Dario CamilottoOspite oggi su Thriller Café, Dario Camilotto, autore de Il manipolatore di sogni e L’uomo di Innichen, che si racconta in una lunga e interessante intervista. Vi consiglio di non perdervela!

D: Allora, nasci nel 1960. Ti dedichi agli studi classici e inizi a lavorare nel campo della pubblicità, art director, poi responsabile della comunicazione. Infine, consulente di immagine e di designer… Quindi hai acquisito una grande esperienza in ciò che riguarda “L’APPARIRE” … e forse, per quanto riguarda “L’ESSERE”, ti sei cimentato nella scrittura? Guarda caso, il primo romanzo Il manipolatore di sogni, mette in discussione proprio l’apparenza e quanto sia irreale e pericoloso il mondo pubblicitario. Credi davvero sia così? Siamo in fondo tutti manipolati dalle immagini e da quello che ci viene propinato?
R: La pubblicità non è più o meno pericolosa. Considerarla in questi termini è conferirle un ruolo che non possiede. Come ho accennato in fondo al Manipolatore di Sogni, la pubblicità non è altro che uno dei tanti strumenti del marketing mix, come il prezzo del prodotto, la sua distribuzione, l’analisi del target al quale comunicare il messaggio. Sicchè sostenere che la pubblicità sia l’anima del commercio è limitativo, e sostenere che sia il commercio dell’anima è una sciocchezza. Per quanto riguarda i ragazzi, e i punti di riferimento fasulli e distorti che riceverebbero dai consigli degli acquisti, sospetto che molto spesso sia dovuto a uno scambio di ruoli, là dove i genitori delegano ai mass-media il compito di crescere e di educare i figli. Mi rendo altrettanto conto che le parole “educare” e “insegnare” comportino un impegno in termini di tempo e di coerenza: educare proviene da “ex duco”, che vuol dire trarre il meglio dalla personalità di un ragazzo, e stimolare le sue capacità affinchè diventino qualità preziose nella sua vita di adulto. Insegnare proviene da “in signo”, che significa “metto il segno”, cioè cercare di trasmettere a un ragazzo il proprio bagaglio di esperienze, i valori che informano la nostra vita di adulti, attraverso il dialogo e il buon esempio. Gli adulti, da parte loro, hanno tutti gli strumenti necessari per difendersi dal bombardamento dei media, se sono persone consapevoli e dotate di spirito critico. Per questo sostengo che la pubblicità, più trova il vuoto nei nostri cuori, più lo imbottisce di desideri illusori. Sicchè il vero problema non sta nello strumento, ma nel suo obiettivo.

D: Ti improvvisi scrittore o ti sei cimentato, come fanno in molti, prima in racconti? E perché poi proprio in questo genere? Oppure hai avuto una specie di “folgorazione” e hai voluto trascriverla?
R: Non mi sono mai cimentato in racconti. Tutto ciò che ho scritto prima del Manipolatore sono state lettere d’amore, e ripensandoci, hanno sortito un certo effetto :-).
Il genere thriller è quello che meglio esprime la mia personalità e la mia (limitata) capacità di far scaturire emozioni in chi mi legge. Invidio chi sa scrivere romanzi di narrativa intimista, o saghe familiari ambientate nella quotidianità della vita. Io non ne sarei capace. Ho bisogno dei conflitti portati all’esasperazione, mi piace amplificare i drammi, ammantarli di tenebra, scavare nelle ansie e nelle inquietudini, suscitare sensazioni forti come la commozione, la paura, la voglia di divorare le pagine. Credo che tutto questo derivi dalla mia formazione di pubblicitario. La pubblicità, in fondo, non è altro che la rappresentazione di spicchi di vita portati all’eccesso.
Non c’è stata folgorazione, almeno per quanto riguarda il Manipolatore. Tutto è cominciato in modo del tutto naturale e tranquillo, in forma di lettera destinata a… uno dei protagonisti del romanzo, lettera che è proseguita per tutte le 470 pagine del libro.

D: Ti sei divertito molto a scriverlo e quanto ci hai impiegato?
R: Scrivere il Manipolatore di Sogni non è stato divertente. E’ stato avventuroso. Pagina dopo pagina ho scoperto che stava prendendo forma una bella storia. La sfida è stata quella di cercare di riuscire a portarla a termine.
Ho impiegato poco più di un anno a scriverlo, e un anno e mezzo a renderlo fluente e a eliminare tutto ciò che era ridondanza.

D: E’ stato difficile fartelo pubblicare?
R: Non è stato difficile farlo pubblicare. E il destino ci ha messo sicuramente del suo, indipendentemente dalle qualità del romanzo. Da parte mia, una volta terminato il libro, ho spedito una decina di dattiloscritti alle principali Case Editrici. Quattro mesi dopo mi ha risposto Mursia, e abbiamo siglato il contratto.

D: Il secondo libro, L’uomo di Innichen, è molto diverso dal primo. Passano 5 anni dalla prima pubblicazione. Perché questo silenzio? Ti senti maturato rispetto a “Il manipolatore di sogni”?
R: Il silenzio è dovuto al fatto che il romanzo mi ha creato diversi problemi di carattere emotivo, e ho dovuto interromperlo per più di un anno. Immedesimarmi nei due personaggi agli antipodi, il protagonista e l’antagonista, non è stato facile, tanto più quando, per esigenze di trama, si vanno a esplorare le stanze sbarrate della nostra coscienza, nella quale talvolta scopriamo cose che allignano nell’oscurità. Sappiamo che esistono, spesso ci rifiutiamo di riconoscerle, e quando le portiamo alla luce attraverso il personaggio di un libro, non facciamo che diventare cronisti, da scrittori che eravamo, dei nostri stessi stati d’animo. Scivoliamo in un abisso, e ne usciamo a stento soltanto quando scriviamo la parola fine. Nel romanzo c’è una frase che mi sembra indicativa per esprimere il concetto. Recita: “Come se ci fosse un luogo nel quale puoi
fuggire da te stesso.”
Sì, mi sento maturato relativamente alla consapevolezza di essere uno scrittore. Ho saltato per tutta la mia vita da un’isoletta all’altra, chiedendomi che cosa avrei fatto da grande. Ora credo di averlo capito. A meno che, improvvisamente, non mi arrivi l’opportunità di diventare un camionista e di governare un Peterbilt 🙂

D: Permettimi di citare la frase con cui presenti il tuo libro: “Se un uomo vi uccide perché ha falciato le vostre speranze, siate così incoscienti, da farne germogliare di nuove. Se un uomo vi uccide perché ha derubato le vostre ricchezze, trovate
il coraggio di ricominciare. Se un uomo vi uccide perché ha calpestato la vostra dignità, siate così forti da riscattarla con il perdono. Ma se avete un figlio e un uomo lo uccide, non affidate quell’uomo al giudizio di Dio, e non consegnatelo al castigo degli uomini. Cercatelo, trovatelo e strappategli il cuore”.
E’ veramente un’immagine fortissima, che va a trattare un argomento delicato e sempre di attualità… la morte di un figlio. Il sangue del tuo sangue che viene ucciso e non esiste pietà, non esiste perdono, ma solo sete di vendetta.
Credo sia la frase che mi ha colpito maggiormente, questa irrazionalità che fa trasformare le vittime in carnefici. Ma questo vale sia nel caso del genitore per la morte di un figlio, che per un figlio maltrattato dai genitori.
Hai figli? Se si, quanto ti ha coinvolto la stesura proprio per questo motivo? sei riuscito a rimanerne distaccato?
R: Ho una figlia di 15 anni che si chiama Virginia, e che è anche la protagonista del Manipolatore, insieme a mia moglie Anna. (a noi piace fare le cose in famiglia :-). Virginia naturalmente, non è una veggente, e se nel Manipolatore ho ucciso Anna per mano di un sicario, mia moglie sa perfettamente quale è il confine tra la realtà e la fantasia, e non è ancora fuggita di casa. La stesura del Manipolatore non ha coinvolto per nulla Virginia, nè è stata motivo di influenza da parte sua. Grazie a Dio, Virginia ed io abbiamo un rapporto molto bello, complice, con dei ruoli definiti.
E’ una ragazzina deliziosa e molto matura. Ha già letto il Manipolatore, ma L’Uomo di Innichen le è interdetto fino al raggiungimento della maggiore età.

D: La canzone che tu citi nel libro, di Elvis Presley, Are you lonesone tonight? In teoria dovrebbe essere associata ad un momento romantico… invece nel romanzo viene usata come sottofondo a degli omicidi. Come hai avuto questa idea?
R: Mi piacciono i contrasti, soprattutto quando vengono adoperati romantici messaggi d’amore per compiere crudeltà inaudite.

D: Mi vorrei soffermare sul linguaggio della tua scrittura, lineare e scorrevole, che risulta quasi come una lunga chiacchierata con il lettore, dove le pause vengono calibrate al momento giusto e tengono il cuore in sospensione… come ti sei preparato?
R: Non c’è stata preparazione. Diciamo che una certa musicalità del linguaggio, e la capacità di dosare gli affondi e le pause l’ho acquisita negli script pubblicitari. I testi nella pubblicità devono avere la caratteristica di catturare senza lasciare fiato, altrimenti non servono a nulla.

D: Quali autori preferisci leggere? Hanno in qualche modo influito sulle tue scelte?
R: Non ho autori che preferisco leggere, a parte Stephen King, nè ho generi di letteratura che prediligo. A mio parere non esistono classificazioni letterarie relative alla serie A o alla serie B. Pondero la qualità di un romanzo dalle emozioni che è in grado di suscitarmi. Sicchè, ultimamente ho letto The Dome di King, ho riletto Va dove ti porta il cuore, e adesso sto leggendo un libro sui motori endotermici scritto da Dante Giacosa, il grande ingegnere che ha diretto il reparto motori di Fiat negli anni ’50.

D: Quanto hanno influito sull’aspetto pubblicitario i Facebook, Anobii, i vari forum letterari? Pensi che possano dare maggiore visibilità?
R: I social network influiscono molto sulla promozione di un libro; i blog sono una bella vetrina per far conoscere un romanzo, perchè non c’è nulla di più credibile e prezioso della recensione di un lettore (quando è confortante, naturalmente :-). I blog, inoltre hanno il pregio di presentare un romanzo nella sua sinossi e negli accenti che meglio lo contraddistinguono. E’ come se il lettore fosse preso per mano e accompagnato, con molta professionalità, in una libreria virtuale dove ha la possibilità di operare delle scelte ragionate. Poi può andare in una vera libreria, e toccare e guardare e maneggiare e annusare, se vuole, il libro che ha scelto, prima di acquistarlo; oppure, se non lo trova subito in libreria, può
acquistarlo direttamente online presso i grandi negozi di vendita. Comunque sia, un romanzo coinvolge la totalità dei sensi. Ho sempre pensato che non c’è profumo migliore di quello della carta stampata.

D: Se dovessi presentarti da solo, su quale caratteristica metteresti l’accento maggiormente?
R: Direi che, essendo un pubblicitario, sono in fondo un manipolatore di sogni che scrive di assassini, e il crimine è il sogno più seducente che ci sia.

D_ So che ti stai preparando a scrivere il terzo libro, ci puoi anticipare di cosa parlerai?
R: E’ troppo presto per dare dettagli. Posso solo dire che sarà un libro che mi obbligherà a svolgere lunghe e approfondite ricerche per la documentazione, e che mia moglie non è perfettamente d’accordo sulla scelta del soggetto.

D: Per finire questa intervista, a quale domanda avresti voluto rispondere, non presente fra le
precedenti?
R: La domanda è questa: Che cosa ti fa veramente paura? Risposta: Tutto ciò che mi trova impreparato ad affrontarla.

Foto tratta da http://www.oknovara.it

Articolo protocollato da Cecilia Lavopa



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