Il pazzo di Bergerac - Georges SimenonLe fou de Bergerac è il XVI romanzo poliziesco con protagonista il commissario Maigret. Fu scritto, nel marzo del 1932, presso l’Hôtel de France di La Rochelle in Francia e pubblicato il mese successivo da Fayard.

TRAMA

Maigret viene ferito mentre sta seguendo un uomo misterioso, che inspiegabilmente si è gettato dal treno in corsa, prima di arrivare alla stazione di Villefranche.
Ricoverato nell’ospedale di Bergerac, con la spalla ferita da un proiettile, senza i documenti rimasti sul treno, Maigret viene scambiato per il “pazzo di Bergerac”, un assassino ricercato dalla polizia locale per due tremendi delitti.
Risolto l’equivoco, grazie all’intervento dell’amico Leduc, un poliziotto in pensione, a Maigret viene spiegato chi sia il pazzo di Bergerac e quali delitti abbia compiuto.

Dunque, pressappoco un mese fa, sulla strada maestra è stata trovata una donna morta… Strangolata, per la precisione… E non solo strangolata!… L’assassino aveva infierito sadicamente sul corpo senza vita conficcandole un grosso ago nel cuore…».

Durante il soggiorno forzato in una stanza d’albergo del paese, il commissario raccoglie testimonianze dai vari personaggi che affollano la sua camera, usa una carta Michelin e delle cartoline per conoscere il paese, si fa portare tutti i libri della vicina biblioteca “che trattano di malattie mentali, perversioni, manie…”. Non potendo girare per le strade ed entrare nelle case del paese, manda sua moglie ad osservare e a raccogliere informazioni in sua vece. Nonostante questi problemi e l’opposizione delle autorità locali, Maigret scoprirà la verità, ma proprio quando sta per arrestare il colpevole …

Perchè leggere Il pazzo di bergerac?

Opera molto conosciuta (anche per lo sceneggiato RAI interpretato da Gino cervi), Il pazzo di Bergerac non è uno dei migliori romanzi della saga Maigret. Simenon ricorre a tutti i temi più triti del feuilleton: scambio di identità, incendi che fanno sparire prove e cadaveri, figli nascosti, personaggi creduti morti che ritornano in vita, amori clandestini e passioni morbose che terminano nel suicidio degli amanti.
Ancora una volta è la caratterizzazione dei personaggi a salvare un testo piuttosto debole e confuso. Il vecchio amico Leduc con “il colorito roseo, fresco, del pensionato che vive di rendita, e da quando aveva lasciato la Polizia giudiziaria si era messo a fumare una pipa di schiuma dal cannello di ciliegio che gli spuntava fuori dalla tasca”. La moglie del dottor Rivaud che “non era esattamente quello che si dice una bella donna: venticinque-trent’anni, statura media, grassoccia. Gli abiti che indossava sembravano opera di una sartina, oppure, se venivano da una buona sartoria, era lei che non sapeva portarli.” E poi la sorella della signora Rivaud, Françoise, “fine, elegante, e in lei non c’era niente di campagnolo o di provinciale.”
Ma il personaggio più interessante è sicuramente il dottor Rivaud. Simenon, nel crearlo, sembra ispirarsi agli ambiziosi e appassionati personaggi dei romanzi di Stendhal, di cui da giovane era stato un avido lettore. Auerbach descrive così Julien Sorel, protagonista del capolavoro “Il rosso e il nero”:

Egli è troppo pieno di fantasie, d’ambizioni, di desiderio di dominio, per accontentarsi d’una mediocre esistenza in mezzo a quei borghesi … e le sue grandi doti gli assicurerebbero una splendida carriera ecclesiastica, se i suoi veri sentimenti personali e politici e l’irruente passionalità del suo carattere non esplodessero nei momenti decisivi.

(Auerbach Erich, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, vol. II, edizioni Einaudi, 2000)

Tutte le azioni di Sorel sono guidate dall’ambizione e dalla passione per le donne che ama. Non è difficile vedere le similitudini tra Sorel e la figura del dottore. Rivaud come Julien ha una carattere forte ed è intelligente; è anche opportunista e privo di scrupoli; ma sopra alla ragione e ad ogni interesse privato emerge la passione per la donna che ama, un amore travolgente per cui è disposto anche a morire. Il colpo di scena con il suicidio dei due amanti, nell’ultima parte del romanzo, è anch’esso stendhaliano, e la figura di Rivaud si innalza vittoriosa e quasi titanica dallo scontro con Maigret. Stendhaliano è, infatti, l’amore passione che divora e distrugge Rivaud e la sua donna, ma che, allo stesso tempo, li erge al di sopra dell’esistenza piccolo borghese e mediocre di quel paese di provincia.

«Era una passione ardente! Una passione che non ammetteva ostacoli! Rivaud aveva trovato la donna della sua vita…».

“The armchair detective”, Il tema del detective che risolve il caso senza uscire di casa…

La signora Maigret torna dopo molto ad essere protagonista di uno dei romanzi della saga. Anche questa volta, come in Al Convegno dei Terranova, ella si trova lontana dalla sua amata casa di Parigi, ma riesce, con la sua straordinaria capacità di adattamento, a rendere accogliente persino una camera d’albergo. Ma ella non rende solo più confortevole la convalescenza del marito, lo aiuta anche nelle indagini. Maigret, infatti, non può muoversi e quindi manda sua moglie a raccogliere informazioni, spedire telegrammi, vedere le case dove vivono le persone coinvolte nell’inchiesta e persino il cadavere dello sconosciuto trovato nel bosco. E lei gli riporta tutti i particolari che riesce a ricordare: odori, colori, impressioni, immagini. Quando è costretta a tornare a vedere il cadavere, la signora Maigret descrive con minuzia di particolari la scena: il tipo di vestito, le calze lavorate ai ferri, il colore delle scarpe, la camicia rammendata al collo e ai polsi, gli oggetti ritrovati nelle tasche.
Tra marito e moglie si crea un sodalizio quasi professionale: “parlavano fra loro con semplicità e naturalezza, come due collaboratori affiatati.”
Il resto del lavoro spetta all’immaginazione del commissario che “con pazienza, con amore, come un pittore dà le prime pennellate alla tela, Maigret tracciava mentalmente il ritratto della donna: la vedeva molto piacente, bene in carne, curata, una che portava idee moderne nella casa dei suoceri, che consultava cataloghi di Parigi. Stava tornando dalla città… Maigret vedeva con chiarezza la strada… Dovevano assomigliarsi un po’ tutte: grandi alberi, ai lati, che facevano ombra…”
E quando non può servirsi della moglie e deve orientarsi nella geografia del paese, Maigret utilizza una guida Michelin e alcune cartoline del paese.

“Una guida Michelin gli aveva fornito la pianta del posto, e lui si trovava proprio al centro della città. La piazza che vedeva dalle sue finestre era la piazza del Mercato. L’edificio che si scorgeva sulla destra era il Palazzo di Giustizia. La guida recitava: Hôtel d’Angleterre. Prima categoria …”

Alberto Savinio, in un articolo del 1936, si rese conto della differenza di questo Maigret dai precedentima, essendo prima di tutto un pittore, associò la struttura del romanzo alla pittura romantica tedesca, e non rilevò come questo tipo di poliziesco facesse parte di una tradizione letteraria già molto fiorente e amata.

E’ dal fondo del letto dunque che il commissario ricostituisce a poco a poco il tessuto del dramma, e con i soli “si dice” dei testimoni che sfilano nella camera. Nella qual trasposizione del fatto dalla ribalta sul fondale, Simenon ha abilmente parafrasato il trucco di alcuni pittori del romanticismo tedesco, ossia del personaggio collocato in primo piano, e che con l’atteggiamento contemplante invita lo spettatore a mirare il panorama che si sviluppa nel fondo.

(Alberto Savinio, Georges Simenon: il romanzo della verità nuda, in La trama del delitto. Teoria e analisi del racconto poliziesco, a cura diRENZO CREMANTE e LORIS RAMBELLI, Pratiche Editrice 1980, p. 88)

Quello del detective che risolve i casi, senza uscire di casa, è un tema conosciuto al grande pubblico, soprattutto grazie al personaggio di Nero Wolf, creato da Rex Stout. Lo scrittore statunitense, nel 1934, pubblicò Fer-de-Lance, in cui appariva per la prima volta il pachidermicodetective privato Nero Wolfe, famoso per la sua misoginia e pigrizia ad uscire di casa. Wolfe, infatti, risolve le indagini rimanendo chiuso tra le accoglienti mura domestiche, mentre cura le sue orchidee o apprezza i deliziosi piatti preparati dal suo cuoco privato.
Dai romanzi scaturisce così una figura estrosa ed intelligente, che risolve i delitti in modo essenzialmente intellettuale e logico. Il contatto con l’esterno è garantito da Archie Goodwin. I due personaggi, infatti, si completano, conciliando“la scuola inglese (con l’investigatore tutto cervello) con quella statunitense (con l’investigatore sempre in movimento che non esista a sparare e a fare a pugni…)” (cfr. Franco Fossati, Dizionario del genere poliziesco, edizioni Garzanti 1994, p. 130).
Altro personaggio famoso che si diverte a risolvere casi misteriosi, senza recarsi nei luoghi del delitto, è don Isidro Parodi. Borges e Bioy Casares pubblicarono i sei racconti di cui è protagonista nel 1942. Isidro Parodi è un ergastolano, condannato a ventun anni di reclusione per uxoricidio. Egli accoglie nella sua cella i clienti che gli espongono dei «casi», che egli risolve malgrado sia impossibilitato ad esaminare i luoghi in cui si è svolto il crimine e ad interrogare i sospetti.

“For Borges (Argentina, 1899-1986), the detective story derives its force from the human desire to know, and is most perfectly exemplified in tales of armchair detectives who learn the truth without a need to experience the world of crime directly. However, even the armchair detective must re-enact the crime (if only in the mind), and an odd complicity is established between the detective and the criminal …” (Per Borges  – Argentina, 1899-1986 -, il romanzo poliziesco trae la sua forza dal desiderio umano di conoscere, ela sua espressione più perfetta è nella forma dei racconti del detective in poltrona. che scopre la verità senza bisogno di avere alcun contatto diretto con il mondo del crimine.Tuttavia, anche il detective in poltrona deve rivivere il reato – anche se solo nella sua mente -, e una misteriosa complicità si stabiliscetra il detective e il criminale …)

(The Cambridge History of Latin American Literature: Volume 2, a cura di Roberto Gonzalez Echevarría e Enrique Pupo-Walker, Cambridge University Press – 1996, p. 468)

Dal 1997, il famoso scrittore di thriller Jeffery Deaver ha iniziato a pubblicare i romanzi con protagonista Lincoln Rhyme, cheè diventato paraplegico, a causa di un incidente. Al suo posto, sulla scena del crimine, per la repertazione delle prove, si reca la sua assistente Amelia Sachs. Nel 2013 è uscito l’ultimo romanzo con protagonista Lincoln Rhyme,La stanza della morte, decimo della serie.

Dal collezionista di ossa (1997), primo romanzo della saga, fu tratto il Il silenzio degli innocenti“ del 1991 diretto da Jonathan Demme, in cui Hannibal, rinchiuso in una cella, aiuta l’agente Clarice Starling nella caccia a uno spietato serial killer;

  • La finestra sul cortile del 1954 diretto da Alfred Hitchcock, in cui Jeffries, costretto su una sedia a rotelle da una frattura alla gamba e immobilizzato nel proprio appartamento, inizia a spiare il proprio vicino, sospettando che abbia ucciso la moglie e ne abbia fatto sparire il cadavere, facendolo a pezzi.
  • Tutti questi esempi sono successivi al romanzo di Simenon, che fu scritto nel 1932, quindi due anni prima di Fer-de-Lance con Nero Wolfe. Da chi prese ispirazione Simenon?
    Purtroppo sull’argomento è stato scritto ben poco (in Italia praticamente nulla) e non è stato facile ricostruire l’ispirazione di un romanzo come Il pazzo di Bergerac.

    Il tema del “detective in poltrona”, in inglese “armchair detective”, è da sempre stato molto amato dai lettori di tutto il mondo, perché è l’esaltazione massima del ragionamento logico, che tramite informazioni di seconda mano (giornali, resoconti di altre persone) riesce ad arrivare alla soluzione dell’enigma. L’altro motivo del successo sta nel fatto che abbiamo una vera e propria simbiosi tra lettore e investigatore. Dell’importanza di questa identificazione tra lettore e detective si rese conto Giorgio Uberti, quando scrisse il suo articolo dedicato a Nero Wolfe:

    “La bravura dell’autore sta anche nel riuscire a mettere in bocca a Wolfe le nostre stesse domande proprio quando noi, in ogni istante della narrazione di Archie,vorremmo avere delle risposte. E quando Nero giunge alla soluzione e incastra il colpevole, durante una riunione (più o meno forzata) di tutti i protagonisti della storia nel suo studio, a noi sembra veramente ovvia, normale, quasi fossimo noi stessi a fornirla, la soluzione. E forse anche in questo sta la ragione del successo dei romanzi di Rex Stout … c’è soprattutto questo mettere il narratore al servizio di chi legge, cogliendo il movimento dei nostri cervelli un attimo prima che esso avvenga e soddisfacendolo all’istante, proprio come Nero pretende faccia Archie. Noi, in questa architettura narrativa, siamo Nero Wolfe.”

    (Nero Wolfe, il genio immobile, in Nick Raider – Almanacco del giallo 1996, edizioni Bonelli, p. 160)

    Gli esempi di detective che risolvono i casi criminali senza muoversi dal loro appartamento, precedenti l’opera di Simenon, sono molti; i più famosi sono sicuramente Auguste Dupin nel racconto The Mystery of Marie Roget, Fleming Stone, il Vecchio dell’angolo e il detective Roger Sheringham.

    Pare che la definizione armchair detectionabbia avuto origine da un racconto di Conan Doyle del 1893, L’interprete greco, in cui Holmes parla di suo fratello Mycroft: “Se l’arte dell’investigatore cominciasse e finisse con un ragionamento fatto standosene seduti in poltrona, mio fratello sarebbe il più grande criminologo di tutti i tempi. Ma non ha né ambizione né energia …” (Arthur Conan Doyle, Tutto Sherlock Holmes, Newton Compton editori 2010 – traduzione di Nicoletta Rosati Bizzotto).
    Del 1901, è la figura de Il vecchio dell’angolo, creato dalla penna della scrittrice britannica di origine ungherese Emma Orczy, (1865 – 1947), famosissima per la saga della Primula rossa, da cui fu anche tratto il bellissimo film, del 1934, The Scarlet Pimpernel, diretto da Harold Young e interpretato da Leslie Howard e Merle Oberon.
    La serie The Old Man in the Corner, costituita da 38 racconti, fu pubblicata tra il 1901 e il 1925. Avevacome protagonista appunto un vecchio che trascorre la maggior parte del tempo seduto ad un tavolo d’angolo in un pub a Londra. Il vecchio legge gli articoli dei giornali, si concentra sui piccoli dettagli sfuggiti alla polizia e ricostruisce il caso all’indietro, attraverso il raziocinio e l’intuizione, secondo i metodi di Dupin e Sherlock Holmes.
    Emma Orczy è considerata uno dei maggiori autori di quella che è stata definita la “prima età dell’oro” del poliziesco, e sicuramente la serie “The Old Man in the Corner” fu conosciuta e letta dal giovane Simenon. Prova ne sia il romanzo Maigret si diverte del 1956, dove Maigret è costretto, per motivi di salute, a prendersi una vacanza. Nel frattempo, Parigi è scossa dal ritrovamentodel cadavere nudo di ÉvelineJave, in un armadio dell’ufficio del marito. Il commissario che non può recarsi al Quai des Orfèvres, inizia a passare le sue giornate alla terrasse di place de la République, leggendo i giornali e cercando di scoprire chi si nasconde dietro quel misterioso omicidio. Non credo di dover aggiungere alcun commento!
    Il vecchio dell’angolo sembra anche somigliare al nostro Maigret, per il modo in cui vede la giustizia:

    “Irascible, contemptuous, and indifferent to justice, the Old Man regards crime purely as an intellectual puzzle and makes no effort to detain any malefactors or prevent future crimes” (Irascibile, sprezzante e indifferente alla giustizia, il Vecchio considera il crimine solo come un puro enigma intellettuale, e non fa nessuno sforzo per trattenere eventuali malfattori o prevenire crimini futuri)

    (cfr. Murderous Schemes: An Anthology of Classic Detective Stories, a cura di Donald E. Westlake, J. Madison Davis, Oxford University Press 1996, p. 189).

    In realtà si tratta di una falsa somiglianza, mentre a Maigret non interessa la giustizia del codice ma quella umana che tiene conto del carattere dei criminali e delle circostanze che li hanno portati a compiere il delitto, al Vecchio non interessa proprio alcun tipo di giustizia, è attratto solo dal mistero e dal gioco intellettuale che lo conduce alla soluzione. The Old Man in the Corner è considerato da molti il primo armchair detective.
    Ma il primo di tutti, in realtà, fu Auguste Dupin del solito Edgar Allan Poe. Il mistero di Marie Roget (1842) narra di come Dupin arrivi alla spiegazione della misteriosa scomparsa di una giovane donna, soltanto leggendo i resoconti dei giornali.

    “First, Poe established the character of the armchair detective. His Chevalier Auguste Dupin was able to solve inscrutable problems through his application of deductive reasoning and expert intuition.” (Per primo, Poe creò il personaggio del detective in poltrona. Il suo Chevalier Auguste Dupin era in grado di risolvere problemi impossibili attraverso la sua applicazione del ragionamento deduttivo e del suo eccezionale intuito”)

    (Patricia D. Maida – Nicholas B. Spornick, Murder She Wrote: A Study of Agatha Christie’s Detective Fiction, Popular Press 1 – 1982, p. 37)

    Il racconto di Poe è stato definito anche un poliziesco “mentale”, proprio perché non ha una vera trama e nessuna azione, ma è solo un resoconto analitico di quanto letto sui giornali. Quando Poe creò Dupin, gli conferì molte delle qualità di un Armchair detective. Dupin, infatti, è una macchina pensante che presta una attenzione maniacale ai dettagli, mentre azione e dramma sono quasi del tutto esclusi (vedi per maggiori informazioni Murderous Schemes: An Anthology of Classic Detective Stories, a cura di Donald E. Westlake, J. Madison Davis, Oxford University Press 1996, pp. 187-188).

    La prima avventura di Fleming Stone fu pubblicata nel 1909. Il personaggio è una creatura dell’autrice americana Carolyn Wells (1862 – 1942): detective molto popolare agli inizi del XX secolo, apparve in ben 61 romanzi, alcuni dei quali furono pubblicati anche da Garzanti e successivamente da Mondadori. Fleming Stone è uno studioso molto erudito, appassionato di libri, chiamato a risolvere delitti impossibili per la polizia (spesso misteri della camera chiusa, che influenzarono anche il grande Dickson Carr). Egli ama trascorrere la maggior parte del tempo nella biblioteca di casa sua e “esce soltanto con la soluzione giusta dopo aver analizzato a lungo tutti gli indizi a sua disposizione” (cfr. Franco Fossati, Dizionario del genere poliziesco, edizioni Garzanti 1994, p. 79).
    Nel 1927, lo scrittore Vincent Starrett pubblicò “Too Many Sleuths”, in cui si narra la storia di un geniale ma grasso e pigro proprietario di una libreria di Chicago. George Washington Troxell lascia raramente il suo negozio e la sua grande poltrona e si fa aiutare da un dinamico giovane “police reporter”, Fred Dellabough.  Troxell e Dellaboughfurono i modelli da cui trasse ispirazione Rex Stout per Nero Wolfe e Archie Goodwin.
    Del 1929 è il famoso romanzo The Poisoned Chocolates Case (Il caso dei cioccolatini avvelenati, Editore Polillo – collana I bassotti, 2008) di Anthony Berkeley Cox, considerato dalla critica il suo capolavoro e inserito spesso nelle liste dei migliori gialli di tutti i tempi. Il “Circolo del Crimine” descritto nel libro era ispirato al Detection Club che l’autore stesso aveva fondato a Londra nel 1928. Nel romanzo, infatti, sei personaggi, tra cui il protagonista, il detective Roger Sheringham, discutono casi di omicidio che Scotland Yard non riesce a risolvere. Scrittore dimenticato ingiustamente in Italia, Anthony Berkeley Cox è l’autore di Before the Fact (Il sospetto- 1932) da cui Hitchcock, nel 1941, trasse il film Suspicion con Cary Grant e Joan Fontaine. Per chi volesse leggere alcuni dei suoi capolavori, la casa editrice Polillo ha recentemente pubblicato quattro sue opere.

    Nel 1932, la stessa Agatha Christie, imitò “Man in the Corner” della Orczy, utilizzando una detective zitella, di nome Miss Jane Marple, in una serie di racconti, raccolti nel volume The thirteen problems (Agatha Christie, Miss Marple e i tredici problemi, traduzione di Lidia Lax, collana Oscar Mondadori 2003). Questi racconti furono scritti dalla Christie con intenti parodistici: “the knitting Miss Marpie was a parody of the armchair detectives” (Silke Friedrich, Queens of Crime: American and British Female Detective Novels Over the Course of Time, Grin Verlag – 2013, p. 26). Le storie ebbero, comunque,tanto successo che Miss Marple divenne la protagonista di altri dodici romanzi, scritti tra il 1930 e il 1976. Agatha Christie si ispirò sicuramente anche alle opere di Berkeley. Miss Marple e i tredici problemi, infatti, è molto simile nella struttura a Il caso dei cioccolatini avvelenati: la scrittrice immagina che, dopo una cena in casa di Miss Marple, i suoi ospiti decidano di raccontare storie di delitti rimasti impuniti e di cercare di risolverli, quasi come si trattasse di un gioco di società.
    La maggior parte di questi romanzi e racconti si basa sull’idea che la mente del detective possa risolvere “the riddles of material reality without needing to come into contact with it” (“gli enigmi della realtà materiale senza bisogno di entrare in contatto con essa” – cfr. David Lehman, The Perfect Murder: A Study in Detection, University of Michigan Press, 2000, p. 78). Tutto si limita quindi ad un astratto gioco cerebrale, come se il detective si chiudesse dentro la stanza chiusa della propria mente: “at a crucial point in the investigation, a Wimsey or a Wolfe, a Dupin or a Maigret, will withdraw into his own mind … and engage in a form of stationary travel or long-distance thought… (“Quando le indagini arrivano ad un punto cruciale, un Wimsey o un Wolfe, un Dupin o un Maigret, si ritireranno nella loro mente … e si impegneranno in una specie di viaggio statico o di pensiero a lunga distanza … – cfr. David Lehman, The Perfect Murder: A Study in Detection, University of Michigan Press, 2000, p. 78).
    David Lehman descrive qui il processo mentale tipico del giallo classico, anche se erroneamente (vedremo più avanti perché) inserisce nella sua lista anche il nostro Maigret.
    Ma se gli “armchair detectives”sono la forma più pura ed estrema di intrattenimento cerebrale, conseguentemente la pena, il reato, la giustizia, la psicologia e “the human interest” assumono secondaria importanza, rispetto al metodo di deduzione logica usato per arrivare alla soluzione.

    “… in the armchair detection form make it more suitable to the short story than to the novel. Describing the crime indirectly, in a narration that becomes a virtual monologue of quotations within quotations, makes for a cumbersome structure, and emphasizing the ingenuity of the detective, who is usually more attracted by the intellectual game than by the pursuit of justice, diminishes the human interest …” (“la struttura del tema della armchair detection è più adatta alla forma del racconto che del romanzo. Descrivendo il crimine indirettamente, in una narrazione che diventa un monologo virtuale di citazioni all’interno di citazioni, che rende la struttura narrativa ingombrante, e sottolineando l’ingegnosità del detective, che di solito è più attratto dal gioco intellettuale che al perseguimento della giustizia, diminuisce l’interesse umano della storia.”

    (Rosemary Herbert, Whodunit?: A Who’sWho in Crime and Mystery Writing, Oxford University Press 2003, p. 12)
    Lehman sbaglia ad inserire nella sua lista Maigret, perché già negli articoli dei giornali e delle riviste dell’epoca, troviamo testimonianza della novità dei polizieschi di Maigret che, non avendo un vero metodo scientifico di indagine, si stacca dalla tradizione dell’investigatore deduttivo e logico. Maigret, infatti,si immerge nell’ambiente della vittima sino ad immedesimarsi con essa, stabilendo quasi una specie di intimità psicologica (Cfr. articolo di Michel Lemoine, The method of investigation according to Maigret: a methodical absence of method?).
    Abbiamo già fatto notare, in La casa dei fiamminghi, come l’indagine di Maigret sia costruita sulle atmosfere e sui dialoghi tra i personaggi e di come non esista un percorso logico tramite il quale il commissario arriva alla soluzione.

    «Lei cosa ne pensa?» mormorò alla fine il poliziotto di Groningen.
    «Ecco il problema! Ed ecco anche la differenza tra noi due! Lei pensa già qualcosa! Anzi, un sacco di cose! Io invece non penso ancora nulla…».

    (Georges Simenon, Un delitto in Olanda, “Adelphi – Le inchieste di Maigret”, 1996)

    Per alcuni romanzi della serie Maigret, però, Simenon trasse ispirazione dai gialli ad enigma. Lo scrittore, in Il pazzo di Bergerac, ad esempio, non solo utilizzò il tema del detective in poltrona, ma recuperò anche altri aspetti essenziali tipici del giallo classico:

    • l’uso della cartina d’ambiente (carta della Michelin), su cui poter ricostruire i vari ed eventuali spostamenti di vittima e assassino;
    • il “bizzarro”, ossia la “situazione limite del romanzo ad enigma, la provocazione che ne mette in gioco tutte le risorse e lo spinge al culmine delle sue possibilità” (cfr. Mauro Boncompagni, Tre inglesi d’America, in “Il giallo degli anni trenta”, Edizioni Lint Trieste, 1988, p. 109), rappresentato qui dall’omicidio con l’ago conficcato nel cuore delle vittime.

    Adattando il suo Maigret a certe tematiche tipiche del giallo classico, Simenon non si rese conto della contraddizione insita in una simile scelta. Negli autori del giallo ad enigma,“il delitto non appare come un problema esistenziale, ma come una sfida intellettuale” (cfr. Mauro Boncompagni, Tre inglesi d’America, in “Il giallo degli anni trenta”, Edizioni Lint Trieste, 1988, p. 108).

    Il commissario Maigret fatica ad inserirsi in questo tipo di trame e le intuizioni, con cui alla fine arriva alla soluzione del caso, non sembrano verosimili. Qualcosa del genere era capitato in Il signor Gallet, defunto, in cui ho evidenziato come, nel descrivere la complicata e improbabile tecnica con cui era stato ucciso il protagonista, Simenon si fosse ispirato al poliziesco ad enigma, e di come questa fosse la parte più debole del romanzo.
    Quello che intendo mettere in evidenza è come la novità e la ragione del successo dei polizieschi di Simenon fosse la straordinaria umanità di Maigret, la caratterizzazione dei personaggi, la descrizione stilizzata ma viva dell’ambiente. Lo scrittore stesso era ben conscio della novità che aveva portato alla letteratura poliziesca, evitando l’astratto e “artificiale” gioco intellettuale, tipico del giallo classico.

    … Ogni giorno c’è gente che si uccide o che uccide. Ebbene, ho notato che il suicidio o l’omicidio dell’uomo della strada, dell’antieroe, diciamo così, non è mai l’atto di un pensiero che arzigogola su se stesso, che costruisce sul vuoto le proprie ragioni, ma l’impulso autentico di una personalità autentica. L’antieroe non è mai artificiale e proprio per questo non cambia mai …

    (Giuseppe Bonura, Intervista a Simenon, tratta da “La fiera letteraria”, numero 19, giovedì 11 maggio 1967, in Bartolomeo Di Monaco, I MAESTRI. Scelta di articoli de “La Fiera Letteraria” dal 1967 al 1968 – Volume Primo, lulu.com, 2012, p. 185)

    Il commissario parigino era soprattutto un personaggio umano e vivo, ma solo, nel 1942, dopo una pausa lunga quasi dieci anni, quando Simenon ricominciò a scrivere polizieschi con protagonista Maigret, lo scrittore comprese che il commissario era ormai maturo per essere liberatodagli stilemi tipici del giallo ad enigma.
    Tornando al tema del detective in poltrona e alla sua evoluzione all’interno del genere poliziesco, vale la pena evidenziare come, se Agatha Christie con i suoi racconti aveva parodiato il personaggio creato da Emma Orczy, con Il sospetto di Friedrich Dürrenmatt e il suo commissario Hans Bärlach della Polizia di Berna siamo di fronte a quello che è stato definito l’assassinio del Giallo. Scritto nel 1951, il romanzo di Dürrenmatt vede il commissario Bärlach, malato terminale e costretto in un letto d’ospedale, intuire sulla base di un mero sospetto e non su dei fatti reali, che il dottor Nehle, spietato medico nazista, e lo stimato chirurgo Emmenberger siano la stessa persona. Friedrich Dürrenmatt, con i suoi romanzi, mette in dubbio la possibilità di arrivare alla verità tramite la logica, critica quelle trame poliziesche in cui tutto pare accadere come si trattasse di una partita a scacchi, non tenendo conto del caso, e denuncia quegli scrittori che, quando scrivono un libro,creano un universo dominato da loro stessi, ossia costruiscono una sorta di universo parallelo “logico in essenza e capace di garantire le deduzioni dell’investigatore” (si veda in proposito quanto scritto da Renato Giovannoli, in Elementare, Wittgenstein! Filosofia del racconto poliziesco, Medusa, Milano 2007, pp. 36-42). Rientra tra questi anche l’autore di Maigret? Dire di sì sarebbe troppo semplicistico. Non dobbiamo dimenticare quanto conti il destino e il caso nei romanzi di Simenon (vedi articolo La balera da due soldi). D’altra parte, il caso di cui parla Dürrenmatt è diverso da quello inteso da Simenon nelle sue opere:

    … i fattori di disturbo che si intrufolano nel gioco sono così frequenti che troppo spesso sono unicamente la fortuna professionale e il caso a decidere a nostro favore. O in nostro sfavore. Ma nei vostri romanzi il caso non ha alcuna parte, e se qualcosa ha l’aspetto del caso, ecco che subito dopo diventa destino e concatenazione; da sempre voi scrittori la verità la date in pasto alle regole drammatiche …

    (Friedrich Dürrenmatt, La promessa. Un requiem per un romanzo giallo, edizione Feltrinelli)

    Simenon usa un evento fortuito per mettere in luce il falso equilibrio su cui si basa la vita di un uomo, per metterlo alla prova e descrivere la sua capacità di reagire, e quindi la verità della trama obbedisce alle regole drammatiche. Per Dürrenmatt, il caso è il caos che rende inutile ogni ragionamento logico sull’esistenza: “la “realtà” diventa un concetto ambiguo, inconoscibile o perlomeno ineffabile. Nulla può essere conosciuto con sicurezza nella metafisica poliziesca …” (Cfr. le pagine dedicate a Friedrich Dürrenmatt da Giovanni Darconza nel suo Il detective, il lettore e lo scrittore. L’evoluzione del giallo metafisico in Poe, Borges, Auster, Aras Edizioni – 2013, pp. 60-64).

    Se Simenon non è ancora giunto al concetto filosofico di caos di Dürrenmatt, è sicuramente l’autore europeo che, negli anni trenta e quaranta, più gli si avvicina. Non dobbiamo dimenticare come molte delle indagini di Maigret terminino lasciando l’amaro in bocca al commissario che, pur scoprendo la verità, non riesce ad “accomodare il destino”. In Il pazzo di Bergerac, Maigret, chiuso nella sua stanza d’albergo, non solo non riesce ad evitare il suicidio finale dei due amanti ma neppure a prevederlo.I personaggi Dupin e Holmes erano praticamente omniscienti, mentre il limite di Maigret è proprio la sua umanità. Come poteva, d’altra parte, Maigret, legato da un rapporto coniugale normale e borghese, comprendere la “passione ardente” tra il dottor Rivaud e Françoise? Il commissario può intuire l’esistenza di quel rapporto e comprendere che esso sia stato il fattore scatenante del dramma omicida, ma non quanto esso sia profondo e distruttivo! La sua umanità e capacità di immedesimarsi, che sono la sua più grande dote, sono in fondo anche il suo più grande limite: il finale de Il pazzo di Bergerac è la dimostrazione dell’impotenza dell’umano Maigret. In quei primi decenni del novecento, infatti, era sempre più chiaro quanto fosse inconoscibile l’animo umano; per questo capita che Maigret arrivi alla soluzione troppo tardi o che comunque, pur scoprendo la verità, essa non sia la panacea sperata.
    In ogni modo, è mio modesto parere che il poliziesco sia tutt’altro che morto, e che Simenon e Dürrenmatt (insieme con altri grandi scrittori, come Borges e Bioy Casares ),con la loro opera, lo abbiano arricchito di ulteriori sfumature, conferendogli non solo un maggiore realismo ambientale e psicologico, ma, nel caso di Dürrenmatt, anche una profondità metafisica, di cui si servirà scientemente Umberto Eco quando scriverà “Il nome della rosa” (cfr. Giovanni Darconza, Il detective, il lettore e lo scrittore. L’evoluzione del giallo metafisico in Poe, Borges, Auster, Aras Edizioni – 2013, pp. 52-76).

    Curiosità – La signora Simenon e Napoleone

    Nel 1997, Carlo Ambrosini, già disegnatore e sceneggiatore di Dylan Dog, creò il fumetto di Napoleone Di Carlo, un ex poliziotto, che fa l’albergatore in svizzera e che aiuta il suo amico commissario Dumas a sbrogliare indagini misteriose.
    Molti degli appassionati lettori di Maigret non sanno che Napoleone amministra il suo albergo insieme alla signora Simenon, «un nome che è un affettuoso omaggio al “papà” di Maigret».

    “A Napoleone, come a Maigret, non interessa punire i colpevoli, ma indagarne le colpe, studiare i meccanismi psicologici che li portano alla violenza. Non a coso, i giallisti che più hanno ispirato Ambrosini nell’architettare le prime storie sono Friedrich Dürrenmatt … e l’immancabile Simenon”

    (Cfr. Raffaele Crovi, La doppia vita di Georges Simenon, in Nick Raider. Almanacco del Giallo 1997, edizione Bonelli, p.152)

    Edizioni italiane
    1933 – Il pazzo di Bergerac, collana “I libri neri. I romanzi polizieschi di Georges Simenon” (n° 10 – maggio) – traduttore Marise Ferro;
    1934 – Il pazzo di Bergerac, collana “Gialli Economici Mondadori” (n° 27 – 8 novembre) – traduttore Marise Ferro;
    1947 – Il pazzo di Bergerac, collana “Omnibus Gialli Mondadori” (ristampato nella stessa collana nel 1952 e nel 1961) – traduzione di Marise Ferro;
    1967 – Maigret e il pazzo di Bergerac, nel II° volume “Le inchieste del Commissario Maigret”, della collana “Tutte le opere di Georges Simenon” (1966-1971) – traduzione di Marise Ferro;
    1968 – Maigret e il pazzo di Bergerac, collana “Le inchieste del Commissario Maigret” (n° 66 – settembre) – traduttore Guido Cantini;
    1972 – Maigret e il pazzo di Bergerac, collana “Gli Oscar” (n° 390 – 7 febbraio) – traduttore Guido Cantini;
    1980 – Maigret e il pazzo di Bergerac, nella raccolta Maigret e la moglie, all’interno della collana “Le inchieste del commissario Maigret” (1978-1982), supplemento ai “Gialli Mondadori” – traduttore Guido Cantini;
    1988 – Maigret e il pazzo di Bergerac, collana Omnibus gialli e di fantascienza, nel volume intitolato A tavola con Maigret/ Le ricette della signora Maigret (2 volumi – traduzione di Rosalba Buccianti, Savina Roggero; prefazione di Renato Olivieri, introduzione di Georges Simenon).
    1989 – Maigret e il pazzo di Bergerac, collana “Oscar Gialli”, (n° 2131, maggio) – traduttore Rosalba Buccianti;
    1995 – Il pazzo di Bergerac, edizioni Adelphi, collana gli “Adelphi – Le inchieste di Maigret”(n° 81) – tradotto da Laura Frausin Guarino;
    2014 – Il pazzo di Bergerac, nel volume I Maigret: Il pazzo di Bergerac-Liberty Bar-La chiusa n.1-Maigret-I sotterranei del Majestic. Vol. 4, collana Gli Adelphi. Le inchieste di Maigret – tradotto da Laura Frausin Guarino.

    Tutti i brani de Il pazzo di Bergerac sono tratti dall’edizione Adelphi, collana gli “Adelphi – Le inchieste di Maigret” – traduzione di Laura Frausin Guarino.

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    Il pazzo di Bergerac
    137 Recensioni
    Il pazzo di Bergerac
    • Simenon, Georges (Autore)

    Articolo protocollato da Alessandro Bullo

    Alessandro Bullo è nato a Venezia. Si è laureato in lettere con indirizzo artistico, mantenendosi con mestieri occasionali; dopo la laurea ha lavorato per alcuni anni presso i Beni Culturali e poi per la Questura di Venezia. Successivamente ha vissuto per quasi dieci anni a Desenzano del Garda per necessità di lavoro. Attualmente vive a Venezia e lavora come responsabile informatico per un’importante ditta italiana. Sue passioni: Venezia, il cinema noir, leggere, scrivere. Autori preferiti: Dino Buzzati, Charles Bukovski, Henry Miller. Registi preferiti: Elia Kazan e Alfred Joseph Hitchcock. È arrivato per due volte in finale al premio Tedeschi e una al premio Urania. Nel 2012 con “La laguna degli specchi” (pubblicato sotto lo pseudonimo Drosan Lulob) è stato tra i vincitori del concorso “Io scrittore”.

    Alessandro Bullo ha scritto 66 articoli: