La ballerina del Gai-Moulin - Georges SimenonLa danseuse du Gai-Moulin è il decimo romanzo dedicato da Georges Simenon a Maigret. Scritto a Ouistreham nel settembre del 1931, fu pubblicato dall’editore Fayard nel novembre dello stesso anno.
In Italia, il romanzo fu tradotto da Guido Cantini e pubblicato nel 1933 da Mondadori con il titolo La danzatrice del Gai-Moulin, nella collana “I gialli economici Mondadori (I° edizione settembre 1933). Nel 1967, lo stesso editore ripubblicò il libro con il titolo Maigret e la ballerina del Gai-Moulin, tradotto da Elena Cantini, nella collana “Tutte le opere di Georges Simenon” (1966-1971), all’interno del volume II de Le Inchieste del Commissario Maigret: lo stesso romanzo fu ristampato nel 1972, nella collana “Oscar Mondadori”. Sempre nel 1967, dello stesso libro uscì un’edizione con il titolo Maigret e la ballerina (I° Edizione “Le inchieste del Commissario Maigret”, numero 47, dicembre 1967). Nel 1979, Maigret e la ballerina del Gai-Moulin fu riproposto da Mondadori nella raccolta “Maigret viaggia”, all’interno della collana “Le inchieste del commissario Maigret” (1978-1982), supplemento ai “Gialli Mondadori“. Nel 1988 il romanzo fu tradotto da Claretta Agostoni e pubblicato ancora da Mondadori sempre con il titolo Maigret e la ballerina del Gai-Moulin(I° edizione collana “Oscar Gialli”, novembre 1988). Per altre notizie, è possibile consultare il Catalogo storico Arnoldo Mondadori Editore.
Nel 1994 Adelphi pubblica il romanzo con il titolo La ballerina del Gai-Moulin, tradotto da P. N. Giotti, nella collana gli Adelphi – Le inchieste di Maigret.

TRAMA

Il romanzo ha inizio all’interno di un piccolo locale notturno nella città di Liegi, il «Gai Moulin», dove due giovani – Jean Chabot (sedici anni) e René Delfosse (diciassettenne) – stanno passando la serata bevendo e corteggiando la ballerina Adèle Bosquet. Quest’ultima, attratta da un nuovo avventore, li lascia per andare a bere con lui. I due ragazzi, intanto, progettano di rapinare la cassa del night. Si nascondono così nella cantina e aspettano la chiusura del locale. Quando escono, però, intravedono nel buio un corpo steso a terra, che riconoscono come il cliente a cui si era avvicinata la loro amica Adèle. Spaventati, Chabot e Delfosse fuggono.
Il giorno dopo, i giornali annunciano il ritrovamento di un cadavere nel giardino zoologico, rinchiuso dentro un baule di vimini di grandi dimensioni.
Chabot viene arrestato mentre, per il momento, Delfosse riesce a nascondersi. La polizia, non avendo prove certe, sospetta anche del proprietario del locale, dei suoi camerieri e di Adèle. I giornali parlano anche di un altro misterioso uomo presente al «Gai Moulin», la sera in cui è avvenuto l’omicidio. Si tratta di Maigret. Il commissario, infatti, si trova a Liegi perché stava seguendo l’uomo che è stato ucciso. Maigret spiega alla polizia di Liegi che l’uomo è un greco, Ephraim Graphopoulos, “figlio di un facoltoso banchiere di Atene e che viaggia per l’Europa conducendo una vita oziosa da gran signore”. Graphopoulos, a Parigi, aveva chiesto la protezione della polizia; inspiegabilmente poi aveva cercato di seminare il poliziotto incaricato di proteggerlo. Maigret, insospettito dallo strano comportamento, aveva deciso di seguirlo personalmente.
Il caso è talmente complicato che Maigret, sperando in una mossa falsa dell’assassino, dovrà prima farsi mettere in prigione, come presunto colpevole dell’omicidio del greco, e poi addirittura fingere il suicidio nell’ufficio del commissario di Liegi …

Perché leggere La danzatrice del Gai Moulin?

Il giallo è ambientato a Liegi, la città natale di Simenon. La storia inizia al «Gai Moulin», un night molto simile a quello che Simenon frequentò nei primi anni del 1920, e che si trovava nella parte più antica del centro di Liegi, conosciuto come «Le Carré». Simenon non amava molto questo tipo di ambienti e, infatti, ne dà una descrizione di luogo “vuoto” e malinconico, frequentato da provincialotti e adolescenti inquieti in cerca di sesso facile, e da ballerine che non disdegnano appuntamenti fuori dal locale per sbarcare il lunario.
La trama è alquanto esile e poco credibile. Sembra rendersene conto lo stesso Simenon, quando il suo Maigret, riferendosi al fatto di essere finito in galera e di aver simulato il proprio suicidio, confessa di aver imbastito una “commedia che può essere sembrata infantile…”. Simenon, però, si supera nella descrizione del night e della sua atmosfera, del clima invernale che intorpidisce le strade e gli abitanti della sua Liegi, invasa dalla nebbia. La sua scrittura è come sempre essenziale e diretta: a Simenon basta accennare a pochi dettagli, come all’odore del caffè, al suono dell’orchestra, all’umidità della nebbia, al calpestio sul selciato, per dare la sensazione di trovarsi in quel luogo. Il segno sulla carta si trasforma in evocazione di una sensazione quasi tattile o visiva.
Abbiamo già parlato del realismo balzachiano di Simenon, nell’articolo dedicato al romanzo Un delitto in Olanda. Anche in quest’opera lo scrittore crea due personaggi estremamente veri: Chabot e Delfosse. I primi tre capitoli sono quasi interamente dedicati a questi due ragazzi. Simenon scava nella loro anima, evidenziando le loro paure, le passioni e i desideri. Lo scrittore li usa per esplorare i temi della vigliaccheria, della tentazione, dell’amicizia e del tradimento. La discesa agli inferi non è solo una scelta personale è anche il frutto di un dramma esistenziale, di un passato e un presente che sono la storia di un individuo. Mi viene in mente Paul Newman in Detective’s Story (Harper – 1966 diretto da Jack Smight):

“Ho iniziato questo lavoro perché credevo che il mondo comprendesse gente buona o cattiva … invece non è così semplice, il male ognuno lo porta in sé e tutto dipende dalle circostanze …”

È da notare, inoltre, come Maigret faccia la sua apparizione ufficiale a circa metà romanzo. Nei primi cinque capitoli,il commissario è solo un’ombra che segue i due ragazzi oppure un uomo “alto, con le spalle larghe”, nel ricordo sbiadito dei testimoni. Anche in questa ecclissi del personaggio principale è evidente la scelta dello scrittore di concentrare l’attenzione del lettore non tanto sul plot giallo, quanto sullo studio psicologico dei due giovani e del loro patologico rapporto.
Jean Chabot è il più debole dei due. È solo un misero e timido contabile che sogna una vita migliore.Non è un cattivo ragazzo, ma un debole che si fa trascinare dalle cattive compagnie; in questo caso Renè. Il padre confessa, durante un colloquio con Maigret, che forse è colpa del suo essere stato con lui “troppo debole”.

Chabot aveva cominciato a bere qualche birra con gli amici, al Pélican. Si era abituato a berne tutte le sere perché era là che tutti si incontravano creando una calda atmosfera di cameratismo.
Uno pagava un giro, poi toccava a un altro. Giri che venivano a costare dai sei ai dieci franchi.
Era un momento così piacevole! Dopo l’ufficio, dopo le paternali del primo segretario, starsene là, nel caffè più lussuoso della città, a guardare la gente che passava in rue du Pont-d’Avroy, a stringere mani, a osservare le belle donne che talvolta venivano a sedersi al loro tavolo.
Si sentivano padroni di Liegi!

In queste poche righe, Simenon riesce ad evocare la sua adolescenza nei bassifondi della città natale, e quanto egli stesso sia stato attratto da quel genere di vita. Più volte, nel corso degli anni, Simenon sottolineò come egli avrebbe potuto diventare un delinquente, se non avesse incontrato Tigy e avuto successo con i suoi romanzi. Lo scrittore dichiarò che doveva la sua salvezza anche ad un’altra persona, che era stata molto importante nella sua adolescenza. All’inizio degli anni cinquanta, infatti, incontrò Joseph Demarteau III, il direttore della Gazete de Liège che gli aveva concesso di lavorare per il suo giornale, a cui disse che avrebbe potuto licenziarlo cinque volte alla settimana, ma che non lo aveva fatto, e che proprio questa indulgenza lo aveva salvato dalla cattiva strada.
Di solito, nella saga di Maigret, sono i personaggi femminili quelli più riusciti; in questo caso Chabot e Delfosse rubano la scena a tutti anche ad Adèle. Ciò si deve sicuramente al fatto che Simenon si ispira a personaggi veri, conosciuti quando era più giovane. Intorno al 1917, egli era entrato a far parte di una specie di confraternita di pittori e di scrittori riconoscibili dal cappello floscio e dalla cravatta a fiocco, «La Caque». I membri erano soliti riunirsi di notte, leggerelibri di filosofia, discutere di arte e letteratura. Con il tempo, al gruppo si erano uniti altri ragazzi e gli incontri avevano iniziato a degenerare. Dopo un paio d’anni alle bottiglie di vino si era aggiunto l’uso di droghe. Pare che, durante le riunioni, fosse invocato il nome del Diavolo e che alcune ragazzine, che si erano unite al gruppo, scopassero promiscuamente con tutti i membri della confraternita. Ciò che contraddistingueva il gruppo era la disperazione di vivere, la ribellione alle regole del sistema.
Uno dei frequentatori del gruppo si chiamava Joseph Kleine, un pittore fallito costretto a guadagnarsi da vivere come imbianchino. Kleine era una ragazzo gracile dedito alla cocaina, ed era diventato ben presto la vittima preferita degli scherzi del gruppo. Era il 1922 quando Kleine si suicidò. La storia di questo ragazzo impressionò molto Simenon, tanto che Patrick Marnham, nel suo saggio L’uomo che non era Maigret. Ritratto di Georges Simenon, dedica un intero capitolo alla morte di Kleine (Milano 1994, pp. 99-110).  Lo scrittore belga dedicò un romanzo della serie Maigret a questo episodio: L’impiccato di Saint-Pholien.
Simenon sapeva che persone normali, abitudinarie e mediocri possono trasformarsi e agire in modi violenti e passionali, proprio come ribellione ad uno status che li umilia. Il personaggio del debole Jean Chabot è sicuramente ispirato a quello di Joseph Kleine, mentre gli altri ragazzi de «La Caque» che lo usavano e umiliavano hanno ispirato il personaggio di Renè Delfosse.

René Delfosse è un ragazzino egoista e superbo, interessato solo al denaro e a procurarsi piacere; “un figlio di papà degenerato nel vero senso della parola… “, che ruba persino i soldi dalla borsetta della povera Adèle.
Per lo scrittore belga, il concetto di giusto e sbagliato è ambiguo, perché esistono dei motivi scatenanti alla base del comportamento di una persona. Maigret/Simenon trova quasi sempre delle attenuanti al male e al vizio, tranne quando si tratta di persone che appartengono ad una classe sociale agiata. In questi casi, Maigret non nasconde la sua insofferenza; per questo non sembra aver molta comprensione per questo ragazzino viziato della ricca borghesia cittadina.
Renè sceglie Chabot come suo amico, perché è più debole ed è facile manovrarlo. Renè ha bisogno di sentirsi ammirato, di poter comandare e influenzare altre persone. Ecco come lo descrive Maigret:

È un vigliacco… Peggio ancora: il suo è un caso patologico… Sotto sotto ce l’ha con l’amico perché non condivide la sua colpevolezza… Vorrebbe comprometterlo, ma non ha il coraggio di fare niente di preciso…
In realtà ce l’ha sempre avuta con lui… Un’invidia, un odio piuttosto complessi… Chabot è un ragazzo pulito, o almeno lo era… E lui invece è tormentato da un mucchio di oscuri desideri… Si spiega così questa strana amicizia, e anche il bisogno di Delfosse di essere sempre in compagnia dell’amico.
Andava ad importunarlo a casa… Non riusciva a star solo… E lo coinvolgeva nelle sue malefatte, nei furtarelli…

Simenon descrive con abilità il rapporto esistente tra Renè, il dominatore, e Jean, la vittima. Lo scrittore belga, molto prima che nascesse la vittimologia, mostra come la vittima contribuisca al reato che viene commesso. Fin dal mio primo articolo,dedicato alla saga Maigret, ho sottolineato come il commissario sia interessato alla vittima, al suo passato e alla sua psicologia, raccogliendo tutte le notizie possibili sulla sua storia e il suo stile di vita. Partendo da queste informazioni, Maigret scopre poi il motivo e quindi il nome dell’assassino, approfondendo i rapporti tra autore del reato e vittima. È curioso notare che i primi Maigret furono scritti all’inizio degli anni trenta e che pochi anni dopo,tra il 1937 e il 1947, Beniamin Mendelsohn teorizzò e introdusse la Vittimologia, ossia la scienza della vittima, sostenendo che essa contribuisce al verificarsi del reato (Mendelsohn Beniamin, “Methods to be used by Counsel for the Defense in the Researches made into the Personality of the Criminal.” Revue de dent Penal et de Criminology 1937). Nel caso di Maigret e la ballerina del Gai-Moulin, il protagonista Jean è una vittima predestinata: è fisicamente e psicologicamente debole; lo stesso ambiente familiare in cui è vissuto lo ha predisposto ad esserlo. La sua vulnerabilità implica una tipica dinamica di vittimizzazione. Renè da parte sua ha in sé tutte le caratteristiche tipiche del criminale e del dominatore: egocentrismo che lo conduce a pensare di essere legittimato a fare del male all’amico; indifferenza affettiva e morale nei confronti di Jean, del padre e anche di Adelè. Simenon, nei suoi romanzi, anticipa dunque i tempi, intuendo che esistono alcune condizioni sociali e personali, adatte a “creare” l’ambiente idoneo al verificarsi del reato e ad attirare determinate persone,“predisposte” all’azione criminosa.

Adèle è un altro personaggio riuscito del romanzo, anche se certamente meno di Elsa del Crocevia delle Tre Vedove, Beetje di Un delitto in Olanda e Adèle di All’Insegna di Terranova.

Adèle non era bella, soprattutto in ciabatte e con la vestaglia sgualcita. Ma forse, agli occhi del giovane, quella intimità senza riserve non faceva che aumentare il suo fascino.
Quanti anni aveva? Venticinque? Trenta? In ogni caso aveva vissuto parecchio …
Il tratto dominante del suo carattere era un languore che traspariva dai suoi occhi verdi, dal modo disinvolto in cui teneva la sigaretta tra le labbra, dai gesti e dai sorrisi. Un languore sorridente.

Si tratta di una delle tante ballerine o prostitute conosciute da Simenon nel periodo in cui era scapolo a Liegi, ma anche a Parigi, quando girava i bar in cerca di ragazze disposte a farsi ritrarre nude da sua moglie Tigy.
Simenon amava “conoscere” le donne soprattutto in senso biblico, ma l’attrazione sessuale nei loro confronti riflette il suo desiderio di comprendere il mistero donna. Dalla immensa folla di ragazze e donne, raccontate nei suoi romanzi, si intuisce che lo scrittore si accanisce nello scavare, svelare e illuminare tutto ciò che riguarda il mondo femminile. Simenon lo spiegava con la sua

… estrema curiosità e l’esigenza di un certo tipo di contatto che solo i rapporti sessuali sono in grado di offrire (…). La donna è sempre stata per me un essere straordinario che ho inutilmente cercato di analizzare a fondo. Si è trattato di una ricerca costante e incessante, che ha accompagnato tutta la mia vita. Come avrei mai potuto creare le deci­ne, forse centinaia di personaggi femminili che popolano i miei roman­zi se non avessi sperimentato tutte queste avventure che potevano durare due ore come dieci minuti?

(Tratto daUn homme comme un autre, citato da Patrick Marnham, nel suo saggio L’uomo che non era Maigret. Ritratto di Georges Simenon, Milano 1994, p. 177)

Simenon racconta la donna in tutte le sue sfumature, negative o positive, e la sua curiosità insaziabile indugia sulle ragioni delle loro azioni senza essere guidato da alcun pregiudizio. Se nei romanzi di Simenon troviamo spesso figure di femme fatale, non mancano però le eroine, le donne fedeli, pazienti, tenaci e amorevoli.
Simenon era un uomo curioso, affamato di conoscenza. È da notare come lui stesso associ la sua passione per le donne con la conoscenza di ogni altra cosa; come se l’essere femminile fosse la porta o addirittura la chiave per poter comprendere tutti i misteri del mondo. Si legga questo passo tratto da Memorie intime:

Avevo fame, sì, fame di tutto, dei barbagli di sole sulle case, degli alberi e dei volti, fame di tutte le donne che incrociavo e i cui sederi ondeggianti bastavano a provocarmi delle erezioni quasi dolorose … Avevo fame di vita e gironzolavo per i mercati ammirando ora la verdura, ora la frutta multicolore, ora le bancarelle di fiori.
Sì, mia piccola Marie-Jo, aspiravo la vita dalle narici, da tutti i pori, la vita con i suoi colori, le sue luci, gli odori e i rumori della strada.

(Tratto da Memorie intime, Adelphi 2009, p. 17)

Simenon giornalista

Il VI capitolo del romanzo è completamente dedicato ai giornali che pubblicano la notizia dell’omicidio e al lavoro dei giornalisti. Simenon immerge il lettore nel fervore dell’attività giornalistica, ricreandone l’atmosfera caustica che egli ben conosceva. Come è noto Simenon aveva solo sedici anni quando iniziò a lavorare alla Gazzette de Liège. Al giornalismo egli dovette molto, perché lo salvò dalla povertà: aveva abbandonato gli studi dopo la prematura morte del padre ed era stato licenziato da due lavori.

Dopo aver progettato di farsi prete e poi di intraprendere la carriera militare, interrotti gli studi si mise a lavorare prima come commesso di pasticceria poi come commesso di libreria, finché il 12 novembre 1919 fu assunto come fattorino al quotidia­no di destra «La Gazette de Liège», dove, dopo pochi mesi, riuscì a trasformarsi in cronista.

(Raffaelle Crovi, Le maschere del mistero. Storie e tecniche di thriller italiani e stranieri, Passigli 2000, p. 293)

Lavorò per il quotidiano dal 1919 al 1922. Simenon sostenne più volte che diventare giornalista fu un caso: era appena stato licenziato da una libreria, perché aveva contradetto il suo padrone davanti ad un cliente. Non sapeva nulla del lavoro di giornalista e non aveva mai letto alcun giornale prima di allora. All’inizio scriveva articoli di argomento vario: corse di cavalli e ciclistiche;recensioni su spettacoli teatrali e musicali. Dopo qualche mese,fu incaricato di occuparsi di cronaca nera. Grazie a questa esperienza Simenon iniziò a osservare la realtà quotidiana che lo circondava e a farne tesoro per gli anni in cui avrebbe scritto racconti e romanzi.

“Grazie al giornalismo, ho conosciuto un po’ di tutto … In tre anni e mezzo di giornalismo, ho potuto davvero osservare tutte le classi sociali. Altrimenti mi ci sarebbero voluti non so quanti anni per avvicinare tutti quegli ambienti … Ritengo che sia davvero il modo migliore per avviarsi sulla strada di romanziere, perché si vede tutto, si fa tutto.”

(Lacassin Francis, Conversazioni con Simenon, Lindau 2004, pp. 37-38)

Se è vero che Simenon arrivò a lavorare per la Gazzette de Liège per caso, è anche vero che egli all’epoca era solo un ragazzo di sedici anni e che quel lavoro di giornalista dovette apparirgli come l’arrivo in un mitico paese del crimine. In quegli anni era molto famoso il reporter-detective Rouletabille. Questo personaggio era stato creato dalla penna di Gaston Leroux e fu il protagonista di diverse avventure, di cui la più nota è quella de Il mistero della camera gialla, datato 1908, uno dei più famosi gialli dedicati all’enigma della “camera chiusa”. Lo stesso Simenon dichiarò che aveva letto Il mistero della camera gialla e altri due romanzi di Gaston Leroux, e che Rouletabille era diventato il suo modello: “portavo l’impermeabile come Rouletabille, il cappello abbassato sul davanti, e fumavo una pipa corta per assomigliare a lui.” (Lacassin Francis, Conversazioni con Simenon, Lindau 2004, p. 38).

È curioso far notare che anche Gaston Leroux (autore del famosissimo Il fantasma dell’Opera), come Simenon, prima di iniziare a scrivere romanzi (intorno al 1897) si era dedicato dal 1893 al giornalismo (si veda l’articolo molto approfondito Gaston Leroux, du journalisme à la littérature).
Per chi fosse interessato ad approfondire l’attività giornalistica di Simenon, tra il 1919 e il 1922, può leggere il saggio Simenon avant Simenon: les annees de journalisme 1919-1922, scritto da Jean-Christophe Camus (Didier Hatier 1989). Per chi invece cercasse qualche breve notizia sugli inizi di giornalista di Simenon può leggere l’articolo Simenon. Un giornalista di sedici anni, di Maurizio Testa.

Curiosità – Il «Ballo antropometrico»

Il 20 febbraio del 1931, in occasione della pubblicazione del primo Maigret (Le pendu de Saint-Pholien) Simenon organizza, nel famoso night club di Boule Blanche, una festa indimenticabile: Le bal Anthpometrique. Con riferimento al metodo poliziesco d’identificazione dei criminali, la serata viene, infatti, battezzata «Ballo antropometrico». Sui biglietti d’invito sono disegnate delle impronte digitali insanguinate; gli invitati, inoltre, indossano le maschere dei più famosi personaggi dei romanzi polizieschi o le vesti dei teppisti parigini e, prima di entrare, vengono loro rilevate le impronte digitali. Durante la festa, alcuni attori interpretano scene poliziesche, donne bellissime si spogliano, i camerieri versano fiumi di vino, mentre Simenon firma centinaia di copie del suo romanzo. Si trattò di una trovata geniale dello scrittore belga per lanciare la serie dei romanzi di Maigret, un’operazione pubblicitaria di cui i giornali francesi parlarono per mesi.
È in questa occasione, inoltre, che Simenon decide di non usare uno pseudonimo per i romanzi di Maigret.

Più di un anno dopo ricevetti un altro invito, scritto stavolta su una delle nostre schede dattiloscopiche.
«Georges Simenon ha l’onore di invitarla al ballo antropometrico che si terrà alla Boule Blanche in occasione del lancio dei suoi romanzi polizieschi».
Sim era diventato Simenon. O forse, per esser precisi, sentendosi ormai un personaggio importante, aveva ripreso il suo vero nome. La cosa non mi preoccupava. Non andai al ballo in questione e l’indomani venni a sapere che vi era intervenuto, invece, il questore di Parigi. La notizia era sui giornali. Gli stessi che, in prima pagina, mi informavano che il commissario Maigret aveva appena fatto il suo clamoroso ingresso nella letteratura poliziesca.

(Tratto da Georges Simenon, Le memorie di Maigret, Adelphi 2002)

Tutti i brani deLa ballerina del Gai-Moulin sono tratti dall’edizionedi Adelphi del 1994, tradotto da P. N. Giotti.

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La ballerina del Gai-Moulin
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La ballerina del Gai-Moulin
  • Simenon, Georges (Autore)

Articolo protocollato da Alessandro Bullo

Alessandro Bullo è nato a Venezia. Si è laureato in lettere con indirizzo artistico, mantenendosi con mestieri occasionali; dopo la laurea ha lavorato per alcuni anni presso i Beni Culturali e poi per la Questura di Venezia. Successivamente ha vissuto per quasi dieci anni a Desenzano del Garda per necessità di lavoro. Attualmente vive a Venezia e lavora come responsabile informatico per un’importante ditta italiana. Sue passioni: Venezia, il cinema noir, leggere, scrivere. Autori preferiti: Dino Buzzati, Charles Bukovski, Henry Miller. Registi preferiti: Elia Kazan e Alfred Joseph Hitchcock. È arrivato per due volte in finale al premio Tedeschi e una al premio Urania. Nel 2012 con “La laguna degli specchi” (pubblicato sotto lo pseudonimo Drosan Lulob) è stato tra i vincitori del concorso “Io scrittore”.

Alessandro Bullo ha scritto 66 articoli: