dieci piccoli indiani, recensioneTen little niggers fu scritto da Agatha Christie (1890 – 1976) e pubblicato in America e in Inghilterra a puntate nel 1939. Il titolo originale inglese, sia della pubblicazione a puntate che di quella in volume, era appunto Ten little niggers. In America, però, il termine nigger fu considerato offensivo nei confronti della comunità nera, per cui il titolo fu cambiato in And then there were none. Successivamente, alcune case editrici utilizzeranno anche il titolo Ten little indians. In Italia, il romanzo fu pubblicato da Mondadori solo nel 1946, con il titolo “…E poi non rimase nessuno“, successivamente trasformato in “Dieci piccoli indiani“. Nei paesi anglosassoni, al titolo originale Ten little niggers, è ormai preferito And then there were none.

Dieci piccoli indiani è il giallo più venduto al mondo (110 milioni di copie), piazzandosi all’undicesimo posto nella classifica dei best seller con più incassi della storia. È interessante far notare che, prima ancora che fosse pubblicato, Ten little niggers era già considerato l’opera migliore della scrittrice inglese: Quando la Collins iniziò a pubblicizzare Dieci piccoli indiani sul «Book- sellers Record» nel luglio del 1939, la definì semplicemente “la migliore storia che Agatha Christie abbia mai scritto” (Curran, 2011, p. 89)

Trama

Dieci persone vengono invitate, da un misterioso signor Owen, a soggiornare a Nigger Island, una piccola isola al largo della costa del Devon. L’assassino, fin dall’inizio, tramite la sua voce registrata su un grammofono, accusa i dieci ospiti di aver commesso crimini che la giustizia non ha potuto punire. Intrappolate sull’isola, le dieci persone iniziano ad essere uccise a una a una, seguendo le rime di un’antica filastrocca…

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Dieci piccoli indiani (... e poi non rimase nessuno)
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Dieci piccoli indiani, una novità nel mystery classico degli anni trenta

Dieci piccoli indiani, pubblicato in Inghilterra, nel 1939, in 23 puntate sul ‘Daily express‘ (6 giugno-1 luglio), e in America in sette puntate sul ‘Saturday evening post‘ (20 maggio-1 luglio), ebbe un successo enorme, come se il pubblico stesse aspettando da tempo un nuovo tipo di giallo, meno legato ai rigidi schemi del mystery classico. Andrea G. Pinketts definì grandiosa la Christie di Dieci piccoli indiani in cui il delitto “non è più gioco di società, ma teatro dell’assurdo. L’assurdo della logica, forse.” (Pinketts, 2005, p. 64).

Dieci piccoli indiani di Agatha Christie dovette risultare spiazzante per qualsiasi amante del genere giallo di quel periodo. Come nel mystery dell’epoca d’oro, il romanzo inizia con un omicidio (commesso in uno dei modi più classici e amati dalla scrittrice inglese, ossia l’avvelenamento); si basa sul tema classico dell’isolamento di un gruppo di persone all’interno di uno spazio ristretto; finisce con la spiegazione razionale di quanto accaduto nell’isola (anche se tramite la confessione dell’assassino, affidata ad una bottiglia gettata in mare). I legami con il romanzo poliziesco degli anni venti e trenta finiscono qui.
La prima novità di Ten little niggers è la mancanza di un investigatore o di un eroe che alla fine riesca a risolvere il mistero. Agatha Christie, infatti, crea “una variante del tema della “camera chiusa” particolarmente interessante giacché in esso non figura alcun detective” (Falzon, Prefazione, in Agatha Christie, Dieci piccoli indiani, Mondadori, edizione digitale) e tutti i personaggi sono colpevoli. La seconda novità è la mattanza da film horror contemporaneo, in cui alcune persone, costrette a vivere in uno spazio ristretto, quale appunto un campus universitario (vedi Scream di Wes Craven del 1996) oppure un campeggio (vedi Venerdì 13 del 1980, diretto da Sean S. Cunningham), vengono mano a mano eliminate sino al truculento finale. La terza è il fatto che uno dei protagonisti conosce il passato e i crimini degli altri personaggi (un titolo per tutti: So cosa hai fatto del 1997 diretto da Jim Gillespie).
La villa e l’isola divengono lo sfondo teatrale di una tragedia senza pace né redenzione, in cui nessuno può essere salvato, perché nessuno è privo di colpa.

Ten Little Niggers è apprezzabile per la costruzione del plot, per l’onnipresente senso di colpevolezza che pervade l’ambiente e i personaggi, per la rappresentazione magistrale della lucida pazzia del giudice Wargrave che sublima la sua bramosia di sangue facendone un atto di suprema giustizia…

(Ercoli, 1979, p. 24)

Alla tipica struttura positivistica del giallo classico, in cui alla fine la logica dell’investigatore ripristina l’ordine svelando la verità, la Christie sostituisce un’antica e crudele Danza macabra medioevale, cadenzata dall’ossessiva litania mortale della filastrocca. È la Morte, infatti, che detta le regole, anticipando addirittura il modo in cui i piccoli e insignificanti “niggers” dovranno morire. E la morte arriva all’improvviso e sconosciuta, proprio come il nome del giustiziere (la Falce della Morte), ossia il padrone di casa che si cela sotto lo pseudonimo di U.N. Owen (Unknown).

«Mi pare che le sue conclusioni siano giustificate. Ulick Norman Owen!
Nella lettera della signorina Brent, sebbene il cognome sia un semplice sgorbio, i nomi di battesimo sono abbastanza chiari: Una Nancy. In entrambi i casi avrete notato le medesime iniziali Ulick Norman Owen. Una Nancy Owen: tutt’e due le volte, quindi U. N. Owen.
Oppure, con un leggero sforzo di fantasia, “sconosciuto”!»
(Le iniziali U. N. più la parola Owen si pronunciano in inglese all’incirca come la parola “Unknown” = sconosciuto. Nota del Traduttore).
Vera gridò: «Ma tutto questo è assurdo, pazzesco!».

(Christie, 1993)

E tutti questi giochi di parole (la filastrocca e lo pseudonimo dell’assassino) che sembrano creare confusione e incertezza negli ospiti, dovrebbero invece spingerli a meditare sulle loro colpe e sulla effimera caducità su cui si basa la loro esistenza.
D’altra parte, il loro destino è già segnato fin dall’inizio e c’è lo dice la stessa scrittrice: i dieci personaggi arrivano, infatti, all’isola condotti da un barcaiolo, chiamato Fred Narracott, in cui Pezzini Franco ha addirittura voluto vedere il personaggio di Caronte, il traghettatore delle anime dell’inferno di Dante; l’isola si è conquistata il nome di Nigger Island, per la sua forma che rassomiglia, in modo inquietante, alla testa di un negro, e il nero è il colore che attraversa tutto il romanzo; ma è soprattutto la dichiarazione di un vecchio alla fine del primo capitolo ad essere profetica.

Alzò solennemente una mano e ammiccò con gli occhi cisposi. «State all’erta e pregate» disse. «State all’erta e pregate. Il giorno del giudizio è vicino.»
Si lasciò scivolare sulla banchina, ma non riuscì a tenersi in piedi e cadde. Da quella posizione, guardò il signor Blore, e insistette con dignità: «Dico a lei, giovanotto. Il giorno del giudizio è molto vicino».
Mentre tornava a sedersi, il signor Blore pensò: “E’ più vicino lui di me al giorno del giudizio, questo è sicuro!”.
E invece, come dimostrarono gli eventi, aveva torto…

(Christie, 1993)

La scena dell’arrivo all’isola, inoltre, sembra essere ispirata alle tele che il pittore Böcklin dipinse, fra il 1880 e il 1886, intitolate “L’isola dei morti“, in cui è raffigurata una barca che arriva su un’isola deserta e misteriosa, che rappresenterebbe simbolicamente l’Aldilà. Questi dipinti erano molto celebri all’inizio del XX secolo in Europa ed è probabile che la scrittrice ne sia stata influenzata. Pezzini Franco, sulla base di questi riferimenti poetici e pittorici, arriva a sostenere che Dieci piccoli indiani debba essere trattato a tutti gli effetti come un vero e proprio romanzo fantastico. Questa definizione è confermata da Todorov (1995, pp. 52-53), secondo cui la trama di Dieci piccoli indiani, prima della soluzione finale, sfida la logica del lettore costringendolo a credere all’esistenza del “soprannaturale piuttosto che l’assenza di ogni spiegazione“.
L’appartenenza al genere fantastico è confermata anche dalla confessione dell’assassino, quasi una dichiarazione di poetica:

… ero, o potevo essere, un artista del delitto! La mia immaginazione, severamente frenata dalle esigenze professionali, aveva acquistato segretamente una forza estrema. Dovevo, dovevo, DOVEVO commettere un assassinio! E non un assassinio normale. Doveva essere un crimine fantastico, qualcosa di straordinario, fuori del comune! Sotto questo aspetto, ho ancora una fantasia da adolescente. Volevo qualcosa di teatrale, di impossibile!

(Christie, 1993)

 

Collocare, quindi, Dieci piccoli indiani all’interno di un genere specifico, come quello del poliziesco, sarebbe impresa ardua se non addirittura “delittuosa“: horror, fantastico, thriller e mystery si intrecciano creando un perfetto mix che ancora oggi, a quasi cento anni dalla pubblicazione del libro, riesce ad ammaliare milioni di lettori. Come ha sottolineato Serafini Stefano, Agatha Christie, durante la sua lunga carriere di scrittrice, si è mostrata “attenta ai fermenti provenienti dagli Stati Uniti e dalla terra di Francia, Christie è una scrittrice a sé stante nello sfumato e complesso panorama della Golden Age britannica…” (Serafini, 2015, p. 59). E come ha scritto Albertazzi Silvia, Dieci piccoli indiani è il romanzo più conosciuto della Christie e “paradossalmente” il meno “giallo” (1988, p. 70).
Non tutti naturalmente sono d’accordo sul fatto che Dieci piccoli indiani sia uno dei capolavori della Christie. Molti amanti del giallo classico, di fronte alla componente fantastica e quasi favolistica della vicenda, hanno reagito negativamente. Santucci, ad esempio, nel 1951, scrisse:

Tanta fantasia diviene talora corriva, si riaccosta al favolismo. La decadenza di Agatha Christie è chiarissima in Ten Little Niggers (1939) dove una cantilena sottolinea una cadenza di morte e costringe il racconto in una specie di fatalità o automatismo, a una improbabilissima fine, che la scrittrice non riesce mai a riscattare nell’allucinazione.

(Santucci, 1980, p. 126)

Santucci ha perfettamente ragione sulla “improbabilissima fine” del romanzo, ma non si rende conto di aver colto, proprio nel “favolismo” e nella “fatalità” cadenzata dalla cantilena, due dei pregi maggiori di quest’opera. Come ha sottolineato Gillian Gill, Agatha Christie amava molto il mondo fantastico delle fiabe, in quanto “espressione vitale dell’inconscio collettivo, in grado di rivelare un tipo speciale di verità archetipica. La narrativa della Christie presenta la stringatezza, la linearità, il ritmo narrativo e il richiamo universale della fiaba… ” (Gill, 1991, pp. 213-214).

La filastrocca di Ten little niggers

Dieci poveri negretti se ne andarono a mangiar: uno fece indigestione, solo nove ne restar.
Nove poveri negretti fino a notte alta vegliar: uno cadde addormentato, otto soli ne restar.
Otto poveri negretti se ne vanno a passeggiar: uno, ahimè, è rimasto indietro, solo sette ne restar.
Sette poveri negretti legna andarono a spaccar: un di lor s’infranse a mezzo, e sei soli ne restar.
I sei poveri negretti giocan con un alvear: da una vespa uno fu punto, solo cinque ne restar.
Cinque poveri negretti un giudizio han da sbrigar: un lo ferma il tribunale, quattro soli ne restar.
Quattro poveri negretti salpan verso l’alto mar: uno un granchio se lo prende, e tre soli ne restar.
I tre poveri negretti allo zoo vollero andar: uno l’orso ne abbrancò, e due soli ne restar.
I due poveri negretti stanno al sole per un po’: un si fuse come cera e uno solo ne restò.
Solo, il povero negretto in un bosco se ne andò: ad un pino s’impiccò, e nessuno ne restò.

(Christie, 1993)

La filastrocca deriva da una ottocentesca canzone popolare americana, appunto Ten little niggers, che a sua volta aveva avuto origine da una canzone ottocentesca di Septimus Winner: Ten little injuns (per un resoconto più dettagliato, cfr. Pezzini, 2009).

La filastrocca Ten little niggers è il centro vitale dell’intero romanzo. Non solo essa è appesa in ognuna delle camere assegnate alle future vittime, ma è la ossessiva litania che accompagna il loro destino di morte sull’isola. La filastrocca, inoltre, è costituita da una serie di indovinelli che profetizza, enigmaticamente, il modo in cui verranno uccisi tutti gli ospiti. L’utilizzo della filastrocca nel romanzo possiede il “il fascino che deriva dalla giustapposizione di infantile e agghiacciante e dall’accostamento della normale quotidianità con il macabro” (Curran, 2011, p. 81), ed è anche una vera antinomìa del giallo classico. Mentre in quest’ultimo la risoluzione del caso coincide con la cattura dell’assassino e il ritorno all’ordine, in Dieci piccoli indiani la spiegazione del significato ambiguo, che sfiora l’assurdo, della filastrocca coincide con la morte di un altro degli ospiti dell’isola: “… non è sconveniente accostare le «perversità » della narrativa per l’infanzia a quelle del romanzo poliziesco: le nursery rhymes spesso si svelano nursery crimes” (Barbolini, 1984, p. 174). In pratica, ci troviamo di fronte all’assurdità del quotidiano, o ancora meglio al pericolo nascosto nella quotidianità. Una filastrocca per bambini viene utilizzata come strumento di morte: “è il caso dove poliziesco e mondo del «nonsense», di Alice nel paese delle Meraviglie, si congiungono” (Reggiani, 1981, p. 152).

L’uso della filastrocca infantile, che dà il titolo all’opera, ribadisce il clima angosciante che la pervade tutta e che si manifesta tra i due poli contraddittori della colpa e dell’innocenza.
La stessa filastrocca è un’arma a doppio taglio: aiuta a creare quell’atmosfera magica e surreale, quella regressione infantile verso una vacanza nell’irrazionale, e allo stesso tempo scandisce, con il suo ritmo inesorabile, la minaccia di morte che incombe su ciascun personaggio.

(Falzon, Prefazione, in Agatha Christie, Dieci piccoli indiani, Mondadori, edizione digitale)

Nel suo breve saggio Le origini linguistiche e antropologiche della filastrocca, Mario Alinei evidenzia quali siano le funzioni delle filastrocche: educativa, ricreativa, ludica e ipnotica (2009, pp. 269). Io direi che la filastrocca “dark” di Dieci piccoli indiani abbia soprattutto una valenza ludica: il giudice gioca con i suoi ospiti, e l’enigmatica filastrocca è quasi una sfida intellettuale. Ten little niggers, che forse in origine era usata per insegnare ai bambini a contare, si trasforma infatti, nella mente del giudice, in una specie di gioco crudele: alla morte di ogni negretto corrisponde la morte di uno degli ospiti dell’isola. Da notare che la reclusione forzata sull’isola, costringe i personaggi, mentre la esplorano alla ricerca dell’assassino, a vagare in tondo;e il gioco del girotondo consiste nel girare in cerchio recitando una filastrocca. Interessante, a questo punto, il riferimento di Alinei ad alcune antiche filastrocche, legate al gioco della mosca cieca, che hanno la funzione di rivelare il significato nascosto del gioco stesso:

… il giocatore bendato rappresenta la minaccia della morte, e il gioco infantile mima, in modo rituale, il rapporto fra i vivi e la morte (e i morti), concepiti come una raffigurazione del destino cieco,… che dobbiamo essere anche pronti, quando arriva il nostro turno, ad accettare, e ad assumere il ruolo del ‘morto’ nei confronti dei vivi. Anche il nome del gioco in Sardegna, area arcaica per eccellenza, significa, tradotto in italiano, ‘giocare a sfuggire la morte’.

(Alinei, 2009, pp. 273-274)

E giocare a sfuggire alla morte, profetizzata dalla filastrocca, non è in fondo il leitmotiv del romanzo di Agatha Christie?

Dieci piccoli indiani, un plagio?

A questo punto, si potrebbe affermare che Agatha Christie riuscì a creare per l’epoca un libro assolutamente originale che non ha precedenti. In realtà, esiste un romanzo cui sicuramente Agatha Christie si ispirò.
Nd 1930, Gwen Bristow e Bruce Manning, marito e moglie, scrissero a quattro mani un thriller, intitolato “L’ospite invisibile” (pubblicato in Italia da Mondadori e Polillo). La trama mostra molti punti di contatto con la successiva opera della Christie: otto persone (all’inizio anche Dieci piccoli indiani prevedeva solo otto personaggi: cfr. Curran. 2011, p. 86) vengono invitate in un attico, dove vengono ricevute dalla servitù; l’ospite misterioso parla loro, attraverso alcuni altoparlanti, annunciandogli che saranno i protagonisti di un macabro gioco: dovranno scoprire l’identità dell’assassino prima di essere uccisi uno ad uno (per maggiori particolari sul romanzo, vedi l’articolo GwenBristow – Bruce Manning: L’Ospite Invisibile di Pietro de Palma).
Per quanto quasi uguale nella struttura (Cfr. il saggio E poi rimasero in due: invenzione e riscrittura in un romanzo di Agatha Christie di Gibelli Dario),Dieci piccoli indiani è in tutti i sensi superiore all’Ospite invisibile, che non possiede né lo spessore psicologico, né l’inquietante atmosfera e neppure il valore escatològico del capolavoro di Agatha Christie.

…il giustiziere della Christie incarna una sorta di Legge astratta e, per così dire, disinteressata, divina, che proietta sul testo l’ombra apocalittica di una sorta di Giudizio Universale. Donde una drastica semplificazione dell’intreccio… A definire, con un solo esempio, la qualità di questa riscrittura e l’estrema semplicità dei suoi criteri, basti considerare la funzione che riveste, in questo testo, il tema della filastrocca e delle corrispondenti statuette…

(Gibelli, 1988, p. 211)

È giusto, però, riconoscere a Gwen Bristow e Bruce Manning di essere stati i primi ad avere l’idea di isolare un gruppo di persone all’interno di uno spazio chiuso, per poi farle uccidere una ad una, senza la presenza salvifica del detective, tema che avrà tanto successo nei film thriller e horror contemporanei.
L’utilizzo, invece, della filastrocca che scandisce una serie di omicidi è fatto risalire da Reggiani al celebre L’enigma dell’alfiere(1928 – The Bishop Murder Case), giallo scritto da S.S. Van Dine, da cui la Christie trovò ispirazione anche per “il clima favolistico sottolineato dalla poesiola infantile e l’anziano personaggio di apparente tutto rispetto che impazzisce senza che gli altri se ne accorgano” (Reggiani, 1981, p. 152).
Il plagio de “L’ospite invisibile” non è un caso isolato: Un cavallo per la strega ha una trama simile a quella de Un pappagallo utile di E.C. Bentley, Delitto in cielo ricorda Gli strani passi di G.K. Chesterton, mentre L’uomo vestito di marrone pare ispirarsi ad un racconto di Leblanc (Cfr. Calcerano – Fiori, 1990, p. 113).

Dieci piccoli indiani e il giallo gotico

Come ho già accennato nell’articolo dedicato al giallo gotico, Agatha Christie era affascinata dalle atmosfere gotiche e dal mondo dell’occulto: “Agatha Christie possedeva… una conoscenza di prima mano dell’Altro Regno. Era convinta che l’umanità fosse in bilico fra due mondi” (Lippi, 1984). La scrittrice, nel 1933, aveva anche scritto un’antologia di racconti dedicati al soprannaturale: “The Round of Death” (pubblicata solo nel 1982 in Italia dalla Mondadori con il titolo “Il segugio della morte“) e un romanzo, “The Sittaford Mystery” (1931 – pubblicato da Mondadori nel 1935 con il titolo Un messaggio dagli spiriti).
In Agatha Christie, l’investigazione razionale è uno dei tratti fondamentali della sua produzione gialla, ma è anche indiscutibile che Ten little niggers debba molto del suo successo all’atmosfera gotica che lo attraversa dall’inizio alla fine: la tetra scenografia costituita dalla villa e dall’isola, la tempesta che infuria, l’ossessionante filastrocca che preannuncia l’arrivo della morte, l’attesa del tragico destino che incombe sui personaggi simboleggiata dalle statuine dei negri. Pur rispondendo ai dettami del mystery dell’epoca, per cui quanto di strano e inspiegabile è accaduto trova alla fine una spiegazione razionale, Ten little niggers è molto più gotico del precedente “The Sittaford Mystery“.

… l’atmosfera d’incubo che pervade, sotto forma di attesa di morte, l’intero romanzo, non si dissolve con la risoluzione dell’enigma… Con ogni probabilità inconsciamente, qui la Christie si riallaccia al gotico più tradizionale, così come lo immaginava, un secolo e mezzo prima di lei, un’altra famosa creatrice di misteri razionalmente spiegabili, Ann Radcliffe…

(Albertazzi, 1988, p. 71).

Come ha ben evidenziato Alex Falzon, questo romanzo fornisce “un ottimo esempio dello stile country gothic dell’Autrice quando crea quell’atmosfera apparentemente placida e idillica che, al contrario, si rivela soffocante e micidiale“. Esempio insuperato di questo tipo di suspense è ancora oggi “Giro di vite” di Henry James, in cui l’autore non descrive scene raccapriccianti ma una tranquilla magione di campagna, dove l’esistenza pare scorrere placida in una quotidianità quasi banale. Proprio per questo, nel lettore, si insinua il dubbio che le presenze maligne, che sembrano minacciare i bambini, siano solo un parto della mente dell’istitutrice (il terrore nasce dentro di noi o è reale?).
Uno dei motivi principali del successo di Ten little niggers è dovuto proprio al fatto che il romanzo esce dagli schemi del giallo classico ad enigma, sfiorando il fantastico di Todorov e il gotico della Radcliffe.

Dieci piccoli indiani e il lieto fine teatrale e cinematografico

Quando, nel 1943, adattò Dieci piccoli indiani per il teatro, Agatha Christie modificò il finale: Vera e Lombardnon sono colpevoli dei crimini di cui li accusa il giudice e si salvano. Ecco cosa scrisse Agatha Christie nella sua autobiografia:

Avevo scritto Dieci piccoli indiani perché ero rimasta affascinata dai problemi che mi poneva. Dieci persone dovevano morire senza che la cosa diventasse ridicola o l’assassino fosse troppo facilmente identificabile… Poi, spingendomi un passo più in là, cominciai a pensare che mi sarebbe piaciuto provare a ridurlo per la scena. Così, di primo acchito mi sembrava impossibile,visto che non restava nessuno a raccontare la storia. Ma mi resi conto che, con un’unica modificazione di fondo, l’obiettivo poteva essere raggiunto. Bisognava che due personaggi, dimostratisi innocenti, riunendo i loro sforzi riuscissero a salvarsi. Anche se diversa rispetto al libro, questa soluzione non era contraria allo spirito della filastrocca originale dei «Dieci piccoli negretti» che termina con il verso: «Si sposò e non ne rimase nessuno».

(Christie, 2013, pp. 552-553)

La prima teatrale di Dieci piccoli negretti si tenne nel novembre del 1943. Ribattezzata Dieci piccoli indiani, la pièce fu rappresentata a New York nel giugno del 1944.
Alcuni dei film più importanti, tratti dal romanzo di Agatha Christie, preferirono il finale del testo teatrale: And then there were nonedi René Clair, 1945; And then there were nonedi George Pollock, 1965 (ambientato in un albergo sulle Alpi); And then there were nonedi Peter Collinson, 1974 (ambientato in un albergo nel deserto iraniano). Stanislav Govorukhin, invece, nella sua versione cinematografica russa del 1987, Desyat’ negrityat,  preferì tornare al finale originale del libro.

Il soggetto di “Dieci piccoli indiani” ha inoltre ispirato:
– 1949 TEN LITTLE NIGGERS di Kevin Sheldon
– 1955 DIECI POVERI NEGRETTI Di Alessandro Brissoni
– 1971 5 BAMBOLE PER LA LUNA D’AGOSTO di Mario Bava
– 1976 INVITO A CENA CON DELITTO di Robert Moore
– 1977 TUTTI DEFUNTI … TRANNE I MORTI di Pupi Avati
– 2003 IDENTITY di James Mangold
– 2004 NELLA MENTE DEL SERIAL KILLER di Renny Harlin
– 2014 SABOTAGE di David Ayer

BIBLIOGRAFIA

  • Albertazzi Silvia, Agatha Christie anni Trenta, in “Il giallo degli anni trenta”, Edizioni Lint Trieste, 1988;
  • Alinei Mario,Le origini linguistiche e antropologiche della filastrocca, in Quaderni di semantica, a. XXX, n. 2, dicembre 2009, pp. 263-290;
  • Barbolini Roberto, La chimera e il terrore. Saggi sul gotico, l’avventura e l’enigma, Milano, 1984;
  • Calcerano Luigi e Fiori Giuseppe, Guida alla lettura di Agatha Christie, Mondadori, Milano, 1990;
  • Christie Agatha, Dieci piccoli indiani, Oscar classici moderni, Milano, 1993;
  • Christie Agatha, La mia vita, Mondadori, Milano, 2013
  • Crovi Luca, Tè, delitti e fantasia, in Nick Raider Almanacco del Giallo, 2001, pp. 129-141;
  • Curran John. I quaderni di Agatha Christie, Mondadori, Milano, 2011;
  • Ercoli Emma, Agatha Christie, La Nuova Italia, Firenze, 1979;
  • Falzon Alex, Agatha Christie e Conan Doyle, in Un messaggio dagli spiriti, Oscar Scrittori Moderni, 2011;
  • Falzon Alex, Prefazione, in Agatha Christie, Dieci piccoli indiani, Mondadori, edizione digitale;
  • Gibelli Dario, E poi rimasero in due: invenzione e riscrittura in un romanzo di Agatha Christie, in “Il giallo degli anni trenta”, Edizioni Lint Trieste, 1988;
  • Gill Gillian, Agatha Christie. La donna e i suoi misteri, Sugarco, Milano, 1991;
  • Lippi Giuseppe, Agatha Christie e l’Altro Regno, in Agatha Christie, Il segugio della morte, Oscar Mondadori, 1984;
  • Marchetti Federica, A proposito di Agatha Christie. Sulle tracce della regina del giallo, Edizioni il Foglio, Piombino, 2015;
  • Pezzini Franco, «…e nessuno ne restò». Miti e strutture del fantastico nero in Dieci piccoli indiani, in Dark Tales — Fiabe di paura e racconti del terrore, a cura di Sonia Maura Barillari e Andrea Scibilia,Genova, Castello D’Albertis, 21-22 novembre 2009, IV Edizione di Autunnonero — Festival internazionale di folklore e cultura horror, Roma, Aracne Editrice, 2009, pp. 121-142;
  • Pinketts Andrea G., Quel treno per Agatha. Itinerari ferroviari, umani, gialli, nel centenario di Agatha Christie, in C’era una volta il giallo, a cura di L. Volpatti e G.F. Orsi, Edizioni Alacran, 2005;
  • Reggiani Renèe, Poliziesco al microscopio, Torino 1981;
  • Santucci Antonio, Per una storia del romanzo giallo, in La trama del delitto, a cura di R. Cremante e L. Rambelli, Pratiche Editrice, 1980;
  • Serafini Stefano, Illusionismo e magia nel Golden Age mystery, in Linguæ vol. 14, n. 1 – 2015;
  • TodorovTzvetan, La letteratura fantastica, Garzanti, Milano, 1995;
  • Agatha Christie. Guida completa alla vita e all’opera della regina del delitto, a cura di Gian Franco Orsi, Mondadori, Milano, 1982;

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Articolo protocollato da Alessandro Bullo

Alessandro Bullo è nato a Venezia. Si è laureato in lettere con indirizzo artistico, mantenendosi con mestieri occasionali; dopo la laurea ha lavorato per alcuni anni presso i Beni Culturali e poi per la Questura di Venezia. Successivamente ha vissuto per quasi dieci anni a Desenzano del Garda per necessità di lavoro. Attualmente vive a Venezia e lavora come responsabile informatico per un’importante ditta italiana. Sue passioni: Venezia, il cinema noir, leggere, scrivere. Autori preferiti: Dino Buzzati, Charles Bukovski, Henry Miller. Registi preferiti: Elia Kazan e Alfred Joseph Hitchcock. È arrivato per due volte in finale al premio Tedeschi e una al premio Urania. Nel 2012 con “La laguna degli specchi” (pubblicato sotto lo pseudonimo Drosan Lulob) è stato tra i vincitori del concorso “Io scrittore”.

Alessandro Bullo ha scritto 66 articoli: