custerlinaDopo aver recensito lo scorso mese Il segreto del Mandylion, primo capitolo della trilogia All’ombra dell’impero, intervistiamo oggi Alberto Custerlina, a proposito del suo ultimo romanzo e non solo.

[D]: Cominciamo con una domanda che ho in punta di dita da un po’: perché sei passato dal noir/pulp al romanzo storico? E perché proprio Trieste come location?
[R]: Il romanzo storico è una mia vecchia passione ed è la prima cosa che ho tentato di scrivere quando ho deciso di provare a diventare uno scrittore. Naturalmente, all’epoca non possedevo né le basi teoriche, né la tecnica giusta per poter affrontare un lavoro del genere, quindi ho messo da parte il progetto e l’ho tirato fuori dal cassetto soltanto quando mi sono sentito pronto.
La narrazione l’ho ambientata a Trieste perché è la mia città, ma soprattutto perché è un luogo con una storia tanto ricca e complessa, che poche altre città le possono stare alla pari da questo punto di vista. Inoltre, mi piaceva l’idea di diffondere in Italia (e speriamo anche nel mondo) questa visione di Trieste.

[D]: Che cos’è il Mandylion?
[R]: Il mandylion (greco “μανδύλιον”, arabo ﻣﻨﺪﻳﻞ, “mandīl”) o Immagine di Edessa era un telo, venerato dalle comunità cristiane orientali, sul quale era raffigurato il volto di Gesù. L’immagine era ritenuta di origine miracolosa ed era quindi detta acheropita, cioè “non fatta da mano umana”.
La leggenda narra che che Abgar V Ukama (“il Nero”), re di Edessa (4 a.C.–7, 13–50), era malato (probabilmente di lebbra). Saputo dell’esistenza di Gesù che operava miracoli, gli mandò un suo inviato per chiedergli di recarsi alla corte di Edessa. Gesù non accettò l’invito, ma inviò una lettera.
Un’altra versione della storia, però, è più affascinante: Abgar avrebbe inviato un messaggero per osservare attentamente le sembianze del Cristo allo scopo di riprodurle in un dipinto, ma poi sarebbe stato il Nazareno stesso a dargli una sua immagine asciugandosi il volto su un telo “ràkos tetràdiplon”, cioè ripiegato quattro volte doppio, sul quale rimase impressa la sua faccia. Quel panno, chiamato “sindon” o “mandylion”, con la straordinaria immagine acheropita (cioè “non fatta da mani d’uomo”), fu portato al re, che lo venerò e fu guarito dalla sua malattia.
Il mandylion, quindi, era conservato a Edessa di Mesopotamia, ma in seguito fu traslato a Costantinopoli.
Da lì in poi successero molte altre cose, ma qui non posso narrarvele perché vi svelerei troppo riguardo alla trama del romanzo.

[D]: E tu come sei entrato in contatto con la storia di questa reliquia?
[R]: A me piace molto leggere saggi storici e quando trovo qualcosa che potrebbe servire in un romanzo, me lo annoto, per eventuali usi futuri. Per il Mandylion è andata così e se ben ricordo si trattava un articolo accademico trovato in rete.

[D]: Tornando a parlare del libro, ho notato che la ricostruzione dell’ambientazione è molto accurata; sei riuscito a raccontare con un’impressionante dovizia di particolari i luoghi, gli usi e i costumi della Trieste asburgica. Quanto tempo hai dedicato all’attività di ricerca?
[R]: La ricerca è durata otto anni, ma con lunghe pause e impegno diverso a seconda del momento. Dopo aver mollato la prima stesura (nel 2005), ho continuato a interessarmi alla storia della Trieste asburgica e quindi ho continuato a raccogliere materiale. Poi c’è stato anche un lungo periodo di scrematura, riorganizzazione e di controllo incrociato delle fonti. È interessante rilevare questo fatto: ottenere un’informazione non conclude il lavoro, perché bisogna essere assolutamente certi della sua attendibilità e quindi la ricerca continua per trovare i riscontri o le smentite.

[D]: Quali sono state le tue fonti principali?
[R]: Gli archivi dei giornali (di cui uno austriaco, molto completo e consultabile sul web), le pubblicità dell’epoca, le cartoline e le fotografie, i romanzieri vittoriani e della Belle Epoque. E poi un numero elevatissimo di saggi storici che raccontano la Trieste dell’epoca.

[D]: Quanto ti ha arricchito culturalmente tutto questo lavoro?
[R]: Molto. Scrivere un romanzo storico è un’esperienza unica che ti lascia un bagaglio culturale e filosofico notevole. E qui mi piacerebbe fare un distinguo a cui tengo particolarmente: al di là della trama e dei contenuti del romanzo, io separerei i romanzi storici propriamente detti da quelli di fantasia d’ambientazione storica. Il romanzo storico vero e proprio si appoggia solidamente su fatti realmente accaduti e/o su persone veramente esistite (che però, non necessariamente devono essere protagonisti), mentre la narrativa di fantasia (fantasy, nel senso americano del termine) ambientata in un mondo storico si limita a usare la Storia come scenografia.
È ovvio, quindi, che la lettura del primo non può che accrescere anche il tuo bagaglio culturale mentre il secondo si limita soltanto all’intrattenimento.

[D]: C’è un autore, o più di uno, che ritieni abbiano esercitato un’influenza nel tuo modo di affrontare la stesura di questo libro?
[R]: Ci sono molti autori che considero dei riferimenti e che di certo mi hanno influenzato. Ne cito alcuni: Doyle, Salgari, Verne, Dickens, Lovecraft, Svevo…

[D]: Una cosa che mi ha colpito del romanzo è stato il suo essere, se mi passi il termine, ‘multi-genere‘. Ci ho trovato un po’ di thriller, un po’ di giallo, un po’ di mistery e tanta avventura in una miscela molto equilibrata. Hai dovuto faticare per tenere insieme le varie ‘anime’ del libro o hanno trovato da sole il modo di convivere pacificamente?
[R]: Non voglio sembrare presuntuoso, ma questa è un’abilità che prevede una parte di talento e una parte di duro lavoro nel tempo. Sul primo non possiamo dire nulla, ma sul secondo vale la pena di spendere qualche riga.
Per governare nel miglior modo possibile un romanzo “multigenere” o crossover (come dicono gli americani) è necessario avere un grande bagaglio di letture e di visioni cinematografiche e televisive. Poi bisogna frullare tutta sta roba che hai raccolto nel tempo, digerirla e poi trattarla con il talento, che si occupa di equilibrare nel modo migliore le dosi degli ingredienti.

[D]: In questo momento sei impegnato nella scrittura del seguito, vero? Quando è prevista l’uscita?
[R]: Confermo. Il seguito, intitolato “La carovana dei prodigi” è in fase di scrittura e la sua pubblicazione è prevista per l’autunno 2014.

[D]: Una domanda che faccio sempre, perché mi piace sapere come gli autori vedono i propri personaggi: se dovessero ricavare una sceneggiatura dal tuo romanzo, chi vedresti bene nel ruolo di Artan Hagopian?
[R]: Johnny Depp, ma com’era prima di Jack Sparrow.

[D]: E nel ruolo di Adler?
[R]: Jude Law.

[D]: Tu tieni anche dei corsi di scrittura. Ti va di dare un consiglio agli aspiranti scrittori che stanno leggendo questa intervista?
[R]: Leggete molto e scrivete molto, siate autocritici al 100% e accettate i consigli di chi (per ora) scrive meglio di voi. E frequentate i corsi di scrittura, che sono tutt’altro che inutili, a patto, però, che siano tenuti da autori con (almeno) alcune pubblicazioni alle spalle.

[D]: Un’ultima domanda: tu possiedi una DeLorean DMC-12?
[R]: Sì, ma l’ultima volta che l’ho usata si è guastata e ora mi tocca restare a vivere in questa epoca e non è che mi piaccia molto.

[D]: Be’, siamo arrivati alla fine. Ti ringraziamo per la tua disponibilità. C’è qualcosa che vorresti dire ai lettori di Thriller Café, prima di lasciarli?
[R]: Faccio una richiesta: per un autore è molto importante il feedback dei suoi lettori (anche negativo) per cui, per piacere, lasciate commenti e voti sugli store online oppure su siti come Anobii o Goodreads. Grazie.

Articolo protocollato da Oreste Patrone



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