ultima-volta-che-l-ho-vistaEdito da Corbaccio, L’ultima volta che l’ho vista di Charlotte Link è il thriller che recensiamo oggi.

Titolo: L’ultima volta che l’ho vista
Autore: Charlotte Link
Traduttore: Alessandra Petrelli
Editore: Corbaccio
Anno: 2013

Trama: Matthew e Vanessa, marito e moglie, si fermano per una sosta lungo la strada che costeggia il Pembrokeshire Coast National Park, nel Galles settentrionale. Hanno bisticciato per tutto il viaggio e quando Matthew si allontana con il cane per una breve passeggiata, Vanessa decide di attendere nell’area di sosta.
Ryan la sta osservando dal suo furgoncino. È giovane ma ha già una lunga lista di precedenti penali alle spalle e un disperato bisogno di soldi. È lì per rapire chiunque possa garantirgli il pagamento di un riscatto e Vanessa fa al caso suo. È così che la donna finisce rinchiusa in una cassa inchiodata, nascosta in una grotta, con cibo e acqua a sufficienza per una settimana, quando Ryan tornerà da lei. Ma il rapitore tornando a casa trova ad attenderlo la polizia e finisce in prigione per una rissa finita male. Ci resterà due anni e mezzo, combattendo con il senso di colpa di non aver mai confessato a nessuno dove si trovasse la donna. Quando esce dal carcere per buona condotta, nella sua vita iniziano ad accadere eventi tragici. Qualcuno vuole vendicarsi di lui? Forse Vanessa, scomparsa e mai ritrovata?

La storia si preannunciava molto interessante, con uno dei punti di vista sopra tutti – quello di Ryan – e un inizio aperto a sviluppi morbosi sconfinanti nel terrore – Vanessa rapita e chiusa in una cassa di legno, abbandonata al suo destino in una grotta.
Queste due carte vincenti non sono state giocate dall’autrice , per scelta o per non essere riuscita a creare le giuste atmosfere.
La prima impressione è quella di trovarsi davanti a una scrittura corretta ma priva della capacità di emozionare e soprattutto di far scorrere le immagini davanti agli occhi del lettore: tutta presa dall’ansia di spiegare perché e come, l’autrice tralascia di lavorare sulle inquietudini e le paure che un thriller come questo dovrebbe suscitare. L’errore è quello di spiegare continuamente invece di far vedere e suggerire; la voce dell’autrice è invadente e surclassa quella dei personaggi, che comunque appaiono abbastanza rigidi e non funzionano fino in fondo: o buoni, o cattivi, o schiacciati dalla vita e depressi, le sfaccettature non sono contemplate. Manca l’aspetto sensoriale della vicenda: gli sguardi, i fremiti, gli odori, gli indizi dei moti interiori che in una vicenda simile dovrebbero essere terremoti.
Il risultato è una lettura noiosa e uno stile per nulla accattivante; la scrittura è pulita e lineare, ma non all’altezza della situazione. I dialoghi sono spenti, come quasi tutti i personaggi e in almeno tre casi appaiono forzati e irreali.
Ryan appare goffo, tormentato più per insicurezza che per reale conflitto interiore; per nulla affascinante come personaggio, non calamita l’empatia del lettore. È un’occasione persa di creare un antieroe emozionante, peculiare e fuori dai canoni; al massimo appare mediocre e si sa che la mediocrità non fa seguaci.
All’inizio si fa un po’ di confusione nella sequenza temporale degli eventi, poi ripetuta anche a metà romanzo: l’autrice anticipa, sempre durante le sue spiegazioni, quanto poi va a narrare poche pagine dopo ed è un’abitudine abbastanza antipatica per il lettore, che si trova a chiedersi se ha capito male, se si tratta di una ripetizione oppure di un errore: il risultato è che il ritmo della lettura e l’interesse cadono.
Il finale è deludente per almeno due motivi: primo, manca l’alone di mistero e suspense che avrebbe dovuto accompagnare l’intera narrazione; secondo, si scopre che tutti gli accadimenti (pochi, a dire il vero) che hanno tenuto in piedi l’intera trama e che ci si aspettava fossero legati, di fatto non lo sono e non vengono nemmeno spiegati al lettore, lasciando intendere che forse sono fatti secondari compiuti da un personaggio secondario, ma, citando il testo, “chi può dirlo?”.
Un romanzo che si trascina e che non sembra mai ingranare la marcia giusta.

Articolo protocollato da Ilaria Tuti



Ilaria Tuti ha scritto 7 articoli: