A regola d'arte - Stefano TuraDa poco edito da Piemme, recensiamo oggi il nuovo romanzo di Stefano Tura dal titolo A regola d’arte.

“Vede, Emilia, da questa prospettiva, con il cielo azzurro che la incornicia e il sole che la illumina, Londra è bellissima. Ma in quelle strade, in quei parchi e dietro quelle finestre, la luce spesso non arriva”. Con queste parole Tom Riddle, il personaggio più inglese di questa vicenda londinese eppure molto italiana pare scandire, con amarezza, l’epitaffio per una città che, forse, un tempo, ha amato.

Non è la Londra delle opportunità a fare da sfondo alla caccia all’uomo che prende il via fin dalla prima pagina e lascia il lettore continuamente col fiato sospeso. L’assassino si nasconde in una città cinica, fredda, persino vuota, almeno nelle sue aree più altolocate.

Gli unici rigurgiti di vita paiono emergere dagli strati sociali più deboli: il quartiere popolare e violento di Brixton, tratteggiato con maestria, ma anche il mondo degli emigrati italiani. In massima parte si tratta di giovani in cerca di lavoro, con anche la spada di Damocle della Brexit che, da poco, ha cominciato a pendere sopra le loro teste.

Solo tra deboli prende vita una sorta di fratellanza, che però non si colora dell’umanità soltanto nascosta ma non cancellata dal cinismo dell’americano Philip Marlowe (protagonista dei romanzi di Raymond Chandler) e neppure della comprensione senza ritegno e vergona, ma neppure limiti delle periferie scozzesi che animano le migliori pagine di Irvine Welsh.

Il senso di comunità, in una metropoli che si rivela, nella sua interezza, ricca tanto economicamente quanto di rabbia, sembra cementarsi soltanto nella violenza: verbale, e non raramente anche fisica. In questo panorama vasto e desolante, descritto con precisione fotografica, irrompe un delitto: un crimine eclatante, una sfida a quell’alta società che si distacca dall’abisso in apparenza per poi sprofondarvi in sostanza.

Il fatto di sangue si intreccia, pagina dopo pagina, scena dopo scena, in un crescendo che ha molto di cinematografico, con una vecchia storia italiana, che ha mietuto le sue vittime innocenti tra l’Emilia e la Romagna. Saranno Alvaro Gerace e Clarissa Di Natale, della polizia di Bologna, ad affiancare Riddle e la sua vice, Amanda Jefferson, per districare infine almeno parte della vicenda, lasciando intravvedere, pur tra molte ombre, un piccolo spiraglio di speranza.

Ma sono soprattutto la parabola di Peter Mc Bride (poliziotto che ha trovato nella legge il suo riscatto dalla strada) e un inaspettato, spiazzante finale di romanzo a farci capire che, con la pioggia insistente di Londra, i timidi accenni di tinte pastello scolorano in fretta.

Non solo manca Marlowe, ma sembra non riuscire a farsi spazio neppure un Bud White (co-protagonista ed eroe maledetto di L. A. Confidential, capolavoro di James Ellroy) che, pur nella violenza, si rassegna a sembrare, ma non a diventare indifferente.

Alla pioggia si accompagna la nebbia, in cui si confonde un’umanità sempre più frammentata e impaurita. In quella nebbia osserviamo svanire sempre più, malgrado gli sforzi dei protagonisti, il confine tra giustizia, anche spietata, anche al di là della legge, e pura vendetta.

Recensione di Damiano Verda

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A regola d'arte
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A regola d'arte
  • Editore: Piemme
  • Autore: Stefano Tura

Articolo protocollato da Damiano Verda

Genovese, classe 1985, ingegnere informatico, appassionato di scrittura. There’s four and twenty million doors on life’s endless corridor (ci sono milioni di porte lungo l’infinito corridoio della vita), cantavano gli Oasis. Convinto che anche giocare, leggere, scrivere possano essere un modo per tentare la scommessa di socchiudere qualcuna di quelle porte, su quel corridoio senza fine.

Damiano Verda ha scritto 56 articoli: