Il cimitero dei vangeli segreti – Ted DekkerIl cimitero dei vangeli segreti è il titolo italiano de The Priest’s Gravey, romanzo di Ted Dekker in uscita a novembre per Newton & Compton. Definito da The Booklist il miglior libro di Dekker, si tratta di un’opera nella scia del thriller-religioso dell’autore nato in Indonesia, centrato sulla lotta tra bene e male e con importanti interrogativi di ordine e morale che affiancano ritmo e adrenalina. La trama vede protagonista Danny Hansen, un immigrato bosniaco fuggito in America per dimenticare la guerra e il dolore bruciante per l’uccisione della madre e delle sorelle. Nella sua nuova vita è un prete, che crede nella legge dell’amore e della compassione. Ma molti uomini continuano a ignorare la parola di Dio e calpestano i più deboli. È per questo che Danny lotta ogni giorno: per mostrare la retta via alle anime perdute. A qualunque costo. Ma non è il solo a farlo. C’è una donna, Renee Gilmore, con un passato da tossicodipendente che per tanto tempo ha subito i soprusi di un uomo potente e spietato. Finalmente è riuscita a sfuggirgli, e adesso la sua vita ha un solo scopo: la vendetta. Danny e Renee inseguono lo stesso uomo e sono destinati a incontrarsi in questa lotta tra giusto e sbagliato, dove niente è ciò che sembra.

Confessione
«Non c’è niente di nuovo sotto il sole. Giusto, Renee?».
Padre Andro si appoggiò allo schienale e la sedia scricchiolò. «Qualunque cosa tu abbia fatto, Dio ti perdonerà. Ne sono sicuro». Portò alla bocca una tazza di tè fumante, ne bevve un sorso e la posò sulla scrivania ingombra.
Avevo chiamato tre giorni prima chiedendogli di vederci in priva- to, e solo se avesse potuto dedicarmi l’intera serata. Diverse serate, forse. Dal suo silenzio capii che trovava strana quella richiesta, che proveniva, oltretutto, da una donna con accento americano. Ma avevo bisogno di confidarmi con qualcuno. Lo dovevo a Danny, e anche a me stessa.
«Prima di raccontarle l’intera storia», dissi tirando fuori il vecchio diario ingiallito dalla borsa, «devo essere sicura che lei comprenda il passato di Danny. Questi appunti li ha scritti negli Stati Uniti, parecchi anni fa. Non sono molte le persone in grado di capire perché ha fatto quel che ha fatto, mentre si trovava laggiù».
Padre Andro mi guardò da dietro gli occhiali rotondi e mi prese il diario dalle mani. «Ma tu pensi che io possariuscirci, vero?»
«Se non ci riesce un prete bosniaco, non so davvero chi altro».
«Non sono molto a mio agio a leggere la confessione di un uomo in sua assenza».
«Ma deve. La prego».
Gli occhi del sacerdote erano fissi nei miei. «Vuoi che la legga ora?»
«Per favore, sì. Sono poche pagine». «Non sarebbe meglio che tu…». «Per favore, iniziamo da quello che ha in mano». Padre Andro annuì. «Bene».
Sollevò il diario, lo aprì e cominciò a leggere la confessione di Danny, scritta di suo pugno.

Memoriale di Danny Hansen

Solo una volta in tutta la mia vita mi sono trovato a pregare che un’altra persona non smettesse di urlare.
Le urla erano quelle di mia madre, e sono sicuro che l’unico motivo per cui smisero fu che le venne a mancare il respiro. Ero ancora un ragazzino, e me ne stavo seduto in un angolo della mia camera, le gi-nocchia strette contro il petto, pregando di sentire ancora un suono, un segno di vita, fosse anche un urlo.
Ora sono molto più vecchio e quelle urla le sento fin troppo spesso, e prego che cessino. Non so più se sono unangelo o un mostro.
Sono le due del mattino e fuori infuria la tempesta. Mi sono rigirato nel letto per tre ore fissando il soffitto e,nonostante abbia fatto voto di silenzio, devo almeno scrivere quello che successe quel giorno del 1992, sperando che la confessione mi restituisca la pace sufficiente a ritrovare il sonno.
Sono cresciuto in un piccolo paese nel nord della Bosnia, e quando cominciò la guerra civile tra serbi e croati avevo quindici anni. Le cause che hanno originato quella guerra sono molte, ma tutto ciò che allora riuscii a capire era che i cristiani ortodossi stavanouccidendo i cattolici.
Io, mia madre e le mie due sorelle eravamo cattolici. Buoni cattolici, che andavano a messa tutte le domeniche e pregavano ogni giorno. Per quel che ricordo, ero convinto che, a tempo debito, sarei diventato prete.
Mio padre era morto di cancro ai polmoni quattro anni prima, la- sciando mia madre sola a prendersi cura di me e delle mie sorelle, Marija e Nina. A due anni dalla sua morte ci eravamo abituati a vivere senza di lui, confortati dal nostro amore reciproco.
Quel pomeriggio d’autunno la temperatura era tiepida e gli alberi della valle ancora non avevano perduto le foglie. Eravamo seduti a tavola, a fare colazione con muffin e porridge d’avena, nella nostra casa ai confini meridionali della cittadina. Ancora oggi ricordo ogni dettaglio con precisione.
Mamma aveva fatto il porridge con il latte al posto dell’acqua quel mattino, quindi era soffice e cremoso come piaceva a me. Marjia lo preferiva con più avena e Nina suggerì di metterci più latte, per poterlo mangiare come una zuppa. Feci una smorfia per esprimere la mia repulsione a quell’idea, e Marija rise. Incoraggiato, mostrai tutto il mio repertorio di facce buffe, e per alcuni minuti ridemmo tutti.
Mamma era ancora in camicia da notte, quella gialla di flanella che indossava sempre. Aveva i capelli lunghi e neri raccolti in una crocchia perché non le scendessero sul viso. Le mie sorelleerano in pigiama. Solo io mi ero vestito (pantaloni e camicia grigia con ilcol- letto abbottonato, la stessa che avevo indossato il giorno prima) dopoessere rotolato giù dal letto non appena la mamma ci aveva chiamati per colazione.
Stavamo ancora ridendo della mia quarta, o forse era la quinta, smorfia – labbra arricciate e occhi incrociati – quando sentimmo bus- sare ripetutamente. Una voce dura intimava di aprire, o avrebbero buttato giù la porta.
Il nostro paese sorgeva in una valle a nord rispetto alla zona dei combattimenti che avevano raggelato la Bosnia, ma ci raggiungeva- no centinaia di storie, e ognuna era più allarmante della precedente. Resoconti di terribili massacri, stupri, uccisioni di intere comunità di fedeli durante la messa della domenica, cecchini nascosti nei boschi pronti a far saltare la testa del primo passante.
Mia madre si alzò in piedi lentamente, il viso pallido come il porridge. La voce risuonò ancora, questa volta accompagnata da un’imprecazione.
I suoi occhi cercarono i miei, poi quelli delle bambine. «Nelle vo- stre stanze! Presto!».
Marija e Nina si allontanarono dal tavolo obbedienti, ma io non volevo andarmene. Dopo la morte di mio padre, la mamma era diventata per me la più grande fonte di sicurezza. Insieme al sacerdote della chiesa locale, era il mio unico vero rifugio. Mi sentivo alsicuro al suo fianco. E pensavo che per lei fosse lo stesso.
Cominciai a discutere, ma lei tagliò corto e puntò il dito verso la mia stanza.
«Presto! Corri! Esci dalla finestra e porta le tue sorelle dal prete!».

Articolo protocollato da Giuseppe Pastore

Da sempre lettore accanito, Giuseppe Pastore si diletta anche a scrivere e ha pubblicato alcuni racconti su antologie e riviste e ottenuto vittorie e piazzamenti in numerosi concorsi letterari. E' autore (assieme a S. Valbonesi) del saggio "In due si uccide meglio", dedicato ai serial killer in coppia. Dal 2008 gestisce il ThrillerCafé, il locale virtuale dedicato al thriller più noto del web.

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