di industriale, banchiere, costruttore di navi, chirurgo, avvocato …”. Danielle Darrieux “è sempre stata orgogliosa della sua Bébé Donge. Anche per lei, si trattava d un nuovo inizio: fin da giovanissima, a partire dal 1931, Darrieux era stata confinata a un cliché (esemplificato al meglio da commedie brillanti come Abus de confiance, 1937, e Battement de coeur, 1939, entrambi diretti da Decoin). In una carriera lunghissima, che sarebbe proseguita fin negli anni Duemila, La verità su Bébé Donge rappresenta il punto di svolta e il primo ruolo maturo …” (cfr. Peter von Bagh, Nell’anticamera del regno della morte, in Simenon al cinema: La verità su Bébé Donge, Edizioni Cineteca di Bologna, 2012, pp. 7-8).
Fu probabilmente questo uno dei motivi dello scarso successo del film all’epoca. Il pubblico non era preparato a questa trasformazione così improvvisa dei suoi beniamini.

Curiosità

La Vérité sur Bébé Donge, scritto più di settant’anni fa, è stato di ispirazione ad una nuova iniziativa editoriale proprio quest’anno.
Dei ragazzi romani sono rimasti così colpiti dal romanzo di Simenon da realizzare un libro a fumetti e un cd musicale. Il fumetto è stato creato da Valentina Griner mentre le dieci canzoni, che ne formano una specie di colonna sonora, sono state composte dai Bébé Donge. I brani sono ispirati ad alcuni dei momenti più salienti del romanzo.
La realizzazione del fumetto e del disco è stata seguitaanche da un adattamento teatrale presso il Monk di Roma.
Chi fosse interessato, può vedere l’interessante intervista della cantante dei BébéDonge su YouTube.
Non si può certo dire che le opere di Simenon sentano gli anni che passano!

Tutti i brani de La verità su Bébé Donge sono tratti dall’edizione Adelphi

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La verità su Bébé Donge
  • Editore: Adelphi
  • Autore: Georges Simenon , Marco Bevilacqua

Articolo protocollato da Alessandro Bullo

Alessandro Bullo è nato a Venezia. Si è laureato in lettere con indirizzo artistico, mantenendosi con mestieri occasionali; dopo la laurea ha lavorato per alcuni anni presso i Beni Culturali e poi per la Questura di Venezia. Successivamente ha vissuto per quasi dieci anni a Desenzano del Garda per necessità di lavoro. Attualmente vive a Venezia e lavora come responsabile informatico per un’importante ditta italiana. Sue passioni: Venezia, il cinema noir, leggere, scrivere. Autori preferiti: Dino Buzzati, Charles Bukovski, Henry Miller. Registi preferiti: Elia Kazan e Alfred Joseph Hitchcock. È arrivato per due volte in finale al premio Tedeschi e una al premio Urania. Nel 2012 con “La laguna degli specchi” (pubblicato sotto lo pseudonimo Drosan Lulob) è stato tra i vincitori del concorso “Io scrittore”.

Alessandro Bullo ha scritto 66 articoli: