Il porto delle nebbie: recensioneLe port des brumes è il quindicesimo romanzo della saga Maigret. Fu iniziato a bordo dell’Ostrogoth presso Ouistreham nel 1931 e concluso alla villa Les Roches Grises di Antibes nel febbraio 1932. Apparve come feuilleton sul quotidiano “Le Matin” dal 23 febbraio al 24 marzo 1932, in 31 puntate. Fu pubblicato nel maggio dello stesso anno da Fayard.

Trama
Il libro inizia con Maigret che in treno sta accompagnando a Ouistreham due strani personaggi. Uno di essi è “Yves Joris, ex capitano della Marina mercantile, comandante del porto di Ouistreham”, una cittadina del sud della Normandia. La polizia lo ha trovato che vagabondava sui Grands Boulevards di Parigi:

Era stato fermato sui Grands Boulevards mentre si aggirava in preda al panico fra gli autobus e le macchine … Nell’ufficio di Maigret lo perquisiscono. Il vestito che indossa è nuovo, nuova la biancheria, nuove le scarpe. Dagli indumenti sono state strappate tutte le etichette. Niente documenti. Niente portafoglio. Cinque bei biglietti da mille franchi infilati in una tasca.

Qualche mese prima una pallottola gli aveva spaccato il cranio, causandogli la perdita di memoria e lasciandogli una vistosa cicatrice sul cranio rasato.

Amnesia? La parrucca gli scivola dalla testa e notano che una pallottola gli ha attraversato il cranio, non più di due mesi prima. I medici sono ammirati: di rado hanno visto un’operazione così ben eseguita!

L’altro compagno di treno è Julie Legrand, la sua domestica, che lo ha indentificato e che gli sembra molto affezionata.
Durante la notte stessa del suo rientro a casa, Joris muore avvelenato da stricnina. Maigret, pieno di dubbi e di domande, decide di fermarsi in paese per risolvere il mistero che avvolge le ultime settimane di vita del capitano, proprio come la nebbia umida e persistente avvolge la città di Ouistreham. A complicare l’indagine del commissario arriva anche la scoperta di una ingente eredità dell’importo di trecentomila franchi.
Maigret, nonostante l’omertà degli abitanti del luogo e soprattutto del sindaco Graindmaison, alla fine riuscirà a scoprire che è il tradimento la causa della morte del povero capitano Yves Joris; e ancora una volta, violando le tipiche regole del poliziesco, metterà da parte la giustizia del codice e …

Perché leggere “Il porto delle nebbie”?

Georges Simenon ambienta il romanzo, in un porto della bassa Normandia, a Ouistreham, importante per la presenza di una chiusa che dà accesso al canale di Caen.

“Le Port des brumes” revolves around social relations within the small commercial port of Ouistreham in Normandy and in the regional capital Caen. All of the central characters in the story are, in one way or another, connected to the life of the port and its maritime commerce.

(Le Port desbrumes ruota attorno alle relazioni sociali del piccolo porto commerciale di Ouistreham in Normandia e nel capoluogo regionale Caen. Tutti i personaggi centrali della storia sono, in un modo o nell’altro, collegati alla vita del porto e del suo commercio marittimo) …

(Bill Alder, Maigret, Simenon and France: Social Dimensions of the Novels and Stories, McFarland, 2012, p. 81)

Lo scrittore raffigura, con la cura di un pittore fiammingo, la vita del piccolo borgo, la cui esistenza è scandita dai cicli della marea, e quindi dall’apertura e chiusura della chiusa, che mette in comunicazione il porticciolo col canale che sfocia fino alla città di Caen. La nebbia è quasi un personaggio del libro, avvolge le persone, le navi e le case, attutisce i suoni, creando un senso di mistero e inquietudine. La parola nebbia è ripetuta più di trenta volte; la sensazione è più che visiva, è opprimente.

Passa una nave, così vicina che il commissario potrebbe toccarla! Una gomena ricade a pochi passi da lui; qualcuno la raccoglie e la trascina fino a una bitta fissandola con cura.
«Indietro! …Attenzione!» grida una voce, lassù, sulla plancia del vapore.
Pochi istanti prima tutto sembrava morto, deserto. E adesso Maigret, che cammina lungo la chiusa, si accorge che la nebbia pullula di forme umane. Qualcuno gira una manovella. Un altro corre con un secondo cavo di ormeggio. Alcuni doganieri aspettano che venga gettata la passerella per salire a bordo.
Tutto ciò senza che si veda praticamente nulla, nella nube di umidità che imperla i baffi.

Il romanzo introduce subito il lettore in un clima di mistero: chi è Joris? perché gli hanno sparato alla testa? e perché lo hanno poi salvato con una difficile operazione chirurgica?
Ancora una volta, dietro l’apparenza tranquilla di un paese di provincia, si nascondono segreti e odi antichi, che hanno segnato l’esistenza di una famiglia intera. L’unico che potrebbe rivelarli ha perduto la memoria.

La perdita di memoria, un topos del poliziesco ….

L’amnesia è un topos del poliziesco, utilizzato spesso da scrittori e registi perché riesce, se usato con maestria, ad amplificare il senso di mistero e la suspense.
Il tema della perdita della memoria ha origine addirittura nella letteratura antica: Platone (X libro della Repubblica) e Virgilio (Eneide, nel VI libro) narrano come l’acqua del fiume Lete faccia perdere la memoria. Da allora l’amnesia e la conseguente perdita dell’identità sono divenuti i protagonisti di moltissimi romanzi e film.
Memento (film del 2000 diretto da Christopher Nolan) è certamente uno dei più famosi e fortunati esempi del genere. Racconta la storia dell’investigatore assicurativo Leonard Shelby, il quale, dopo un incidente, perde completamente la memoria a breve termine. Inizia così a scrivere appunti e a scattare fotografie, cercando di avere il mattino dopo dei ricordi da cui far ripartire la sua vita.
Geoff Mayer and Brian McDonnell, riferendosi a “Memento”, hanno fatto notare come l’amnesia siauno dei temi preferiti dei film noir americani, che spesso narrano di veterani della Seconda Guerra Mondiale, traumatizzati dalla guerra e affetti da amnesia, oppure di uomini o donne che, a causa dell’uso di droghe, farmaci o alcolici, commettono dei reati di cui però non ricordano nulla. Di solito, i personaggi di questi film sono costretti a trasformarsi in detective, per cercare di discolparsi.

Memento is also very similar thematically to a cycle of wartime and (more commonly) postwar film noirs on the subject of amnesia such as Street of Chance (1942), Spellbound (1945), Black Angel(1946), Crack-Up (1946), Somewhere in the Night(1946), Fear in the Night (1947), High Wall(1947), The Clay Pigeon(1949), The Crooked Way (1949), and The Blue Gardenia (1953). Several of these films concern returning World War II veterans rendered amnesiac by wartime traumas.  In those examples of the sub-genre where women are the central characters, the memory loss may be short-term through blacking out due to alcohol or being drugged. Men in some such films are likewise framed with drugs by unscrupulous villains or have committed crimes while drunk, only to forget them after blacking out. Their lead characters frequently have to become quasi-detectives in order to discover the truth about how they had actually come to be in the pickles in which they currently find themselves.

(Geoff Mayer and Brian McDonnell, Encyclopedia of Film Noir, GREENWOOD PRESS Westport, Connecticut • London, 2007, p. 283)

Gli esempi più recenti sono tantissimi, mi vengono in mente tra gli altri:

  • Diabolicamente tua (Diaboliquement vôtre) del 1967, girato da Julien Duvivier, con protagonisti Alain Delon e Senta Berger (bellissima!), e tratto dal romanzo Manie de la persécution di Jean Louis Thomas;
  • Il mattino dopo (The Morning After), film del 1986 del grande Sidney Lumet. Film ingiustamente dimenticato, che riprende tutti i temi cari al noir: una donna alcolizzata si sveglia la mattina accanto ad un cadavere e non ricorda nulla di quanto è accaduto.
  • Angel Heart – Ascensore per l’inferno, film del 1987 diretto da Alan Parker e liberamente ispirato al romanzo Falling Angel di William Hjortsberg del 1978. Harry Angel (Mickey Rourke) viene assunto per ritrovare Johnny Favorite, un reduce di guerra. In realtà Angel scoprirà di aver perduto la memoria e di essere lui stesso Johnny Favorite, il quale ha un conto in sospeso con il Diavolo in persona (Robert De Niro);
  • Il famosissimo The Bourne Identity (2002), diretto da Doug Liman e tratto dall’omonimo romanzo di Robert Ludlum del 1980;
  • Il romanzo L’impero dei lupi (2003) di Jean-Christophe Grangé, che racconta la storia di Anna Heymes, che soffre di amnesia e anche di terribili allucinazioni. Sempre Grangé è ricorso nuovamente al tema della perdita di memoria nel suo recente thriller Amnesia del 2011
  • Il thriller Schegge di Sebastian Fitzek del 2010.
  • L’avvincente film Unknown del 2011, diretto da Jaume Collet-Serra, e basato sul romanzo Fuori di me dello scrittore francese Didier Van Cauwelaert.

Che il tema dell’amnesia sia ancora oggi molto amato lo dimostra l’interessamento e l’acquisto, da parte di Ridley Scott, dei diritti cinematografici del best seller “Non ti addormentare” di S. J. Watson (edito da Piemme nel 2012 e tradotto in oltre 30 lingue).  Il famoso regista di Blade Runner ha affidato la sceneggiatura e la regia del film a Rowan Joffé. Interpretato da Nicole Kidman, il film Before I Go to Sleep è uscito nei cinema americani il 31 ottobre 2014. Lo attendiamo in Italia per quest’anno.
Dulcis in fundo, il tema dell’amnesia fu utilizzato persino nella serie di culto Star Trek, nell’episodio “Fantasmi del passato” (Wolf in the Fold – settimo episodio della seconda serie), scritto dal grande Robert Bloch (autore del celebre Psycho del 1959), in cui Scott (l’ufficiale addetto alla “sala macchine” della mitica USS Enterprise) viene trovato accanto al cadavere di una donna, ma non ricorda nulla di quanto è accaduto.
L’amnesia è dunque un topos del poliziesco, del noir e del thriller, eppure, nonostante i miei sforzi, non sono riuscito a trovare alcuno studio dedicato ad esso. È oltremodo ovvia la conclusione che amnesia e perdita della memoria siano utili a creare una maggiore suspense. Lo sottolinea lo stesso Grangé, in un’intervista rilasciata a Luca Crovi:

In un thriller gli elementi che tengono inchiodati i lettori sonol’inchiesta e il mistero che in qualche modo si sveleranno fra le pagine. Quando questo mistero coinvolge direttamente l’eroe del romanzo, costringendolo a indagare su sé stesso, non si fa che alzare ancora di più il livello di suspense. Che cosa c’è infatti di più inquietante del non sapere chi lui sia? O arrivare persino a ipotizzare che sia stato lui stesso a commettere un crimine?

(Luca Crovi, Noir. Istruzioni per l’uso, Garzanti 2013, pp. 223-224)

Più difficile arrivare a comprendere le motivazioni di questa fascinazione provocata dal tema dell’amnesia. Credo che la risposta sia nel fatto che questo tema “è strettamente legato a quello dell’identità: senza memoria non c’è passato e, quindi, non c’è alcuna identità”, come affermato, forse un po’ troppo sbrigativamente, dallo stesso Grangé (Luca Crovi, Noir. Istruzioni per l’uso, Garzanti 2013, p. 223). È sufficiente, infatti, soffermarsi un attimo su questo pensiero per rendersi conto di tutte le sue inquietanti conseguenze: perdere la memoria significa perdere se stessi, significa guardarsi allo specchio e vedere solo un estraneo. La psichiatria si è spesso interessata al problema, sottolineando come la memoria sia parte fondamentale della costruzione della personalità e quindi della “coscienza” stessa, anche conosciuta come “senso di Sé” (cfr. Franco Ferrarotti, Il ricordo e la temporalità, Laterza, Roma-Bari 1987). Si può solo immaginare il senso di perdita, smarrimento e angoscia che afferra le persone che perdono la memoria!

La forza interiore dipende dalla nostra storia, dal nostro passato, che con i suoi punti di riferimento crea una specie di mappa mentale in cui è possibile orientarci. La perdita di questi punti fissi, di quelle pietre miliari che sono i nostri ricordi, scatena un panico, simile al disorientamento del viaggiatore smarritosi in una zona a lui sconosciuta.

(Aldo Carotenuto, La chiamata del Daimon. Gli orizzonti della verità e dell’amore in Kafka, edizione Tascabili Bompiani 2001, pp. 204-205)

I bar e i caffè di Maigret come i salotti di Stendhal e Balzac …

In Il porto delle nebbie, all’oscurità della nebbia e al gelo esterno si contrappongono il calore e la luce (anche se fioca) del caffè, dove si incontra e scontra il variegato popolo del porto. Ed è questo uno dei luoghi privilegiati da Maigret per entrare in contatto con la gente e con l’atmosfera del paese:

Aveva capito che l’abitudine doveva essere quella, che a ogni marea quel piccolo mondo si ritrovava al caffè. Il capitano si accertò prima del livello della marea.
«Ho una mezz’ora» disse.
Entrarono nel locale, interamente di legno, seguiti alla spicciolata, con qualche indecisione, dagli altri, cui Maigret fece segno di accomodarsi allo stesso tavolo.
Bisognava rompere il ghiaccio, presentarsi a tutti, ispirare fiducia e riuscire anche in qualche modo a introdursi nel gruppo.

Le indagini del commissario si basano sull’intuito e non sulla raccolta scientifica delle prove, ed è proprio per questo suo desiderio di capire le persone piuttosto che giudicarle, e per la sua estrema capacità di immedesimarsi in loro, che egli ama passare molto tempo nei caffè e ascoltare attento le conversazioni, anche se non tutti la pensano come lui, soprattutto i frequentatori del salotto del sindaco della città. Simenon, però, come in molti altri romanzi della saga Maigret, racconta come il commissario si trovi più a suo agio al caffè e con i marinai che vi incontra piuttosto che con i ricchi borghesi di Ouistreham.

Non era uno scontro aperto. Ma da entrambe le parti si avvertivano intenzioni ostili. Forse solo a causa della classe sociale che ciascuno rappresentava.
Maigret beveva con i guardiani della chiusa e i pescatori alla Buvette de la Marine.
Il sindaco organizzava ricevimenti per i magistrati della Procura con tè, liquori e pasticcini.
Maigret era un uomo e basta, non si poteva etichettarlo.
Grandmaison era il rappresentante di un ambiente ben determinato. Era il notabile di provincia, l’esponente di una vecchia famiglia borghese, l’armatore dagli affari fiorenti e dalla solida reputazione.

Questa simpatia di Simenon/Maigret per i caffè e la povera gente che li frequenta, e la conseguente antipatia per il salotto del sindaco, ha sicuramente origine nelle esperienze scolastiche dell’adolescente Simenon.

In seguito il memorialista si sarebbe preoccupato di rendere omaggio all’istruzione dispensata dai Fratelli, senza nascondere al contempo il proprio odio verso la loro educazione sociale, quella loro particolare inclinazione a trasformare la scuola pubblica in uno spauracchio e a marcare il divario tra classi (p. 17) … Faceva fatica a contenere la propria insubordinazione, soprattutto quando lo facevano sentire un «declassato» nei confronti degli altri allievi, più ricchi ma meno brillanti di lui (p. 28) …

(Pierre Assouline, Georges Simenon. Una biografia, edizioni Odoya 2014)

È da notare che se, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, le scene più importanti dei romanzi erano ambientate nelle sale dei castelli, nelle opere di Stendhal e Balzac, esse si spostarono nel salotto.

Naturalmente, non è in questi scrittori che esso fa la sua prima comparsa, ma in loro esso acquista la pienezza del suo significato come luogo di intersezione delle serie spaziali e temporali del romanzo. Dal punto di vista dell’intreccio o della composizione qui avvengono gli incontri (che ormai non hanno il precedente carattere specificamente fortuito dell’incontro sulla «strada» o nel «mondo straniero»), si annodano gli intrighi, si compiono spesso anche i loro scioglimenti e, infine, cosa di particolare importanza, avvengono i dialoghi, che acquistano un significato decisivo nel romanzo e svelano i caratteri, le «idee» e le «passioni» dei protagonisti.

(Michail Bachtin, Estetica e romanzo, edizioni Einaudi 2001)

Simenon sostituisce al castello e al salotto, ambienti nobili e alto borghesi, quello popolare e profondamente vivo del caffè. In Simenon, infatti, soprattutto nella serie di Maigret, il luogo più amato è sicuramente il bar o il caffè, tanto che esso non manca quasi mai. Per citare solo i romanzi di cui abbiamo parlato sino ad ora: in Pietr il Lettone Maigret aspetta per due ore in un caffè del porto, ascoltando i marinai discutere della pesca all’aringa; ne Il carrettiere della “Provvidenza” quasi tutto il romanzo è ambientato nel caffè vicino alla chiusa; anche ne Il defunto signor Gallet, e L’impiccato di Saint-Pholien Maigret si trova più volte nei caffè con i sospettati; in Maigret e una vita in gioco, il commissariosi incontra spesso con il principale sospettato, Jean Radek, in un caffè; per non parlare del film Le chienjaune, girato da Jean Tarride nel 1932, tratto dal romanzo omonimo, ambientato quasi completamente nel bar della pensione dove alloggia Maigret. Potrei continuare diventando noioso ma, a conferma della predilezione di Maigret per i caffè, come luogo in cui trovare informazioni importanti per le indagini e anche per rinfrancarsi dalla fatica e dal freddo, alla fine del romanzo Il porto delle nebbie, l’ispettore Lucas trova il suo superiore seduto proprio al caffè:

Attraverso i vetri appannati, vide il commissario. Un Maigret comodamente sistemato su una sedia impagliata, con la pipa tra i denti e un bicchiere di birra a portata di mano, intento ad ascoltare le storie che raccontavano intorno a lui uomini con stivali di gomma e berretti da marinaio.

Il tema dell’adulterio nei romanzi di Maigret …

Il porto delle nebbie si caratterizza per una trama più complessarispetto ad altri Maigret dello stesso periodo, anche se giustamente Stanley G. Eskin sostiene che l’intreccio non è “ben congegnato” (George Simenon, Marsilio 2003, p. 127). La trama, in ogni modo, e di conseguenza il delitto, gira attorno al tradimento coniugale di uno dei personaggi principali del romanzo. Infatti, tutti i protagonisti della tragedia borghese, cui assiste e partecipa lo stesso commissario Maigret, sono come burattini i cui fili vengono tirati da una passione amorosa e tragica.
L’adulterio è uno dei temi più utilizzati da Simenon nei suoi romanzi, che sia la donna o l’uomo (come nel caso del romanzo Un delitto in Olanda) a tradire non importa. Di solito, all’origine vi è sempre una insoddisfazione nei confronti del consorte, o dell’istituzione del matrimonioo comunque della famiglia; una infelicità nascosta, però, dietro la maschera del perbenismo:

La signora Grandmaison era pallida, con i lineamenti tirati. Maigret l’aveva già vista una volta, ma nell’esercizio delle sue funzioni più sacre di ricca borghese, cioè mentre faceva gli onori di casa.
Aveva notato allora la sua perfetta educazione e il garbo manierato con cui sapeva porgere una tazza di tè o rispondere a un complimento.
Ne aveva immaginato l’esistenza: la cura della casa di Caen, le visite, i figli da allevare. Due o tre mesi all’anno in stazioni climatiche o termali. Una normale civetteria. La preoccupazione di apparire dignitosa più che bella.
Certo, nella donna che ora gli stava di fronte sopravviveva qualcosa di tutto ciò. Ma vi si mescolava dell’altro. 

L’adulterio fu uno dei temi più amati dagli scrittori sin dai tempi di Omero, che narrò il mito di Elena, la quale cede al corteggiamento di Paride e con lui si rifugia a Troia, abbandonando il marito Menelao e la piccola figlia Ermione, e scatenando così la guerra di Troia. L’adulterio fuanche un tema dominante nella letteratura cavalleresca, come nel ciclo arturiano, dove si narra di Ginevra, sposa di re Artù, che s’innamora perdutamente di Lancilotto; un amore che sarà causa della caduta del regno di Camelot. Ma fu nei grandi romanzi ottocenteschi che il tema assunse un’importanza e una centralità mai avute in precedenza (per chi fosse interessato all’argomento, consiglio l’articolo approfondito di Maria Gabriella Di Chiara, L’adulterio nel romanzo ottocentesco: l’Europa). Secondo gli storici, il motivo è legato al fatto che è proprio nell’ottocento che l’istituzione della famiglia borghese diviene uno dei cardini della società. Ciò che è evidente, sino all’ovvietà, è che matrimonio e adulterio non sono altro che due sinonimi delle parole divieto e trasgressione. Non posso non citare Georges Bataille, che forse meglio di tutti è riuscito a spiegare come divieto e trasgressione siano legati strettamente, tanto che l’uno non avrebbe senso senza l’altro:

Noi dobbiamo, noi possiamo sapere esattamente che le proibizioni non sono imposte dal di fuori. Lo testimonia l’angoscia quando trasgrediamo il divieto, so­prattutto in quell’istante sospeso in cui il divieto continua a pesare, e tuttavia noi già cediamo all’impulso al quale si opponeva … L’esperienza conduce alla trasgressione compiuta, alla trasgressione riuscita, la qua­le, se mantiene la proibizione, la mantiene per trarne piacere. L’esperienza interiore dell’erotismo richiede, da parte di co­lui che la compie, una sensibilità altrettanto grande per l’angoscia che fonda il divieto quanto per il desiderio che induce a infrangerlo.

(L’erotismo, edizioni SE 1986, p.37)

Secondo Denis De Rougemont (L’amore e l’Occidente, Edizioni Rizzoli 1989) è l’amore infelice e contrastato ad essere il preferito dei romanzi e dei racconti, perché offre complessità e dramma all’intreccio, mentre l’amore felice non può che annoiare il lettore. Il racconto di un adulterio nasce, infatti, dal conflitto tra i divieti sociali e il desiderio dell’individuo di raggiungere la felicità, anche attraverso la “trasgressione” delle regole.

Praticamente, l’amour-passion, come lo chiamiamo noi con Stendhal, sorge ben prima del romanticismo … E immediatamente si presta alle forme del romanzo: l’ostacolo crea l’avventura, la storia, il romanzesco. La felicità è irraccontabile, anti romanzesca. Ma la tensione crea il suspense. Nasce così, capostipite mitico di tutta la letteratura d’amore dell’Occidente, il romanzo di Tristano e Isotta. Nasce l’ideale dell’amore su base negativa.

(Armanda Guiducci, Introduzione, in Denis de Rougemont, L’amore e l’Occidente, Edizioni Rizzoli 1989, p. 20)

Tony Tanner arriva alla stessa conclusione anche se con parole diverse:

… è chiaro che il nesso tra adulterio e narrazione è stretto e importante. Proprio come si potrebbe dire che nel commettere adulterio introduciamo nella nostra vita un nuovo elemento narrativo, ovvero diamo inizio a una nuova «storia», così per il romanziere è spesso non il matrimonio ma l’adulterio a ispirare la narrazione. L’adul­terio ci dà qualcosa da raccontare. (Analogamente, forse, si potrebbe dire che l’adultero o l’adultera «rinarrativizzano» efficacemente una vita dive­nuta priva di storie). Viene la tentazione di dire che senza l’adulterio, o senza la costante possibilità dell’adulterio, il romanzo sarebbe stato pri­vato di molta della sua urgenza narrativa. Quel che è certo è che senza il tema dell’adulterio la storia del romanzo sarebbe stata davvero molto di­versa, e assai meno ricca.

(L’adulterio nel romanzo. Contratto e trasgressione, edizioni Marietti 1990, p. 381)

Data la premessa, la sensibilità dei grandi scrittori non poteva esimersi dal dichiarare il proprio pensiero. Flaubert, nel suo capolavoro Madame Bovary (che Simenon dichiarò più volte di aver letto), condanna il matrimonio, evidenziandone la tediosa consuetudine che lo caratterizza e che alla fine uccide ogni passione. La protagonista si autodistrugge lentamente non riuscendo ad accettare la propria condizione di donna sposata ad un uomo ridicolo (non ci ricorda la protagonista di “L’ombra cinese”?):

era soprattutto nelle ore dei pasti, in quella piccola stanza a pianterreno, con la stufa che fumigava, la porta che cigolava, i muri che trasudavano, il pavimento umido, che ella sentiva di non poterne più; le sembrava che tutta l’amarezza della vita le venisse servita sul piatto; col fumo del lesso, salivano fiotti di disgusto dal fondo dell’anima sua. Charles mangiava con lentezza. Ella rosicchiava qualche nocciola o, appoggiata sul gomito, si divertiva a tracciare strisce con la punta del coltello sulla tela cerata.

(Flaubert Gustave, Madame Bovary, traduzione di Ottavio Cecchi, in I magnifici 7 capolavori della letteratura francese, Newton Compton 2013)

E’ uno dei momenti cruciali del romanzo, in cui si palesa in modo evidente il dramma interiore e l’infelicità di Emma Bovary. La sua delusione per le romantiche speranze disattese e il crudele impatto con la mediocre vita di provinciasono le premesse delle due future e nefaste avventure amorose. Emma Bovary, in fondo, rappresenta tutte le donne malmaritate che non si rassegnano al grigiore piccolo-borghese e che desiderano vivere passioni ardenti, che nulla hanno a che vedere con l’istituzione del matrimonio. Emma legge romanzi popolari che raccontano di amori passionali e avventure rocambolesche, ambientati in palazzi lussuosi. È così che la vita reale finisce per scomparire di fronte alla potenza dell’immaginario tanto desiderato, e Emma si trova a vivere un’altra vita, fatta di lussi che non si può permettere e di amori clandestini.
Per l’epoca, il romanzo di Flaubert era troppo innovativo, tanto che l’autore fu denunciato per oltraggio alla morale pubblica e religiosa. È vero d’altra parte che, in quasi tutti i capolavori dell’ottocento che trattano dell’adulterio, la colpevole del tradimento (e si noti bene che si tratta della donna) alla fine viene eliminata, tramite suicidio, omicidio o malattia. Madame Bovary e Anna Karenina ne sono gli esempi più famosi. E anche se Flaubert e Tolstòj dimostrano una evidente simpatia nei confronti delle loro creature, e di comprendere e quasi giustificare il loro comportamento, alla fine la trasgressione alle regole sociali borghesi esige che esse vengano punite. Si legga in proposito quanto scritto da Tony Tanner:

Il modo in cui il romanzo borghese affronta il problema dell’adulterio può essere confrontato con due approcci biblici al medesimo problema. Secondo la legge del Vecchio Testamento, l’uomo e la donna adulteri devono quasi sempre essere espulsi dalla società, cancellati fino al punto della eliminazione fisica. Nel Nuovo Testamento, di fronte alla donna colta in flagrante adulterio, Cristo fa in modo che coloro che vogliono applicare la legge si rendano conto della complessa situazione di questa donna: egli mette in discussione tanto l’applicazione impersonale della legge quanto la giustificazione e i diritti di coloro che si atteggiano a legislatori.

(L’adulterio nel romanzo. Contratto e trasgressione, edizioni Marietti 1990, pp. 26-27)

Da sottolineare i periodi “complessa situazione di questa donna” e “mette in discussione tanto l’applicazione impersonale della legge”, che non possono non far ricordare l’atteggiamento del nostro Maigret nei confronti del colpevole e il suo modo di far rispettare la legge. Simenon, infatti, pur essendo legato ai modelli realisti dell’Ottocento, che oscillano fra la comprensione e la condanna, almeno nei romanzi della saga Maigret, guarda e descrive quasi sempre in modo indulgente il tradimento coniugale. Questo atteggiamento di Simenon è certamente collegato alla crisi dell’istituzione matrimoniale che segna la società europea e francese, nei primi decenni del novecento.

È in questo modello malato e, alla fine, istupidito, nell’età attuale totalmente degradato rispetto al passionale misticismo delle origini, che de Rougemont individuava, intorno agli anni ’30, la crisi fra uomo e donna che avvertiva premere all’interno dell’istituto matrimoniale. Intuendo questa crisi, e cercando di individuarne la causa dirompente, de Rougemont, quarant’anni or sono, metteva un dito da sociologo su una piaga che resta ancora apertamente nostra.

(Armanda Guiducci, Introduzione, in Denis de Rougemont, L’amore e l’Occidente, Edizioni Rizzoli 1989, p.14)

È da notare come il saggio di Denis de Rougemont sia in gestazione negli anni trenta, proprio quando Simenon sta scrivendo i suoi primi Maigret. Non è assurdo pensare che lo scrittore belga abbia avvertito egli stesso la crisi dell’istituzione matrimoniale! Simenonebbe sempre un rapporto ambiguo nei confronti di essa, da una parte la vedeva come una costrizione e un limite alla propria libertà, dall’altra gli dava quella stabilità di cui sentiva di avere bisogno per vivere all’interno della società stessa (si veda quanto esposto nell’articolo dedicato al romanzo Un delitto in Olanda). Simenon, in ogni modo, fu sempre cosciente di come, per vivere all’interno della società, l’uomo fosse costretto ad indossare una “maschera”, e che la donna lo era ancor di più, vivendo in un sistema fondato su valori patriarcali.
Per comprendere quanto esposto, verifichiamo il comportamento della signora Grandmaison ne Il porto delle nebbie. Ella tradisce il marito, è vero, ma non è forse lei stessa ad essere stata tradita in precedenza? Non sto parlando di adulterio, il marito non ha alcuna amante. Il tradimento cui mi riferisco è molto più terribile! Ella è stata costretta a sposare il sindaco del paese, si è conformata alle sue regole e al suo status sociale, diventando appunto la signora Grandmaison, “una persona con un nome, con una qualifica … con un’etichetta”. Ella è stata costretta ad accogliere “la richiesta del collettivo” e a sacrificare “quel nucleo assolutamente individuale che costituisce il fondamento di un autentico essere nel mondo”, ad abdicare a se stessa e ai suoi desideri per scivolare in “un’esistenza impersonale”, a TRADIRE quindi se stessa (si veda quanto scritto da Aldo Carotenuto nel suo saggio “Amare e tradire. Quasi un’apologia del tradire”, edizioni Bompiani, 1997, pp. 49-50). Sappiamo che Simenon, nei suo romanzi, narra spesso di uomini che fuggono da un’esistenza che non sentono più loro, cercando in un altro luogo e con altre persone di crearsi una nuova vita; si tratta di una fuga che ha a che fare spesso con il“passaggio della linea”(di cui abbiamo ampiamente trattato in L’osteria dei due soldi). L’adulterio è anch’esso un passaggio della linea, è il tentativo di dare un senso alla propria esistenza, di cercare di essere di nuovo se stessi, di sentirsi ancora vivi. Dalla lettura de “Il porto delle nebbie” si evince chiaramente, soprattutto nel finale, che Simenon/Maigret giustifica l’adulterio della signora Grandmaison, proprio perché la prima ad essere stata “tradita” è lei. Forse nessuno meglio di Carotenuto può illustrare il rapporto tra il sindaco Grandmaison e sua moglie:

La verità è che il tradimento non è mai imputabile soltanto a uno dei componenti della coppia: in un certo senso, tradito e traditore recitano ambedue un preciso copione, nel quale però al traditore spetta il compito più gravoso. Egli deve caricarsi sulle spalle la re­sponsabilità di preparare le basi per una revisione e dissoluzione di un rapporto che ha ormai perso ogni ragione di esistere. Spesso il tradito da tempo presagiva il dramma, ma aveva bisogno di negarlo perché aveva investito tutto sull’altra persona.

(Aldo Carotenuto, “Amare e tradire. Quasi un’apologia del tradire”, edizioni Bompiani, 1997, p. 117)

Curiosità

In Italia esistono due romanzi intitolati Il porto delle nebbie. Il primo romanzo, Le quaidesbrumes fu scritto dal francese Pierre Mac Orlan e pubblicato nel 1927 da Gallimard, ed è arrivato in Italia con il titolo Il porto delle nebbie solo nel 2012 (edizioni Adelphi). Nel 1932, Fayard pubblicò anche Le port de brumes di Simenon. Il romanzo dello scrittore belga fu pubblicato da Mondadori con il medesimo titolo Il porto delle nebbie(solo dal 1958 fu intitolato Maigret e il porto delle nebbie).
Dal libro di Mac Orlan, nel 1938, fu tratto il film Il porto delle nebbie, diretto da Marcel Carnè, sceneggiato da Jacques Prévert e intepretato da Jean Gabin. A causa di questa omonimia, capita spesso che la gente pensi che il film sia la trasposizione cinematografica del romanzo di Maigret, scritto da Simenon nel 1932. In realtà le trame non hanno nulla in comune.

Edizioni italiane
1933 – Il porto delle nebbie, collana “I gialli economici Mondadori” (n° 4, ottobre) – traduzione di Guido Cantini;
1958 – Maigret e il porto delle nebbie, collana “B.E.M. – Il Girasole” (1956-1960) – Biblioteca Economica Mondadori (n° 85, febbraio – ristampato nel n° 182 del 1961) – traduttore Roberto Cantini;
1961 – Maigret e il porto delle nebbie, collana “Omnibus Gialli Mondadori”L’ispettore Maigret (volume II) – traduttore Roberto Cantini;
1966 – Maigret e il porto delle nebbie, collana Le inchieste del commissario Maigret (n° 8, giugno) – traduttore Roberto Cantini;
1967 – Maigret e il porto delle nebbie, collana “Tutte le opere di Georges Simenon” (Volume II – 1966-1971) – traduttore Roberto Cantini;
1974 – Maigret e il porto delle nebbie, collana “Oscar Mondadori” (n° 524, 12 marzo) -traduttore Roberto Cantini;
1989 – Maigret e il porto delle nebbie, collana “Oscar Gialli” (n° 2103, febbraio) – traduttore Rosalba Buccianti;
1992 – Maigret e il porto delle nebbie, collana “Oscar gialli” (n° 1, aprile- Fonit Cetra – Libro+Video – I romanzi erano abbinati ad una videocassetta della serie televisiva Le inchieste del commissario Maigret).
1994 – Il porto delle nebbie, edizioni Adelphi, collana gli “Adelphi – Le inchieste di Maigret”(n° 72) – tradotto da Fabrizio Ascari;
1999 – Il porto delle nebbie, edizioni La Nuova Italia – tradotto da Fabrizio Ascari.

Tutti i brani de Il porto delle nebbiesono tratti dall’edizione Adelphi, collana gli “Adelphi – Le inchieste di Maigret”– traduzione di Fabrizio Ascari.

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Il porto delle nebbie
338 Recensioni
Il porto delle nebbie
  • Simenon, Georges (Autore)

Articolo protocollato da Alessandro Bullo

Alessandro Bullo è nato a Venezia. Si è laureato in lettere con indirizzo artistico, mantenendosi con mestieri occasionali; dopo la laurea ha lavorato per alcuni anni presso i Beni Culturali e poi per la Questura di Venezia. Successivamente ha vissuto per quasi dieci anni a Desenzano del Garda per necessità di lavoro. Attualmente vive a Venezia e lavora come responsabile informatico per un’importante ditta italiana. Sue passioni: Venezia, il cinema noir, leggere, scrivere. Autori preferiti: Dino Buzzati, Charles Bukovski, Henry Miller. Registi preferiti: Elia Kazan e Alfred Joseph Hitchcock. È arrivato per due volte in finale al premio Tedeschi e una al premio Urania. Nel 2012 con “La laguna degli specchi” (pubblicato sotto lo pseudonimo Drosan Lulob) è stato tra i vincitori del concorso “Io scrittore”.

Alessandro Bullo ha scritto 66 articoli: