Questa nuova settimana al Thriller Cafè si apre non con una recensione, ma con due chiacchiere con un graditissimo ospite: John Connolly, una delle voci più interessanti del panorama internazionale (oltre che uno dei miei autori preferiti). Tra un caffè e una zeppola con la crema, ci racconterà qualcosa di lui e dei suoi romanzi, e dell’imminente The Unquiet, sua ultima fatica con protagonista Charlie Parker. Stay tuned!

tutto ciò che muore - john connolly[Thriller Cafè]: Benvenuto, John. Parlaci un po’ di te, cominciamo semmai dal tempo in cui ancora non eri un scrittore di successo…
[John Connolly]: Sono nato a Rialto, Dublino, nel 1968. Dopo qualche lavoretto saltuario ho studiato Inglese al Trinity College e ho conseguito un master in giornalismo all’università di Dublino, nel 1993. Per i successivi 5 anni ho lavorato come freelance per l’Irish Times, col quale ancora collaboro con una certa regolarità.

[TC]: E quando hai cominciato a scrivere narrativa?
[JC]: Da sempre, direi. A sei anni scrivevo avventure western su un macchinista di treni, Casey Jones, o sugli episodi di Tarzan in tv il sabato mattina. Ho scritto anche poesie, ma erano tanto terribili da essere un insulto per la Poesia, e così qualche tempo dopo le ho distrutte. In ogni caso, credo che chi finisce per scrivere per la vita abbia scritto da sempre.

[TC]: A un certo punto è arrivato poi Tutto ciò che muore (Every dead thing): ci puoi dire com’è nato?
[JC]: Ho sempre letto libri “di genere”: cominciai con un romanzo del grandissimo Ed McBain, di cui poi ho divorato tutti gli altri. Nel 1991, nell’ambito dei miei studi frequentai un corso di crime fiction: fu allora che scoprii Ross MacDonald e James Lee Burke, da cui credo di essere stato molto influenzato. MacDonald, in particolare, mi colpì per il senso di compassione e giustizia con cui permeava le proprie opere, cosa che non ero mai riuscito a trovare negli scrittori inglesi, riluttanti a mettere in discussione la società in cui ambientavano le storie.
Cominciai a scrivere Every Dead Thing nel 1993, soprattutto per evadere dal giornalismo. Non dissi a nessuno che lavoravo a un romanzo, dato che il fallimento è uno di quei problemi che se confidati vengono raddoppiati, piuttosto che dimezzati. Decisi solo che avrei usato i soldi guadagnati come freelance per andare negli Stati Uniti e fare le ricerche di cui avevo bisogno: volevo ambientare il libro in America, dato che ero interessato a scandagliare i temi delle vittime, della compassione e della redenzione che avevano naturale collocazione nel contesto urbano di grosse città, più che in quello rurale dell’Irlanda. Non avevo mai pensato di pubblicare quel lavoro, però, fino al 1996, quando a causa di un problema con l’Irish Times ebbi un periodo di grossa frustrazione. A quel tempo avevo solo metà del libro già scritta: la mandai a qualche agente e a vari editori nella speranza di avere una spinta a terminarlo. Invece mi ritrovai con circa 70 lettere di rifiuto. Solo la mia attuale agente, Darley Anderson, mi spronò a continuarlo: ripartii allora per gli States, spesi tutti i soldi che avevo e finii il romanzo. Nel 1998 vendetti i diritti a Hodder, in Inghilterra. Non ci credevo, e ancora non ci credo.

[TC]: Raccontaci l’emozione di vederlo sugli scaffali…
[JC]: Non ricevetti copie prima che fosse disponibile in libreria, così capitò che passeggiassi per Grafton Street, a Dublino, e vedessi una copertina in vetrina. “Ehi, quello sembra essere il mio nome”, pensai. Entrai nella libreria, presi il libro e me lo rigirai tra le mani, un po’ imbarazzato. Lo posai e feci un passo indietro. Entrò una donna, prese il libro, lo guardò, lesse la quarta di copertina, lo sfogliò… e lo rimise a posto…

[TC]: Dopo la pubblicazione, il libro fu abbastanza criticato. Come prendesti certe recensioni davvero dure?
[JC]: Devo dire che ebbi delle recensioni terribili: una di esse credo sia ancora oggi una delle stroncature più forti a un libro che abbia mai letto. Mi sentii come se mi avessero rapinato. Adesso, certo le recensioni negative fanno male (ed è inevitabile se ci tieni a ciò che fai), ma non come prima. Ora mi rendo conto che ci sono persone a cui non piace quello che faccio, ma che sono anche fortunato perché ne esistono altre a cui invece piace, che capiscono i miei intenti. Credo in ogni caso che sia meglio suscitare reazioni estreme, piuttosto che avere molti “Carino”…

[TC]: E veniamo allora a Charlie Parker, il protagonista di Tutto ciò che muore e di altri romanzi successivi: cosa puoi dirci di lui?
[JC]: Parker è un uomo tormentato dalla morte della moglie e della figlia, uccise mentre stava a compatirsi bevendo in un bar. Nel corso di Every Dead Thing e dei libri seguenti egli si sviluppa poi come un essere umano che dopo aver conosciuto la violenza scopre la compassione, un uomo che realizza che deve perdonare se stesso se vuole riparare ai propri errori.
Dal punto di vista fisico, l’ho lasciato volutamente non ben caratterizzato: a parte pochi dettagli i lettori possono figurarselo a piacimento, in base a come lo “sentono” dai romanzi. Mi interessa di più che chi legge riesca a entrare nella sua mente, scoprire il mondo come lo sperimenta lui sulla propria pelle. E’ questo uno dei motivi per cui, se mi chiedessero quale attore vedrei bene per impersonare Parker in un film, non saprei che rispondere. Potrebbero essercene molti adatti, o allo stesso modo inadatti…

[TC]: E quanto di John c’è in Charlie?
[JC]: Parker è un paio d’anni più vecchio di me ma condivide parecchie mie opinioni e punti di vista, miei gusti, la mia morale, credo. Attraverso di lui ho anche esplorato alcuni elementi della mia vita, cercando di capire meglio me stesso e il mondo in cui vivo. Ho usato Parker come una sorta di prisma, se vogliamo. Siamo molto simili, sì, e col passare del tempo penso lo siamo diventati ancora di più.

gente che uccide - john connolly[TC]: Parker ritorna poi in Il ciclo delle stagioni (Dark Hollow), Gente che uccide (The killing kind), Palude (The white road) e L’angelo delle ossa (The black angel). Facciamo una breve carrellata su questi romanzi – e non ti preoccupare che poi te li recensisco tutti ;-)…
[JC]: Dark Hollow è ispirato principalmente dai motivi base di quella tradizione che emerge nel libro: la foresta nera, il mostro che ritorna dal passato, il figlio abbandonato. Volevo deliberatamente creare un’atmosfera sinistra per il romanzo. Anche se alcuni lo hanno definito in quel modo, non è un “serial killer novel”, la vicenda centrale è un tantino più complessa, e il romanzo successivo non lo è del tutto.
The killing kind segue la strada tracciata dai predecessori: nel primo romanzo abbiamo la morte, la colpa, la ricerca del perdono, nel secondo la ripazione, nel terzo c’è la redenzione. E’ un libro dove la speranza è più presente rispetto ai precedenti; secondo me è meno dark degli altri, anche se molti non sono stati d’accordo con la mia opinione. Nel successivo The white road, poi, molti fili lasciati appesi nei volumi precedenti si annodano, e l’intero romanzo potrebbe essere visto come una coda all’intera sequenza su Charlie Parker. Probabilmente è il più nero dei miei lavori: dominato da un senso di oppressione che grava sui personaggi sin dall’inizio. L’ultimo libro della saga finora edito, The black angel, riprende elementi da ciascuno dei miei altri scritti, gettando luce su particolari citati in passato e che ora assumono un più ampio significato. A ogni mio romanzo cerco di far in modo che il lettore possa vedere l’intera trama della serie da una prospettiva diversa…

[TC]: Sia in L’angelo delle ossa che in Bad Men e Nocturnes (inediti in Italia), sembri aver definitivamente imboccato una strada che porta sempre più al soprannaturale: è così? E cosa rispondi a chi critica questa scelta?
[JC]: A parte Nocturnes, che è dichiaratamente una raccolta di racconti soprannaturali, credo che la mia letteratura si possa definire “mystery fiction”, nell’accezione più ampia possibile. Odio le limitazioni e non vedo perché non si possano inserire elementi fuori dal comune nelle trame dei romanzi. Mi sembra francamente strano che mi si critichi per questa scelta, quando il “genere” in cui mi muovo può accettare gatti, o anche fantasmi, che risolvono delitti… D’altro canto, quanto narrato è sempre filtrato da Parker, un uomo scosso per la morte della moglie e della figlia, emotivamente debole: è davvero tormentato dai morti? O sono un suo parto mentale, una proiezione del peso che si porta dentro? O ancora, forse la realtà sta nel mezzo? Credo che i miei lettori siano abbastanza intelligenti per decidere a cosa credere e a cosa non credere di quanto descritto nei libri. Ognuno può accettare quel che sente di poter accettare…

[TC]: Riguardo a Nocturnes, che hai citato, tempo fa lanciasti una simpatica iniziativa per gli iscritti alla tua mailing list, cui regalasti un volumetto (Nocturne: a coda) di racconti non inclusi nella raccolta. Come ti venne l’idea?
[JC]: Avevo tagliato quelle tre storie dalla raccolta perché non le ritenevo del tutto funzionanti: c’era qualcosa che mi lasciava insoddisfatto, ma ci avevo ugualmente lavorato molto per tentare di sistemarle e non volevo buttarle via del tutto. Decisi di di realizzare un piccolo volume extra e regalarlo a chi mi seguiva e mi testimoniava la propria stima sul mio forum. Mi dispiace solo averne avute così poche da distribuire.

unquiet - john connolly[TC]: Tra meno di un mese esce in Irlanda, Regno Unito e Stati Uniti il tuo ultimo romanzo, The Unquiet. Ci dai qualche anticipazione?
[JC]: In questo libro Parker viene contattato da una donna, Rebecca Clay, che gli chiede di aiutarla a liberarsi di un uomo che la perseguita. Frank Merrick continua a farle domande su suo padre, lo psichiatra Daniel Clay, e Parker indagando scoprirà che la figlia dello stalker era scomparsa tempo prima, mentre era in cura proprio presso il dottor Clay, che Merrick è un killer a pagamento assoldato da un vecchio avvocato del Massachusetts, e che tutti mentono…
Rispetto alle mie opere precedenti, è più autoconclusivo e riprende solo in parte quanto accaduto in passato a Charlie. Volevo scrivere un libro che fosse complesso non nel gran numero di temi e personaggi ma nella vicenda in sé, senza che però fosse difficile da leggere. E’ una cosa più complicata di quanto si possa pensare.
Credo che questo romanzo chiuda comunque una tappa della vita di Charlie, e alla fine c’è una rivelazione che non credo i lettori si aspettino, al momento, però, non posso svelare di più…

[TC]: Okay, grazie, John, è stato un piacere ospitarti qui al Thriller Cafè. Spero che ripasserai, prima o poi: puoi anche mimetizzarti tra gli avventori per sentire come parlo dei tuoi scritti, se ti pare il caso 😉
[JC]: Chissà, come idea non mi pare malvagia. O se no torno giusto per queste zeppole con la crema: sono deliziose, e sai bene che dalle mie parti non si trovano… Tienine sempre qualcuna da parte, mi raccomando!

Nota del barman: alcune delle domande e risposte sono state davvero poste personalmente dal sottoscritto al buon John, altre riprese (con qualche licenza) dalle faq del suo sito, che vi invito a visitare: http://www.johnconnollybooks.com
Spero la chiacchierata vi sia stata gradita. Quanto alle zeppole, da oggi non chiedetemi mai se potete avere quell’ultima: adesso sapete per chi è riservata…

Articolo protocollato da Giuseppe Pastore

Da sempre lettore accanito, Giuseppe Pastore si diletta anche a scrivere e ha pubblicato alcuni racconti su antologie e riviste e ottenuto vittorie e piazzamenti in numerosi concorsi letterari. E' autore (assieme a S. Valbonesi) del saggio "In due si uccide meglio", dedicato ai serial killer in coppia. Dal 2008 gestisce il ThrillerCafé, il locale virtuale dedicato al thriller più noto del web.

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