Intervista a Sara BlaedelAutrice di Le bambine dimenticate, recensito sulle nostre pagine qualche settimana fa, Sara Blædel è oggi nostra ospite per rispondere a qualche domanda riguardo al suo ultimo romanzo e non solo.
Ecco a seguire la nostra intervista.

[D]: Com’è nata questa storia?
[R]: Dunque, ci sono diversi elementi importanti. Dopo sei libri (viaggi) con Louise a capo della squadra Omicidi, ero certa che avesse bisogno di cambiare. Ho deciso di trasferirla nel Servizio Investigativo Speciale per le persone scomparse che, tra le varie cose, le avrebbe consentito di lavorare fuori da Copenaghen. Volevo che si occupasse dei casi delle cittadine di provincia, il tipo di luogo in cui sono cresciuta e che conosco molto bene. Ritengo che posseggano una sensibilità del tutto differente dovuta al fatto che lì tutti si conoscono, il che ha un impatto decisivo sul modo in cui si rapportano tra di loro.
Sentivo che era giunto il momento di indagare nel passato di Louise; di metterla di fronte ai suoi scheletri nell’armadio e ai fantasmi che la perseguitavano. È cresciuta in un provincia: questo ha fatto scattare la connessione e l’ha riportata nel suo passato. Mi attraeva esplorare la possibilità di un suo coinvolgimento romantico, e vedere cosa sarebbe entrato in gioco.
Volevo anche esplorare il tema dei “bambini dimenticati”. Rimasi colpita quando scoprii come venivano trattati i malati mentali e come ai genitori dei bambini che venivano rinchiusi negli istituti venisse consigliato di metterci una pietra sopra… di dimenticare quei bambini e averne di nuovi. Per ricominciare senza guardarsi indietro. Mi sconvolse venire a sapere che questo accadeva ancora recentemente. Non negli anni Trenta, come ci si potrebbe aspettare, ma negli anni Ottanta.

[D]: Alla fine del libro dici che la storia è frutto della fantasia, ma una parte è basata su fatti reali. Cosa ti ha colpito di questi casi?
[R]: Questi casi scioccanti realmente accaduti, queste vite devastate dagli istituti mentali – non riuscivo a togliermeli dalla testa, e mi sentivo costretta a esaminarli e portarli alla luce. Rimasi particolarmente sorpresa nel constatare per quanto tempo queste ingiustizie vennero praticate e considerate normale amministrazione. Un professore, con cui ho parlato durante le mie ricerche, mi ha detto qualcosa che ho trovato incredibilmente provocatorio e azzeccato. Ha fatto notare che noi, in quanto civiltà, siamo sempre in evoluzione ed espansione; per cui, sebbene ci consideriamo, oggi nel 2017, degli illuminati, nel 2047 le persone guarderanno con stupore e forse addirittura orrore ad alcuni elementi delle nostre vite e a come ci comportiamo.

[D]: Il passato è uno dei principali temi del libro. L’indagine fa emergere pian piano segreti nascosti, in particolare della vita privata di Louise: il ritorno nei luoghi della sua infanzia la obbliga ad affrontare i suoi demoni. Nella nota finale spieghi che quelli sono anche i luoghi della tua infanzia. Perché fare i conti col passato è così interessante?
[R]: Be’, studiare il nostro passato non solo aiuta a capire chi siamo, e perché, ma anche a guidarci e e impedirci di cadere negli stessi errori. Noi tutti abbiamo traumi e segreti; noi tutti in qualche modo cerchiamo di tenere a distanza il nostro presente e quegli aspetti della nostra storia passata che sono dolorosi o negativi.
Sono cresciuta nella stessa cittadina della casa d’infanzia di Louise. La conosco e comprendo in maniera intima e tangibile. Volevo veramente esplorare in che modo le persone che vivono in comunità fisicamente piccole e molto unite si trattassero reciprocamente. Quando scoprono, ad esempio, che il figlio del macellaio ha commesso un crimine, magari ricordano bene di come fosse sempre stato un po’ “tocco”. O ricordano qualcosa accaduto nella sua vita che potrebbe avergli creato problemi e averlo portato a cattive decisioni. Potrebbero essere affezionati ai suoi genitori o ai nonni e accampare scuse per azioni discutibili. O, al contrario, potrebbero essere mossi da preconcetti e conflitti personali, e per tanto presumono la colpevolezza prima di conoscere i fatti.

[D]: Fino alla fine del libro ho avuto l’impressione che non ci fosse un “cattivo” specifico (anche se c’è un colpevole”. È stata una scelta precisa?
[R]: Certo. È stata un mia scelta quella di mostrare come tutte le persone (anche quelle che fanno cose terribili) siano stratificate. Nessuno è esclusivamente bianco o nero o definibile in maniera così facile – abbiamo tutti zone grigie, zone d’ombra, ed è lì che di solito si trovano le ragioni che fanno sì che una persona diventi cattiva. Ritengo che sia un tema molto interessante. Farebbe bene a tutti occuparsene più attivamente.

[D]: È sempre difficile classificare un libro, e forse non ce n’è bisogno. Noir, crime, thriller eccetera: nella mia recensione del libro lo definisco un “bien-fait thriler”. Concordi?
[R]: È una grande domanda. Le classificazioni mi terrorizzano, ho visto così tante ottime opere smarrire i propri lettori a causa del modo in cui sono state commercializzate e della loro collocazione nelle librerie. I libri di un sacco di autori non hanno la giusta occasione che meritano perché i lettori non sanno dove trovarli o, ad esempio, potrebbero tenersi alla larga da certi generi, e pertanto non si disturbano nemmeno a guardare cosa c’è in certe sezioni della libreria o della biblioteca dove vanno in cerca del loro materiale di lettura. Si perdono così tanto di quello che potrebbero amare per davvero.
Non mi interessa che i miei libri vengano chiamati thriller, romanzi di suspense o polizieschi. Mi concentro nel raccontare storie più emozionanti e autentiche possibili.
La tua classificazione mi intriga, “bien-fait thriller”. Ho fatto una piccola ricerca ma non sono sicura di cosa significhi, e apprezzerei davvero sentirlo. Sono tutta orecchi.

[D]: Hai autori che consideri punti di riferimento?
[R]: I miei punti di riferimento nascono tutti dalle mie ricerche, che per me sono un imperativo. Adoro la fase di ricerca per la stesura del libro, e trovare autenticità e ottenere una certa organicità, cruciale soprattutto per quanto riguarda personaggi, ambientazioni e trama. Sono stata molto fortunata ad aver conosciuto e lavorato (e a continuare a lavorare e conoscere) con degli esperti di tutto, dalle procedure di polizia alle malattie mentali, la storia degli istituti psichiatrici, o qualunque altro argomento io stia studiando per un libro. Per le ricerche viaggio anche spesso, vado nei luoghi dove i miei personaggi vivono, dove lavorano, guardo fuori dalle loro stesse finestre.

[D]: Chi sono i tuoi autori contemporanei preferiti?
[R]: Oggi esistono davvero tanti grandissimi scrittori. Fra i miei preferiti ci sono Karin Slaughter, Michael Connelly e Åsa Larsson.

[D]: E scrittori italiani?
[R]: Sono una grande fan di Elena Ferrante.

[D]: Le bambine dimenticate è parte di una serie: quando hai creato Louise Rick avevi già in mente di scrivere più di un libro, o l’idea ti è venuta scrivendo?
[R]: A parte i primi due libri, non avevo grandi programmi mentre scrivevo il primo. Ero totalmente concentrata nel confezionare una buona storia e di sicuro speravo di stabilire una connessione con i lettori, di soddisfarli. Quando sento dentro di me che ci sto riuscendo, allora diventa necessario e urgente continuare. Quello che mi spinge ad andare avanti è sempre il libro.
Dopo aver completato il libro #9 della serie di Louise, ho avuto una gran voglia di un personaggio nuovo e una nuova serie. Devo sentire quella spinta magnetica, altrimenti non riesco a immergermi davvero. Con la nuova serie mi sono divertita molto ma, naturalmente, continuerò con Louise Rick. Lei è parte di me; mi è entrata dentro. Ha ancora molto da fare, naturalmente.

[D]: Perché scegliere la serialità?
[R]: Non ho scelto di scrivere una serie. Per me il punto è sempre la qualità, non la quantità. Finché sentirò quella spinta e quel coinvolgimento, e finché crederò che le storie siano forti e affascinanti, continuerò.

[D]: Ci può anticipare qualcosa sui prossimi libri con Louise Rick?
[R]: Con piacere! Vi parlo volentieri di The Killing Forest, che comincia con un ragazzo di quindici anni che si nasconde nella foresta. È completamente solo. Sua madre sta morendo e l’unica cosa che desidera è stare con lei. Anche questo racconto è ambientato nella cittadina di Louise Rick, e la sua odissea personale continua. Per molti versi, è la sua occasione di rivedere la sua storia personale; di mettere fine al suo passato doloroso.

[D]: Grazie per essere passata al Thriller Café.

Articolo protocollato da Nicola Campostori

Laureato in Scienze dello Spettacolo, vive nella Brianza tossica. Attualmente lo puoi trovare in biblioteca, da entrambe le parti del bancone. Collabora con "Circo e dintorni". Ama il teatro, e Batman. Ha recitato, a volte canta, spesso scrive, quasi sempre legge. Nutre i suoi dubbi, ed infatti crescono bene.

Nicola Campostori ha scritto 76 articoli: