gorky park - martin cruz smith

Con questo articolo, inizia una serie di recensioni sui thriller di Martin Cruz Smith con protagonista Arkady Renko. Si parte naturalmente con il capolavoro Gorky Park, pubblicato in America nel 1981. In Italia il romanzo arrivò l’anno dopo per le edizioni Mondadori, con la traduzione di Pier Francesco Paolini.

Gorky Park vinse nel 1981 il Gold Dagger Award per il miglior romanzo poliziesco dell’anno.

TRAMA
Gorky Park è ambientato nella Mosca degli anni settanta, durante l’era di Leonid Breznev.
A “Gorky Park”, vengono ritrovati tre corpi congelati, che la neve ha tenuto nascosti per diverse settimane. I cadaveri sono stati privati delle dita e sfigurati, in modo da impedire una facile identificazione. Incaricato del caso è Arkady Renko, capo ispettore di polizia della Milizia popolare di Mosca. Arkady si rende ben presto conto di avere a che fare con un caso scomodo, collegato a personaggi influenti che hanno tutto l’interesse che esso sia chiuso in fretta. Tra questi vi è John Osborne un ricco e spregiudicato uomo d´affari americano, che pare avere amicizie anche tra le alte sfere moscovite.
Arkady si rivolge all’Istituto di Etnologia dell’Accademia Sovietica, specializzata nel ricostruire i volti dai calchi dei teschi. L’ispettore spera di potere così identificare le vittime del Gorky Park.

“Nessun’altra Polizia al mondo dispone di un simile metodo. Alcune, fra le ricostruzioni effettuate dall’Istituto, sono semplicemente rozze sculture in gesso; altre – le creazioni di Andreev – sono invece sorprendenti, non solo per la ricchezza dei dettagli ma anche per l’espressione che anima quelle maschere: di ansia o paura o terrore. Quando una delle teste di Andreev veniva esibita in tribunale non mancava mai di produrre sensazione – e procurare un momento di trionfo alla Pubblica Accusa.”

(tratto da Martin Cruz Smith, Gorky Park, edizione Mondadori)

La vita privata dell’ispettore Renko è altrettanto complicata dell’indagine che sta seguendo: sua moglie lo considera un fallito, lo tradisce e lo vuole lasciare. Arkady, infatti, non è un buon comunista: sembra non credere in quella Russia che viene propagandata dai giornali e le televisioni. Nel frattempo, le indagini divengono sempre più pericolose, e un collega di Arkady, Pasha Pavlovich, e un indiziato, Golodkin, vengono uccisi. Renko non si da per vinto e scopre un traffico illegale di icone antiche, che pare collegato agli omicidi del Gorky Park. Ben presto si accorge, però, che non si tratta della pista giusta. Finalmente l’Istituto di Etnologia dell’Accademia Sovietica termina la ricostruzione dei volti dei cadaveri del Gorky Park, che vengono così identificati. Da quel momento le indagini prendono una svolta inattesa, e Arkady si trova a investigare e a cercare di svelare una verità scomoda a molti. Una verità che lo condurrà persino al di là dell’Oceano…

Perché leggere Gorky park?
Il romanzo è piuttosto lungo (quasi 500 pagine nell’edizione italiana), alcuni passaggi sono sicuramente prolissi, e la trama a volte si ingarbuglia fin troppo, rendendo difficile al lettore seguire tutti gli indizi e le false piste. Difetti questi che l’autore si porterà dietro almeno fino allo stupendo Havana. Detto questo, sono proprio la lunghezza del libro, le descrizioni accurate (come quella dell’incendio che scoppia a causa della torba), la doppiezza dei personaggi e la complessità della trama a conferire ad alcuni capitoli del romanzo una potenza narrativa, degna degli antichi scrittori russi.

“In quegli ultimi mesi si era comportato come un cadavere vivente, tanta era la sua impassibilità durante gli interrogatori. Era come un suicidio, il suo; una morte necessaria, ma pur sempre una morte.
Ora però l’immagine di lei era tornata e lui, per una notte almeno, si sentiva ancora vivo.
L’incendio della torbiera cominciò il mese seguente. Si propagò a poco a poco, finché tutto l’orizzonte settentrionale divenne una barriera di fiamme. Poi, anche l’orizzonte meridionale si coprì di fumo. L’aereo con le provvigioni non poteva più atterrare.
Arrivò un’autobotte, coi pompieri che sembravano guerrieri medievali… Una vera e propria guerra, combattuta da un esercito di pompieri, genieri e volontari, con autobotti, idranti, trattori, ruspe. Arkady, Pribluda e gli altri della villa costituirono un drappello a sé. Non appena essi entrarono in azione, però, il fronte si ruppe. La boscaglia ardeva a tutto spiano, il vento mutava direzione di continuo, il fumo accecava, asfissiava. I combattenti si dispersero, chi qua chi là, allontanandosi dagli automezzi. Il terreno era accidentato, franoso, c’erano buche improvvise, capaci di inghiottire un uomo, o anche un camion. Molti procedevano a caso, dietro questo o quel trattore, senza coordinamento fra i reparti. Ogni tanto qualcuno scappava per mettersi in salvo, coi vestiti bruciacchiati. Arditamente, si affrontavano le fiamme con i badili, nel tentativo di arrestarne l’avanzata scavando trincee, o gettando contro di esse palate di terra. A un certo punto, Arkady si trovò solo con Pribluda: isolati dagli altri del loro drappello.
Il fuoco era imprevedibile. Un tratto di boscaglia ardeva pian piano, un altro veniva divorato in un baleno. Il guaio era la torba.”

(tratto da Martin Cruz Smith, Gorky Park, edizione Mondadori)

Gorky Park ha un inizio indimenticabile: la neve, il parco, il ritrovamento dei tre cadaveri congelati. Quando Robert Harris scrisse Fatherland, circa 11 anni dopo, iniziò in modo molto simile il suo capolavoro, e lo stesso protagonista Xavier March deve molto al personaggio di Renko.
Gorky Park è uno stupendo thriller dalla suspense impeccabile, un giallo costruito alla perfezione, con un cast di personaggi ben disegnati; ma tutto questo non sarebbe stato sufficiente a farne uno dei migliori romanzi gialli degli ultimi decenni. Due sono le ragioni fondamentali del suo successo mondiale. La prima è che la storia si svolge a Mosca. Lo stesso romanzo ambientato a New York non avrebbe avuto la stessa accoglienza. Secondo molti, la parte ambientata in America è guarda caso anche la più debole del libro. Il ritratto di Mosca è complesso e vivido, soprattutto nel modo in cui Smith riesce a descrivere gli squallidi uffici della polizia, gli angusti e poveri appartamenti, le mediocri sigarette prodotte dallo stato, le auto rumorose, il freddo, la corruzione. Lo sguardo di Smith, però, non è privo di affetto e simpatia nei confronti di questa città così diversa da quelle americane.
La seconda ragione del successo di Gorky Park è il suo protagonista, che è divenuto uno dei detective più amati dal pubblico di tutto il mondo.

Arkady Renko, il fascino dell’eroe solitario
Arkady si sente fuori posto nella sua città, non ne sopporta la burocrazia e la corruzione. Il suo malcelato disprezzo nei confronti di regole e valori, che sono alla base della società sovietica, lo rende inviso ai superiori e anche a sua moglie. Arkady fatica a conformarsi al sistema e così è anche per Cruz Smith. Che Arkady Renko sia un’immagine riflessa del suo creatore è abbastanza palese, e che il suo modo di affrontare la vita e guardare la società in cui vive sia simile a quelle di Cruz Smith lo sono altrettanto. Smith, nel disegnare il personaggio di Arkady e collocandolo lontano nel tempo e nello spazio, riflette sicuramente la sua insofferenza nei confronti di un mito americano che è più immagine che realtà. Allo stesso tempo, proprio come Arkady, Smith è un uomo che ama intensamente il suo paese, nonostante sia governato da corrotti burocrati e da politici disonesti e immorali.
Il fascino di Renko non sta solo nel fatto di essere un uomo buono e un poliziotto onesto, ma anche di incarnare l’eroe solitario che non si ferma davanti a nulla. Renko non abbandona l’indagine quando i poteri forti gli chiedono di farlo, in nome dell’interesse e della sicurezza nazionale, e neppure quando sua moglie lo ricatterà con la promessa di tornare assieme con lui. Il suo modo di fare riservato, il suo carattere schivo sino ad arrivare alla timidezza (si pensi al suo primo incontro con la donna della sua vita Irina Asanova) sono tutte qualità che creano un personaggio fragile e al tempo stesso drammaticamente forte. Egli sembra non credere più in niente eppure continua a vivere la sua infelice e apparentemente inutile esistenza. Solo l’indagine e l’amore per Irina sembrano riscattare Arkady dalla sua disperazione di esistere. Mi vengono in mente certi personaggi disillusi, creati dalla penna dissacrante di Henry Miller, per i quali i veri e unici valori sono la scrittura e l’amore di una donna.
Arkady è probabilmente l’unico vero erede di Marlowe. Sicuramente lo è per il suo coraggio e la sua intelligenza, ma ancora di più per la sua vulnerabilità e il suo acido cinismo nei confronti della società in cui vive. Molto bello il brano in cui Renko, rispondendo ad un suo superiore sulle possibilità di una rapida soluzione del caso, dice: «Con la migliore Polizia del mondo e con il sostegno del popolo, nutro fiducia che riusciremo a identificare e arrestare i colpevoli».
In questa frase di Arkady è espressa ironicamente tutta la sua insofferenza nei confronti della falsa propaganda, secondo cui Mosca era la “città più sicura del mondo”.

Il grande amore di Arkady: Irina Asanova
Il personaggio di Irina ha un ruolo di primo piano in Gorky Park, scompare in Stella Polare, dove è presente solo nei ricordi di Arkady. Riappare fisicamente in Red Square, nel quale Irina lavora a Berlino, presso Radio Liberty, una stazione radio di propaganda americana. Nel successivo Havana, veniamo a sapere che è morta, anche se il suo ricordo continua a ossessionare l’anima e il cuore di Arkady.

“Costei era una ragazza alta, dagli occhi scuri, la pelle chiara, i capelli castani raccolti sulla nuca. Portava una giacca afgana, più andante di quelle delle altre ragazze, e troppo corta di maniche. Stava immobile come una statua, con in mano un copione. Poi, quasi avvertisse su di sé lo sguardo di Arkady, si riscosse e si voltò a guardarlo. Quello sguardo gli diede la sensazione di venire d’un tratto illuminato. Lei tornò quindi a girarsi verso la scena. Frattanto lui aveva avuto modo di notare una macchia sulla guancia destra.
Nella foto segnaletica, quella specie di voglia era grigia. In realtà era azzurrastra e, per quanto piccola, faceva spicco, dal momento che la ragazza era molto bella.”

(tratto da Martin Cruz Smith, Gorky Park, edizione Mondadori)

Curiosità

  • All’inizio degli anni settanta, Martin Cruz Smith era uno scrittore a cottimo e aveva al suo attivo solo un paio di thriller di poco successo, quando il suo editore lo chiamò e gli chiese di scrivere un libro ambientato in Russia con protagonista un poliziotto americano. Smith, nel corso della stesura del romanzo, si rese conto che un personaggio completamente diverso cresceva nella sua mente. Nacque così Arkady Renko. Quando Smith presentò agli editori la sua idea, essi non ne furono per niente contenti: volevano un eroe americano. Che cosa se ne facevano di un poliziotto russo? Dopo anni di contenzioso, Smith riuscì a ricomprarsi i diritti del romanzo, che rivendette immediatamente ad un altro editore per un milione di dollari.
  • L’immagine della società e vita sovietica dell’epoca, descritta nel romanzo, era così accurata e negativa che la pubblicazione di Gorky Park fu vietata per anni in Unione Sovietica. In realtà, tutto ciò che Martin Cruz Smith sapeva dell’Unione Sovietica, quando scrisse Gorky Park, era ciò che aveva potuto vedere durante un tour organizzato di una settimana.

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Gorky Park
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Gorky Park
  • Cruz Smith, Martin (Autore)

Articolo protocollato da Alessandro Bullo

Alessandro Bullo è nato a Venezia. Si è laureato in lettere con indirizzo artistico, mantenendosi con mestieri occasionali; dopo la laurea ha lavorato per alcuni anni presso i Beni Culturali e poi per la Questura di Venezia. Successivamente ha vissuto per quasi dieci anni a Desenzano del Garda per necessità di lavoro. Attualmente vive a Venezia e lavora come responsabile informatico per un’importante ditta italiana. Sue passioni: Venezia, il cinema noir, leggere, scrivere. Autori preferiti: Dino Buzzati, Charles Bukovski, Henry Miller. Registi preferiti: Elia Kazan e Alfred Joseph Hitchcock. È arrivato per due volte in finale al premio Tedeschi e una al premio Urania. Nel 2012 con “La laguna degli specchi” (pubblicato sotto lo pseudonimo Drosan Lulob) è stato tra i vincitori del concorso “Io scrittore”.

Alessandro Bullo ha scritto 66 articoli: