Recensiamo oggi su Thriller Cafè il terzo romanzo di Giovanni Ricciardi, Il silenzio degli occhi, edito da Fazi. Ancora una volta protagonista della vicenda, come nei due libri precedenti, è il commissario Ponzetti, che nella Roma della piena del Tevere dell’ottobre 2008,dovrà affrontare un nuovo caso.

Titolo: Il silenzio degli occhi
Autore: Giovanni Ricciardi
Editore: Fazi
Anno: 2011

Trama in sintesi
Nella macchina del commissario Ponzetti viene abbandonato un bambino di tre o quattro anni, scalzo e sordomuto, e nessuno si fa avanti per reclamarlo. Intanto a Roma imperversa una misteriosa “banda dei suv”, che da diverse notti lascia la sua firma squarciando le gomme di decine di ingombranti fuoristrada. All’inizio sembra una farsa, che però ben presto le tinte diventa un intrigo che condurrà Ponzetti a incrociare sul proprio cammino perfino i Servizi Segreti. Sotto una pioggia battente, mentre il Natale si avvicina, il commissario dovrà confrontarsi con qualcuno che sta pilotando un gioco più grande di lui, e da cui dipendono la vita di un innocente e la salvezza della propria pace familiare.

Giovanni Ricciardi insegna lettere classiche al liceo, e leggendo ‘Il silenzio degli occhi’ la cosa si capisce. Così come, per esempio, il passato da criminale traspare dalla scrittura di Ed Bunker. Terza indagine del commissario Ponzetti, quasi una risposta romana al milanese Michele Ferraro di Gianni Biondillo, questo romanzo rappresenta una lettura consigliata a chi è in cerca di un noir fluido e ben congegnato, dove pubblico e privato del personaggio si fondono dando vita a un quadro nell’insieme gradevole, e dove le deduzioni e i colpi di genio del poliziotto surclassano inseguimenti, sparatorie e cadaveri. Scrittura pulita, impeccabile e televisiva, che piacerà a chi preferisce Distretto di Polizia a una serie come Romanzo Criminale. Scrittura forse a tratti un po’ ridondante, ma al servizio dell’insieme. Così come la presenza di un paio di personaggi troppo simili a macchiette, ma in un lavoro come questo la cosa fa parte del gioco: del resto, tornando al paragone con la tv, si ride con gli sketch del sovrintendente Ingargiola ma si piange per la morte dell’ispettore Belli, anche ad anni di distanza. Non è un romanzo provocatorio, né di rottura. Piuttosto, è un romanzo rassicurante, come il protagonista, che non abbiamo potuto non imamginare con le fattezze del dylandoghiano ispettore Bloch. Piacevole il cameo del sindaco di Roma nella scena che apre il romanzo, evocativa la biciclettata finale che ci accompagna verso i titoli di coda, forse un po’ tirata per i capelli la spiegazione finale del mistero. In un romanzo come questo, però, ciò che lascia soddisfatti è il viaggio in sé, non tanto l’arrivo. Funziona con le storie d’amore, e funziona anche con i libri. Quindi attendiamo fiduciosi altre uscite: lo schema funziona, e il personaggio anche. Uno di quei vecchi amici che ritrovi volentieri, magari davanti a un piatto di pasta all’amatriciana accompagnato da un bel bicchiere di rosso dei colli romani.

Luca Ducceschi

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